Il governo presieduto da Matteo Renzi passerà alla storia come il (primo?) governo in cui viene osservata la parità di genere. Tuttavia ci sono altri aspetti che differenzieranno il prossimo esecutivo da quelli precedenti. Confrontiamo il Renzi I con i tre governi che lo hanno preceduto: il Berlusconi IV, il governo Monti e il governo Letta [1].
Il governo Renzi si delinea come un esecutivo dai numeri ridotti, secondo solo, come osservato dallo stesso Presidente del Consiglio durante la conferenza stampa di presentazione, al De Gasperi III (1947 con maggioranza DC-PCI-PSI-PRI). In particolare, la diminuzione dei ministri è stata effettuata a scapito di deleghe minori come gli Affari Europei, l’Integrazione e le Pari Opportunità e la Coesione Territoriale.
Come già osservato, il nuovo esecutivo sarà composto al 50% da entrambi i sessi. Si noti che la metà delle neo nominate ricopre comunque la carica di ministro senza portafoglio: le tre esponenti PD Boschi, Madia e Lanzetta. Possiamo anche osservare un sostanziale progresso verso la parità di genere negli ultimi 4 esecutivi, partendo dai 18% dei governi Berlusconi e Monti, fino al precedente 20% del governo guidato da Enrico Letta.
Il governo Renzi è anche il più giovane: non solo degli ultimi quattro ma anche di tutta l’Italia repubblicana. Dato trainato dalla giovane età dei ministri in quota PD e dello stesso Presidente del Consiglio. La più giovane è il ministro per le Riforme Istituzionali e i Rapporti con il Parlamento Maria Elena Boschi (33 anni). Che non strappa il record alla 31enne (allora) Giorgia Meloni (Berlusconi IV – ministero della Gioventù). Per il governo Letta la più giovane era il ministro Nunzia De Girolamo (38 anni – Politiche Agricole), mentre per il governo tecnico di Mario Monti – abbastanza maturo, come abbiamo visto nella media – il più giovane era il 56enne Renato Balduzzi (Salute).
I laureati in legge sono i più numerosi in questo governo (5 membri), senza troppo scarto sui laureati in Scienze Politiche o i diplomati alla scuola superiore. L’assenza di particolari percorsi di studio fra i ministri segue in questo l’esecutivo di Enrico Letta, che pure aveva un profilo bilanciato da questo punto di vista. Totalmente diverso il “governo dei professori” di Mario Monti, che vedeva una spiccata preminenza dei laureati in Economia, e dal governo Berlusconi, in cui i laureati in Giurisprudenza svettano se paragonati alle altre facoltà di provenienza (ben 13 laureati in legge).
Per quanto riguarda i partiti rappresentati nel Consiglio dei Ministri, nel governo Renzi abbiamo 5 partiti (PD, NCD, UDC, SC e tecnici), mentre nel governo Letta erano 6 (PD, NCD, UDC, PI, SC, Radicali e tecnici). Decisamente più compatto l’esecutivo di Monti, dove erano presenti solo tecnici (anche se poi si avventureranno in carriere politiche) e il governo Berlusconi, con 2 soli partiti rappresentati (PDL e Lega).
Si possono notare quindi sia tratti in continuità sia differenze con gli esecutivi precedenti. Infine, riguardo alla provenienza territoriale dei ministri, abbiamo l’Emilia-Romagna e il Lazio ex aequo con 4 esponenti ciascuno. Se aggreghiamo i ministri per macroregioni, il Nord risulta essere rappresentato da 8 ministri, il Centro da 6 (di cui due senza portafoglio) e il Sud da 2 (di cui uno senza portafoglio). Anche questo tratto in continuità con esecutivi tendenzialmente sbilanciati a nord rispetto al resto d’Italia. Resta da vedere come tratti comuni e differenze incideranno sull’operato del governo nei mesi (anni?) a venire.
[1] Ogni confronto è effettuato con la composizione dell’esecutivo al momento del giuramento iniziale, tenendo conto dei ministri e dei ministri senza portafoglio (no sottosegretari alla Presidenza del Consiglio). La composizione si riferisce solo ai ministri (senza il Presidente), mentre tutte le altre voci sono calcolate sul complesso del Consiglio dei Ministri.
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