L’Italicum si appresta ad essere discusso al Senato, dopo l’approvazione del testo alla Camera. Molte delle controversie finali si sono concentrate sulla possibilità di introdurre dei meccanismi volti ad assicurare una presenza minima di candidati donne, sistemi ispirati al principio della parità di genere e comunemente chiamati “quote rosa”. Ma quali sono i numeri nei parlamenti degli altri paesi europei e nell’Europarlamento?
Nel Febbraio 2013 sono state elette deputate 198 donne, pari al 31,4% degli onorevoli, fra cui ovviamente la futura presidentessa Laura Boldrini. Si tratta di un record storico per la nostra Camera dei Deputati, che ha così superato le analoghe assemblee di Portogallo, Francia e Regno Unito (1)
La mappa interattiva ci mostra come non vi sia una sola chiave di lettura quando ci si sofferma sulla presenza femminile nei parlamenti nazionali. In primo luogo possiamo notare come nei paesi scandinavi la percentuale di elette raggiunga il 41,2%, a fronte di un 19,8% per i paesi dell’Est Europa, la categoria di paesi che meno brillano per parità di genere. Tuttavia è anche vero che Irlanda (15,7%), Regno Unito (22,6%) e Francia (26,2%) ottengono una percentuale inferiore a un terzo. Perché? La spiegazione geografica o culturale non è soddisfacente, ma una possibile motivazione sta nel sistema elettorale. I sistemi maggioritari prevedono una competizione faccia a faccia fra i candidati per rappresentare il proprio collegio e questo tende a penalizzare le presenze femminili, che i partiti possono avvertire come meno competitive (sia con il turno unico come in UK sia con il doppio turno in Francia). Anche sistemi proporzionali con un forte impatto delle preferenze possono diminuire la percentuale di donne (è il caso del voto singolo trasferibile in Irlanda). Al contrario, risulta più semplice avere una percentuale più alta di donne nei sistemi proporzionali a liste bloccate, che permettono di inserire le candidate direttamente in lista tramite un meccanismo di alternanza. Questo ci porta a chiederci quali meccanismi siano stati concretamente proposti per ovviare a queste disuguaglianze, domanda a cui risponde la seguente cartina.
Nella maggioranza dei paesi europei non esistono quote imposte per legge, ma sono presenti regole interne ai partiti per assicurare una più o meno ampia rappresentanza al sesso femminile (a questa categoria appartiene anche l’Italia, visto l’impatto del gruppo parlamentare PD sull’attuale Camera). Pionieri in questo senso sono stati i partiti socialdemocratici svedesi e tedeschi. Dove invece esistono quote o criteri minimi per le candidature i risultati sono diversi: positivi (Portogallo, Spagna, Belgio) o insoddisfacenti (Irlanda, Polonia, Francia, Slovenia, Croazia, Grecia). Ciò perché spesso i partiti preferiscono essere multati e sforare le quote di genere piuttosto che attenersi ai criteri della legge (il caso francese è il più eclatante). Viceversa, le quote obbligatorie hanno più successo quando le liste possono essere rigettate dai tribunali nel caso in cui non sia rispettato il vincolo di parità di genere. A questa categoria appartengono i casi portoghese, spagnolo e belga, che prevedono liste bloccate alternate uomo-donna o con massimo due candidati dello stesso genere. Si faccia attenzione però a come due fra i paesi europei che assicurano una maggiore presenza alle elette (Danimarca e Finlandia) non sia presente né un meccanismo interno ai partiti né tantomeno una quota stabilita dalla legislazione elettorale.
Quando invece andiamo ad analizzare la variazione nella composizione degli attuali parlamenti e di quelli del periodo ’05-’09 (quindi mediamente una legislatura fa), notiamo un dato interessante: Slovenia, Italia, Francia e Lettonia sono i paesi che hanno visto la percentuale di donne elette aumentare di più. Al contrario, paesi che da lunga data portano più candidate in parlamento hanno avuto una leggera diminuzione (Finlandia, Paesi Bassi, Svezia, Islanda). Per i parlamenti nazionali sembra quindi che la percentuale massima sia intorno al 40-44%, con alcune variazioni legate alla composizione delle assemblee (tendenzialmente maggioranze di sinistra eleggono più donne in parlamento). Ma che numeri abbiamo per il Parlamento Europeo e per le delegazioni nazionali a Strasburgo?
A fronte di una media complessiva del 35,4% di elette, i paesi del Nord Europa si confermano leader per presenza femminile, mentre in Est Europa il valore medio si alza drasticamente (34,4%), segnando una forte discontinuità con i parlamenti nazionali grazie ai risultati di Bulgaria e Estonia. Colpisce anche il dato della Croazia (50%), l’ultimo paese ad essere entrato nell’UE. Chi segna il passo è invece l’Italia, che con il 22,2% si trova al quartultimo posto, risultato forse dettato dalla presenza di circoscrizioni grandi (molti candidati) con voto di preferenza. Rimanendo a livello europeo, l’European Institute for Gender Equality, un’agenzia dell’UE che promuove la sensibilizzazione verso la parità di genere, realizza ogni anno un indice sull’uguaglianza di genere. Fra le voci vi è quella sul potere politico, calcolata tenendo conto della percentuale di donne negli esecutivi, di elette nel parlamento nazionale e nei consigli regionali. Questo indice divide più chiaramente l’Europa in due parti.
Da una parte abbiamo l’Europa settentrionale ed occidentale, con valori tendenzialmente sopra a 50. Una eccezione: l’Irlanda, che come abbiamo visto presenta basse percentuali di elette. Dall’altra abbiamo l’Europa meridionale e orientale, con valori più bassi. Un’altra eccezione: la Spagna, che presenta un livello pari a quello dei paesi scandinavi (frutto delle riforme introdotte dal governo Zapatero). Volendo riassumere i dati emersi dal confronto con le altre realtà europee, per l’Italia emerge quanto segue:
Quindi, a livello di puri numeri, la bassa presenza di elette in chiave comparata a livello regionale (circa 14%) e a livello europeo rappresenta per l’Italia la vera sfida dei prossimi anni. A maggior ragione sarà interessante vedere la composizione del prossimo Parlamento Europeo che sarà eletto a maggio per capire se questa tendenza sarà in parte smentita.
(1) Per il nostro confronto faremo sempre riferimento alla Camera dei Deputati, poiché le statistiche internazionali fanno riferimento generalmente solo alle camere basse, essendo le camere alte spesso assenti o non elette o elette indirettamente.
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