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Tra establishment e populismo: le nuove categorie della politica moderna

Ha ancora senso parlare di sinistra e destra? Sono in tanti a ritenere che si tratti di categorie ormai superate.

Del resto, gli appuntamenti elettorali degli ultimi 12 mesi hanno scombinato la geografia degli elettori. L’adesione ideologica non rappresenta più (o non solo) l’elemento dirimente all’interno della cabina elettorale: è la dimensione del rigetto, della protesta verso le élite ad aver assunto un ruolo fondamentale, dando vita a comportamenti interpretabili in chiave antisistema. Il numero decisamente consistente di operai che ha votato Marine Le Pen o, qualche mese prima, il sostegno dei ceti meno abbienti a Donald Trump sono prove del cambiamento in atto.

Certamente, le differenze tra destra e sinistra non sono scomparse, alcune questioni continuano ad essere centrali (e guai se non lo fossero), ma si inseriscono oggi in un orizzonte più ampio: queste categorie non sono più identitarie in senso assoluto, ma diventano declinazioni di tendenze più ampie e trasversali. In altri termini, lo scontro politico è ormai riconfigurato attorno alla dicotomia establishment-populismo. Il conflitto non è più orizzontale ma tende a verticalizzarsi.

Populismo vs Establishment

Paolo Gerbaudo, docente e direttore del Centro per la cultura digitale del King’s College London, ha provato a mappare queste dinamiche nelle principali democrazie occidentali seguendo uno schema, grafico e concettuale, alternativo alla classica rappresentazione a “ferro di cavallo”.

Si tratta, va specificato, soltanto di una prima bozza, ma che tuttavia è già in grado di offrire interessanti indicazioni. Secondo la teoria del “ferro di cavallo”, elaborata dal filosofo francese Jean-Pierre Faye, l’estrema destra e l’estrema sinistra avrebbero molto più in comune tra loro che non con le posizioni più centrali. Lo studioso italiano ha invece ribaltato tale concezione immaginando lo spazio politico come una piramide, il cui vertice è occupato dalle élite mentre la base dalle istanze popolari. In questa visione alternativa, il populismo di sinistra e quello di destra sono invece molto distanti, quasi agli antipodi. Due soltanto gli elementi in comune: l’avversione all’establishment, la vocazione anti-sistema, e l’obiettivo di conquistare il consenso delle classi popolari. Volgendo lo sguardo a queste forze, la teoria di Gerbaudo sembra trovare conferme: i movimenti populisti di destra sono, infatti, fortemente identitari, sovranisti, spesso xenofobi e protezionisti. Quelli di sinistra, al contrario, si fanno portatori di un’idea di società aperta e inclusiva; sono fortemente critici verso il sistema economico-finanziario. Di converso, salendo verso il vertice, si registra un altro tipo di movimento: le posizioni tendono a sfumare fino a confondersi nel segno di un’agenda liberale che accomuna sempre più i partiti d’élite e di governo, al netto del colore, in un estremo centro. Di questa tendenza, Macron e Renzi sono dimostrazione ed esempio. E la lista può essere ben più lunga.

Uno sguardo all’Europa

In questo caso l’elemento che differenzia principalmente i soggetti politici deriva sicuramente dalla posizione rispetto all’Unione Europea. In chiave elettorale può dunque essere interessante provare a pesare le forze in campo. A questo scopo si è fatto riferimento alle elezioni più recenti, nel caso di Francia e Olanda, mentre negli altri casi il dato deriva dai sondaggi. Inoltre, rispetto al grafico, tra i populisti di destra si terrà conto anche dello Ukip e degli spagnoli di Ciudadanos, in posizione centrale.

Tra quelli presi in considerazione, sono i leader d’élite a riscuotere, ad oggi, il maggior successo. Bisogna però sottolineare che, salvo poche eccezioni, si tratta di partiti attualmente al governo e questo può spiegare certe percentuali, soprattutto in relazione alle forze populiste. Queste presentano medie assai inferiori e nella gran parte dei casi non superano il 20%, come si può vedere nel grafico sotto. Più nello specifico, le destre di governo si attestano mediamente al 37%, circa il 10% in più rispetto al dato analogo che riguarda il centro-sinistra europeo.

Quanto ai populisti, particolarmente interessante è la posizione del Movimento 5 Stelle, una delle più “pesanti” tra le opzioni anti-sistema, essendo prossima al 30% e a lungo in testa nei sondaggi italiani. Rappresentano forse l’unica esperienza del tutto post-ideologica, in grado di coniugare aspetti di sinistra a quelli di destra. Tuttavia va sottolineato come il (non) posizionamento dei 5 Stelle sia anche dovuto ad un certo tatticismo, alla

volontà di cavalcare gli umori popolari su questo o quel tema: una peculiarità delle forze populiste. Probabilmente solo gli spagnoli di Ciudadanos possono essere ascritti ad una logica simile, seppure con un’impronta più moderata, meno anti-establishment. Il risultato migliore è quello del Labour di Corbyn, al 38% secondo il Times, che ha guadagnato oltre 1o punti nell’ultimo mese, approfittando delle incertezze dei Conservatori inglesi.

Infine, i populismi di destra. Delle 5 tipologie prese in esame, è quella che registra la media più bassa. Ma è curioso notare come accada sempre più spesso che i populisti di destra riescano, a dispetto dello scarso peso elettorale, a imporre determinati temi e a dettare l’agenda. Paradossalmente Nigel Farage, che all’indomani della Brexit ha lasciato la guida dello Ukip, è stato uno dei principali artefici del successo referendario degli anti-UE britannici. Ad oggi il consenso verso il suo partito è in discesa, ma l’interesse nazionale compare in bella mostra negli slogan della campagna di Theresa May, che ha fatto propri molti dei temi dell’estrema destra. Guardando all’Italia, qualcosa di simile succede con la Lega: si pensi, in questo senso, alla legge sulla legittima difesa o allo stringente decreto Orlando-Minniti sull’immigrazione che ha suscitato polemiche da più parti. Le istanze populiste, insomma, vengono sempre più spesso fatte proprie dai partiti di governo e d’élite.

Il terzo spazio

C’è vita oltre populismo ed establishment? Certamente, almeno secondo Yanis Varoufakis, ministro delle finanze greco del primo governo targato Syriza. Ed è proprio per questa ragione, per occupare il terzo spazio, che l’economista ha fondato DiEM 25 (Democracy in Europe Movement 2025). L’assunto alla base di questo movimento è estremamente semplice: l’Europa va democratizzata oppure si disintegrerà. Secondo la visone di DiEM, l’ UE è stretta in una morsa: da una parte la tecnocrazia delle istituzioni capace soltanto di rispondere ai richiami della finanza e del mercato; dall’altro, la deriva autoritaria e nazionalista interpretata dalle destre populiste di mezzo continente. Da qui l’esigenza di un movimento paneuropeo e transnazionale che non sia l’appendice dei partiti tradizionali ma che invece nasca col chiaro obiettivo di opporsi a questa Europa e di cambiarla, “da dentro e da fuori”, attraverso atti di disobbedienza civile, pressione istituzionale e attività parlamentare. Nelle ultime settimane è uscito anche in Italia “Il terzo spazio, oltre establishment e populismo”(Marsili-Varoufakis), un libro che può essere considerato una sorta di manifesto. DiEM non è mai associato alla parola sinistra, tuttavia, accanto alle aspre critiche, la nuova creatura politica sembra strizzare l’occhio alla sinistra di protesta, Podemos per esempio, o ai movimenti come gli Indignados, definiti esempi virtuosi di “disobbedienza costruttiva”. Giovedì scorso, a Berlino, il movimento ha annunciato la volontà di scendere in campo. Per capirne il peso elettorale però, dovremmo attendere ancora un po’.

Ruggiero Montenegro

Pugliese di origine, classe 1990. Da qualche anno vive a Bologna, dove si è laureato in Scienze della comunicazione pubblica e sociale con una tesi in comunicazione politica sulle elezioni regionali pugliesi del 2015 e ha collaborato per qualche mese con il Corriere di Bologna. Dopo, 4 mesi a Milano per uno stage alla Gazzetta dello Sport e poi ancora in terra emiliana. Appassionato di politica, ama il calcio e De André.

1 commento

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  • Dove sono KKE, Partito comunista portoghese, partito del lavoro del belgio ecc. (insomma quei aprtiti che non gìfanno aprte del aprtito del socialismo europeo a guida SSYRIZA-Linke?