Continua il tour di YouTrend nelle principali regioni italiane in vista del voto del 4 marzo. Oggi è il turno dell’Emilia-Romagna, la regione che per la propria lunghissima tradizione di sinistra e per le politiche di governo messe in campo dalle amministrazioni regionali e locali (il cosiddetto “modello emiliano”) rappresenta tuttora sia un simbolo di riformismo, sia un granaio di voti fondamentale per il Partito Democratico, formazione politica erede di tale modello. Una regione però che, come vedremo, in queste elezioni potrebbe riservare qualche sorpresa. A rilevarlo è anche Gianfranco Pasquino, politologo all’Università di Bologna:
La Regione Emilia-Romagna ha bisogno di una scossa. Ha già ingoiato il crollo della partecipazione nelle regionali: solo 37,7 per cento di votanti. Ingoierà anche paracadutati e “casini”. Non saranno loro a dare scosse. La politica della spinta propulsiva non abita qui.
Lasciando la storia per addentrarsi nell’attualità, il Rosatellum prevede per l’Emilia-Romagna una rappresentanza parlamentare di 67 seggi, di cui 45 alla Camera dei Deputati e 22 al Senato della Repubblica.
Alla Camera abbiamo 17 collegi uninominali, che rispecchiano grossomodo i confini provinciali, con l’eccezione del collegio di Cento (a scavalco fra bassa modenese e alto ferrarese, senza arrivare a 210.000 abitanti) e di Forlì (che include anche il faentino). I collegi plurinominali sono invece 4 e coprono la Romagna (Ravenna, Forlì-Cesena, Rimini – 7 seggi), Modena-Ferrara (7), Bologna (6), Emilia orientale (Piacenza, Parma, Reggio – 8).
Al Senato troviamo invece 8 collegi uninominali, alcuni dei quali dalla forma un po’ bizzarra, come il quello di Reggio Emilia, che si allunga fino a Mirandola e Cento, e quello di Ferrara, che oltre ad includere la bassa bolognese arriva fino al confine con la Toscana nel comprensorio imolese. Proprio il collegio di Ferrara e quello di Bologna sono i più popolati, con oltre 600.000 abitanti. I collegi plurinominali sono solamente due: Romagna, Ferrara e Bologna (8 seggi) e province emiliane (6 seggi).
Dopo questa introduzione, ripercorriamo le ultime tornate elettorali tenutesi fra Piacenza e Rimini: politiche 2013 ed europee 2014 (con un inserto sulle regionali di quell’autunno), per poi concludere con una valutazione sui territori da tenere d’occhio fra il 4 e il 5 marzo.
Come in molte altre parti d’Italia, anche in Emilia-Romagna nel 2013 ci fu un buon exploit del Movimento 5 Stelle, che si manifestò anche in territori meno scontati come i piccoli comuni della cintura di Parma, di Modena, del riminese e del ferrarese. Al contrario, si fermò ad un modesto 19,1% nella città che per prima aveva visto una lista ispirata al grillismo giungere in Consiglio Comunale: Bologna. Insomma, il M5S si manifestò nel 2013 come una sorta di “partito dei pendolari”.
Questo non può certo consolare il PD, che nel 2013 vide un calo di oltre 10 punti percentuali rispetto alle politiche del 2008 (un calo più forte di 1,5 punti percentuali rispetto a quello registrato su scala nazionale), con alcuni grandi centri che mostrarono risultati particolarmente deludenti per i democratici: Cesena (-14,3% rispetto al 2008), Rimini e Riccione (-13,2%), Imola (-13,1%), Carpi (-12,1%) Castelfranco Emilia (-12,6%), e si potrebbe continuare. E anche se Bettola, paese d’origine di Pierluigi Bersani, vide un aumento del PD di oltre 3 punti percentuali, ciò non fu sufficiente a battere la coalizione di Silvio Berlusconi in quel comune.
Le Europee 2014 segnate dal 40,8% di Matteo Renzi vanno naturalmente a ribaltare questo quadro, con un aumento molto marcato del PD a livello regionale rispetto all’anno precedente, ed una progressione particolarmente forte sia nella provincia di Parma (nella città ducale si registra un +19,3%), sia nelle province romagnole (+20,7% a Faenza, +18,2% a Cesena). Il PD toccò complessivamente il 52,5%, mentre il M5S si fermò molto distanziato al 19,2% e, su oltre 340 Comuni, solo due piccoli paesi nel riminese lo videro al primo posto. Il 2014 segnò anche l’anno dell’inizio della ripresa della Lega Nord, che passò di nuovo il 10% in numerosi Comuni del piacentino. Per quanto riguarda le forze della sinistra radicale (raccolte in questa tornata nel cartello Altra Europa con Tsipras) si confermarono più forti nei comuni capoluogo, mentre a Bologna raccolsero un lusinghiero 8,9%.
Nel novembre 2014, poi, gli elettori dell’Emilia-Romagna furono richiamati alle urne: infatti il governatore Vasco Errani, alla guida della Regione dal marzo 1999, si dimise a seguito della condanna di primo grado per falso ideologico (per poi essere assolto in appello, ma dopo le elezioni) in un processo che riguardava il fratello, presidente di una cooperativa agricola. Il PD decise di candidare Stefano Bonaccini, segretario regionale, nonché uno dei principali esponenti degli ex DS. Furono le elezioni del “37%” di affluenza, record negativo per una regione che da sempre si reca ai seggi massicciamente (a Reggio Emilia, provincia che con Ravenna si gioca sempre la palma di maggiore sostenitrice del PD, si toccò il 36%). La bassa affluenza non ribaltò il risultato del voto, che vide una netta affermazione del PD e di Bonaccini, mentre si registrò per la prima volta un netto sorpasso della Lega Nord rispetto a Forza Italia, rispettivamente attestatesi al 19,4% e all’8,4% dei voti.
Ma qual è oggi la situazione in base anche al nuovo sistema elettorale? Verosimilmente il Pd riuscirà mantenere una sua prevalenza nella regione, anche se una serie di aspetti meritano un approfondimento maggiore.
Anzitutto la parte occidentale, che è un territorio tradizionalmente più ostico per il PD. Parliamo in questo caso del collegio di Piacenza (che si può sostanzialmente attribuire al centrodestra, come nel 2013), di Fidenza e di Parma: qui la battaglia sarà con la destra, con i democratici più sulla difensiva. All’estremo opposto della Regione troviamo il riminese, zona di forza e radicamento del Movimento 5 Stelle (a Cattolica, per esempio, vi è l’unico sindaco ad oggi iscritto al partito di Grillo), e dove l’ex Forza Italia Sergio Pizzolante è candidato in quota Civica Popolare, ovvero il partito di Beatrice Lorenzin alleato del PD.
Troviamo poi una serie di collegi, sempre alla Camera, in cui ha sempre vinto il PD, ma dove i candidati democratici a questo giro potrebbero trovare maggiore concorrenza: Sassuolo, dove il ministro Claudio De Vincenti dovrà dimostrare di non lasciarsi sfuggire l’area montana del Frignano; Ferrara, dove il ministro Dario Franceschini dovrà guardarsi da possibili spinte centrifughe del basso ferrarese e dei lidi estensi; Cento, dove l’orlandiano Stefano Vaccari si trova ad affrontare una sfida impegnativa nell’ex cratere sismico, una zona che già nelle regionali 2014 ha visto dei progressi del centrodestra, complice la candidatura a presidente del leghista Alan Fabbri, sindaco di Bondeno (FE).
Infine, nella sfida dal valore simbolico più significativa di questa tornata elettorale, nel collegio senatoriale di Bologna si incontreranno due pesi massimi della politica locale: Pierferdinando Casini, appoggiato dal PD, contro Vasco Errani, in quota Liberi e Uguali. La speranza della sinistra è che possa succedere l’impensabile, con il PD al secondo posto; una opzione che ad oggi non sembra sul tavolo. Tuttavia, non essendo presente il voto disgiunto, il forte traino che l’ex governatore potrebbe assicurare alla lista di LeU potrebbe riversarsi in percentuali lusinghiere per il listino proporzionale, garantendo un aggiuntivo bacino di consensi non disprezzabile per la formazione di Pietro Grasso. In questo quadro, però, a giovarsene alla fine potrebbe essere un terzo competitor (di centrodestra o del M5S) che godrebbe della spartizione dei voti tra Casini ed Errani.
Così, secondo le elaborazioni di Rosatellum.info, scopriamo che lo sguardo dovrà soffermarsi su cinque collegi su diciassette alla Camera e su uno su otto al Senato. Un focus dalla nostra piattaforma? Sicuramente il collegio della Camera di San Giovanni in Persiceto, che ha uno dei tassi di occupazione più alti d’Italia: 72,5%, dietro solo ad alcuni collegi milanesi e dell’Alto Adige, come mostrato di seguito:
ma le voci dal conclave stavolta non ci sono?
Non si vota un nuovo papa?