Gli sviluppi delle ultime ore della situazione politica italiana rendono sempre più probabile un ritorno al voto in tempi brevi. Le alternative sembrano essere due: governo “neutrale” fino a dicembre e voto ad inizio 2019 oppure scioglimento immediato delle Camere ed elezioni in estate (o inizio autunno). Ma quand’è che si potrà effettivamente votare? In base a quali criteri verrà individuata la data delle prossime elezioni?
Vediamo innanzitutto quali sono i termini posti dalla legge per l’indizione delle elezioni.
Partiamo dal dettato costituzionale. Gli articoli 61, 87 e 88 della Costituzione dicono che la decisione di sciogliere le Camere spetta al Presidente della Repubblica, sentiti i Presidenti delle due assemblee (articolo 88). Allo stesso Capo dello Stato spetta, poi, indire le nuove elezioni, la cui data deve essere fissata entro settanta giorni dallo scioglimento delle Camere (articoli 61 e 87). Si badi che la Costituzione non prescrive che lo scioglimento debba riguardare sia Camera che Senato allo stesso tempo: anzi, in origine la durata delle due assemblee era differenziata (la legislatura del Senato durava sei anni) e solo in seguito è stata resa omogenea; ad ogni modo, gli scioglimenti sono sempre avvenuti contemporaneamente, sia quelli anticipati sia quelli “naturali”, di fine legislatura.
Fin qui, la Costituzione. Ma la legge ordinaria prevede termini ulteriori e più stringenti. In modo particolare, la normativa in materia elettorale dispone che i comizi elettorali vadano convocati con decreto del Presidente della Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei Ministri, con pubblicazione del decreto “non oltre il 45° giorno antecedente quello della votazione” (art. 11, T.U. 361/1957). Quindi, la campagna elettorale “ufficiale” deve iniziare non più tardi di un mese e mezzo prima della data fissata per il voto. Tale termine di 45 giorni va però coordinato con quello, pari a 60 giorni, previsto dal DPR 104/2003 (art. 5, comma 8) che riguarda il voto degli Italiani all’estero.
Per quanto riguarda l’ultima tornata elettorale, tutti questi passaggi si sono svolti nel medesimo giorno, il 28 dicembre 2017, con la pubblicazione dei relativi decreti in Gazzetta Ufficiale il giorno successivo. Le elezioni del 4 marzo si sono così tenute 65 giorni dopo la pubblicazione del decreto di scioglimento (quindi entro il limite dei 70 giorni).
Quello dei 60 giorni sembra essere, dunque, il termine a cui fare riferimento. Questo a meno che una nuova disposizione di legge (o di un atto avente forza di legge) non modifichi tali termini. Sebbene la funzione legislativa appartenga in via prioritaria al Parlamento, infatti, la Costituzione prevede (articolo 77 ) che il Governo, in casi straordinari di necessità e urgenza, possa emanare un atto con forza di legge, il decreto legge, che può modificare una norma di pari grado: quindi, anche le disposizioni che impongono il termine dei 60 giorni. Anche i decreti legge però vanno convertiti in legge dal Parlamento entro 60 giorni dalla loro emanazione, altrimenti i loro effetti sono nulli (in questi casi si parla di “decadenza”). Per di più, non esistono precedenti in materia e una soluzione del genere apparirebbe piuttosto forzata – per quanto costituzionalmente legittima.
Salvo grossi colpi di scena, quindi, le nuove elezioni non potranno tenersi prima che siano passati almeno due mesi dallo scioglimento anticipato della legislatura iniziata con le elezioni del 4 marzo.
Infine, qualora il “governo neutrale” indicato da Mattarella dovesse ottenere la fiducia (sia pure “a tempo determinato”) del Parlamento e restasse in carica fino a fine anno, si porrebbe il tema del voto contestuale alle elezioni europee che si svolgeranno in tutta Europa tra il 23 e il 26 maggio 2019 (quindi, per quel che riguarda l’Italia, domenica 26 maggio).
Sempre tenendo a mente i termini appena illustrati, la normativa sembra privilegiare la concomitanza elettorale, per evidenti ragioni di risparmi di spesa. L’art. 7 del decreto legge n. 98 del 2011, dedicato al cosiddetto “election day”, stabilisce che quando nel medesimo anno si svolgono le elezioni del Parlamento europeo, le consultazioni elettorali nazionali si effettuano nella stessa data. Il legislatore, nella formulazione letterale della norma, non ha utilizzato una terminologia “possibilista” circa la concomitanza tra elezioni politiche ed elezioni europee. Sembrerebbe, dunque, esserci addirittura un obbligo in tal senso.
Viene da sé, però, che questa norma va letta contestualmente ai tempi imposti dalla Costituzione (che è gerarchicamente superiore rispetto ad una legge ordinaria). In altre parole, se il Presidente della Repubblica dovesse sciogliere le Camere nei settanta giorni che precedono il 26 maggio 2019, le elezioni politiche e quelle europee andranno svolte contestualmente. Ma ovviamente nessuna legge può in alcun modo imporre al Capo dello Stato di sciogliere le Camere entro un qualsivoglia termine: quindi, se Mattarella dovesse sciogliere le Camere prima del 17 marzo 2019, le due tornate elettorali non si svolgeranno nello stesso giorno.
Quindi colpi di stato.
Quindi ora c’è chi piagnucola perché voleva votare le regionali a Luglio, e non assieme al referendum di Settembre (ammesso che la data di Settembre venga confermata).
Ora il risparmio dei soldi lo hanno già dimenticato (alcuni)?
Patetici… classici italioti che si devono sempre lamentare.