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Le elezioni di midterm spiegate in 9 spot

La più importante voce di spesa nelle elezioni americane è quella per gli spot televisivi, che oggi vengono fatti circolare anche sulle piattaforme digitali. Dare un’occhiata a linguaggi e strategie della comunicazione politica a stelle e strisce ci permette così di capire meglio i temi del dibattito e i profili di alcuni candidati in vista delle elezioni di metà mandato di martedì 6 novembre.

Abbiamo raccolto otto spot che, dalle metropoli progressiste alle remote campagne conservatrici, ci raccontano come comunicano – e perché comunicano così – Democratici e Repubblicani.

1. Alexandria Ocasio-Cortez (D) – New York-14 – The Courage to Change

Cominciamo con una campagna che aveva come obiettivo quello di vincere le primarie di giugno, più che le elezioni generali di novembre, perché si svolge in un collegio iper-democratico (dove Hillary Clinton ha vinto con 58 punti di vantaggio nel 2016): quello di New York-14, quello di Alexandria Ocasio-Cortez.

In questo spot, diffuso a fine maggio, vediamo la candidata immersa nella quotidianità del suo distretto, che va dal Queens al Bronx. La sua voce accompagna le immagini con un messaggio forte, caratterizzato da toni progressisti e populisti (“noi abbiamo le persone, loro i soldi”).

La nettezza ideologica dello spot ha a che fare con il suo obiettivo strategico e il contesto della campagna: si trattava di elezioni primarie e in un collegio urbano e molto democratico, in cui quindi bisognava mobilitare elettori progressisti più che cercare di risultare trasversali o appetibili per i moderati.

Se siete interessati alla figura di Alexandria Ocasio-Cortez, qui parlano dell’identità visiva e grafica della sua campagna.

2. MJ Hegar (D) – Texas-31 – Doors

Qui invece MJ Hegar, una veterana dell’Afghanistan, candidata in un collegio difficilissimo, il Texas-31 (considerato “likely Republican” dal Cook Political Report), dove Trump nel 2016 vinse di 13 punti.

Il suo spot si chiama “Doors”, e ha tutte le caratteristiche di un trailer cinematografico di alto livello. Con un unico piano sequenza di 3 minuti e mezzo riesce a tratteggiare uno storytelling personale che diviene storytelling politico. Su YouTube ha raccolto quasi 3 milioni di visualizzazioni. Probabilmente non basteranno per vincere il suo collegio, ma sicuramente sono sufficienti a ritagliarsi uno spazio nella storia degli spot politici americani.

3. Joe Manchin (D) – West Virginia – Dead Wrong

Joe Manchin, senatore uscente del West Virginia, è forse il candidato più a destra tra i Democratici, avendo votato insieme a Trump più del 60% delle volte in Senato. Deve farsi rieleggere in uno stato rurale e conservatore, che pur avendo avuto in passato una tradizione solidamente democratica, negli ultimi decenni è divenuto sempre più repubblicano (le cause sono soprattutto economiche e demografiche). Qui, due anni fa, Trump ha vinto di ben 42 punti su Hillary Clinton.

Manchin punta quindi a mostrarsi come un candidato indipendente, che ha a cuore il destino dei West Virginians. Un candidato che non ha paura di essere d’accordo con Trump quando serve – ha votato a favore della conferma di Kavanaugh alla Corte Suprema, per esempio – ma neanche di far capire quando non è per niente d’accordo con il Presidente, come sul tema della sanità. E in questo spot fa intendere la sua posizione con un fucile in mano.

E attenzione, perché 6 anni fa fece più o meno lo stesso, ma contro Obama.

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4. Phil Bredesen (D) – Tennessee – No Matter What

Un altro democratico in uno stato rurale e conservatore è Phil Bredesen, ex governatore molto popolare, che affronta una battaglia estremamente difficile contro l’iper-conservatrice Marsha Blackburn.

I toni sono più pacati, ma anche Bredesen cerca di far emergere un profilo indipendente e vicino ai valori di uno stato rurale del Sud che tiene molto al Secondo emendamento (quello sulle armi).

5. Heidi Heitkamp (D) – North Dakota – Tough

Un’altra senatrice democratica in uno stato conservatore, l’uscente Heidi Heitkamp, in questo spot punta su un topos tipico nella comunicazione politica americana, cioè la third party validation. Chiamare in causa persone ‘terze’ (familiari del candidato, colleghi, semplici elettori) che possano consolidare la credibilità della campagna.

Ecco allora un ex sceriffo – che si presenta dicendo di aver votato “per il presidente”, senza citare per nome Trump – che, appoggiato al suo fuoristrada in una strada di campagna, certifica la determinazione di Heidi Heitkamp sui temi della sicurezza e dell’immigrazione, con toni che potremmo tranquillamente trovare nelle campagne di candidati repubblicani.

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Se siete interessati ad altri spot del genere (democratici moderati che cercano di farsi eleggere in stati rurali e conservatori), date un’occhiata a questi di Joe Donnelly in Indiana, lo spot autobiografico di Claire McCaskill in Missouri e la mini-serie agreste di Jon Tester in Montana.

6. Duncan Hunter (R) – California-50 – Ammar Campa-Najjar is a Security Risk

Un esempio interessante di “negative ad”, cioè uno spot di attacco all’avversario, è questo di Duncan Hunter, il candidato repubblicano in California-50, un collegio nell’entroterra di San Diego che viene considerato “lean Republican e in cui Trump ha vinto di 15 punti.

Bersaglio dello spot è l’avversario democratico, il 29enne Ammar Campa-Najjar, il cui nonno Muhammad Yusuf al-Najjar faceva parte dell’organizzazione terroristica Settembre Nero che orchestrò il massacro alle Olimpiadi di Monaco del 1972. Con toni cupi e un’iconografia decisamente tetra, Campa-Najaar viene presentato come un “rischio per la sicurezza”, che “sta lavorando per infiltrarsi nel Congresso”. Questo genere di spot nella comunicazione politica americana prevede solitamente una voce fuori campo e l’enunciazione di una serie di fonti (interviste televisive, titoli di giornali) al fine di dare credibilità alle accuse.

7. Brian Kemp (R) – Georgia – So Conservative

Brian Kemp, aspirante governatore repubblicano della Georgia, si trova, secondo i sondaggi, in una sfida all’ultimo voto con la democratica Stacey Abrams, che se eletta diventerebbe la prima donna nera governatrice nella storia degli USA.

In questo spot, a prima vista al confine con una parodia, lo vediamo alle prese con tutti gli elementi dell’immaginario conservatore: esplosioni, fucili, motosega e pick-up, con cui si propone di riportare a casa immigrati irregolari. Appare evidente l’intento di presentarsi come un candidato davvero conservatore, oltre i limiti del politically correct. Un effetto della crescente polarizzazione della politica americana?

8. Ron DeSantis (R) – Florida – Casey

Un altro candidato repubblicano che sembra aver scelto, stavolta più palesemente, i registri dell’auto-ironia è Ron DeSantis, aspirante governatore della Florida contro il democratico Andrew Gillum.

In questo spot la moglie di DeSantis, Casey, sembra voler raccontare il lato più personale e familiare del marito (“gioca con i bambini”, “legge storie”). Ma le immagini di vita domestica testimoniano, con una dose di auto-ironia, la solidità delle convinzioni trumpiane di DeSantis: costruisce il muro con il Messico (con mattoncini di cartone), legge estratti del libro di Trump, insegna ai figli a leggere “Make America Great Again”.

9. Beto O’Rourke (D) – Texas – Showing up

Per chiudere, non poteva mancare uno spot del democratico Beto O’Rourke, protagonista di una delle sfide più attese, quella per il seggio senatoriale in Texas in cui sfiderà Ted Cruz. Particolarmente interessante è il primo spot ufficiale della sua campagna: girato interamente con uno smartphone, ha documentato – attraverso un linguaggio che più disintermediato non si potrebbe – il tour di tutte e 254 le contee del Texas, un’iniziativa su cui Beto sembra aver puntato molto.

Lorenzo Pregliasco

Nato nel 1987 a Torino. Si è laureato con una tesi su Obama, è stato tra i fondatori di Termometro Politico, collabora con «l'Espresso» e ha scritto su «Politico», «Aspenia», «La Stampa».
È regolarmente ospite di Sky TG24, Rai News, La7 e interviene frequentemente su media internazionali come Reuters, BBC, Financial Times, Wall Street Journal, Euronews, Bloomberg.
Insegna all'Università di Bologna, alla 24Ore Business School e alla Scuola Holden.
Ha scritto Il crollo. Dizionario semiserio delle 101 parole che hanno fatto e disfatto la Seconda Repubblica (Editori Riuniti, 2013), Una nuova Italia. Dalla comunicazione ai risultati, un'analisi delle elezioni del 4 marzo (Castelvecchi, 2018) e Fenomeno Salvini. Chi è, come comunica, perché lo votano (Castelvecchi, 2019).
È direttore di YouTrend.

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