Si può affermare senza troppi timori che l’occupazione è la prima preoccupazione degli italiani: di fronte alle notizie sulla crisi economica, l’andamento dello spread e la Borsa ai minimi decennali, l’impatto finale più temuto del crollo degli investimenti e del calo del PIL è sul livello di occupazione e disoccupazione.
E allora vediamo come è messa la situazione italiana, in base agli ultimi dati Istat, relativi a maggio.
Occupazione: Innanzitutto in Italia lavorano 23 milioni e 34 mila persone, 98mila in più rispetto al maggio 2011, il massimo dal secondo trimestre 2009. Una nota molto importante da fare è che negli occupati in Italia sono considerati i cassintegrati, una parte dei quali altrove risulterebbero come disoccupati. Secondo i dati CGIL i cassintegrati nei primi 6 mesi del 2012 sono stati circa 500 mila, in aumento del 3,16% rispetto allo stesso periodo del 2011. Fatto salvo che i dati Istat sull’occupazione sono aggiornati a maggio e quelli CGIL sulla cassa integrazione a giugno, di conseguenza si tratta di circa 16 mila lavoratori in cassa integrazione in più, il che diminuisce ma non annulla il pur modesto aumento di occupazione. In generale come tasso di occupazione a maggio si raggiunge il 57,1%, con un aumento tendenziale annuo dello 0,3%, media di un aumento dello 0,8% tra le donne e una diminuzione dello 0,3% tra gli uomini. È questo un trend molto a lungo immutato nonostante la crisi (che ha solo rallentato la tendenza), per cui oggi siamo al 67,2% tra gli uomini (il minimo degli ultimi 8 anni) e al 47,2% (il massimo) per le femmine. Dai dati del primo trimestre 2012, che esamina anche le differenze territoriali, si evince come questo trend sia lo stesso al Nord, Centro e Sud.
Disoccupazione: il tasso di disoccupazione è salito a maggio al 10,1%, un 1,9% in più rispetto all’anno precedente, un aumento omogeno tra maschi e femmine (che rimangono tuttavia su valori diversi di disoccupazione, ovvero al 9,3% gli uomini e al 11,2% le donne). Storicamente parlando si deve tornare al 2000 per avere un dato del genere, anche se allora il gap uomini-donne era del il 6% e non del 2% come ora; parlando degli uomini il tasso attuale è un record degli ultimi 20 anni, mai raggiunto prima. Un’altra notazione da fare è che nel 2000 il tasso di occupazione era circa di un 2% inferiore ad ora. Il segmento più preoccupante è quello giovanile dai 15 ai 24 anni, in cui ora il tasso è al 36,2% con un progresso dell’8,9% dall’ultimo anno. È una notizia molto riportata dai media, anche se si deve far notare che il tasso di attività, su cui viene calcolata questa statistica, è molto basso in questa fascia.
Inattività: A maggio il tasso di inattività scende al 36,5%, l’1,4% in meno che un anno fa, il minimo degli ultimi 8 anni, il 25,9% per gli uomini e il 47% per le donne. La componente maschile è pressochè stazionaria, ma questa stabilità nasconde una diminuzione a Nord e Centro e un aumento di inattività al Sud. Per le donne si tratta invece del minimo storico, e il numero delle inattive è finalmente sotto quello delle attive, ed è diminuito del 1,8%.
Conclusioni: È chiaro che i risultati qui esposti sono il risultato di tendenze diverse, in alcuni casi anche opposte. Secondo Bankitalia, nel Bollettino Economico reso pubblico il 7 luglio, la diminuzione degli inattivi è attribuibile tra l’altro al minor numero di inattivi per misura di età e perchè percettori di pensione, tipicamente per l’aumento dell’età pensionabile, e il minor numero di studenti universitari, diminuiti negli ultimi anni.
Tuttavia, osservando le tabelle dell’ISTAT più esaustive pubblicate per i mesi precedenti e riguardanti anche le dinamiche territoriali, si nota come al Sud per esempio l’inattività femminile cala maggiormente (assieme al Nord-Ovest), per cui è probabile che vi sia anche una quota di persone, giovani donne del Sud appunto, che scelgono di ricercare lavoro, per bisogno e per mutamenti socio-culturali, come il ritardo dell’età del matrimonio e del primo figlio (che prima più frequentemente sfociava nella scelta/necessità di diventare casalinghe). Chiaramente questa componente di persone attive al contrario di quelle che ritardano il pensionamento finisce direttamente ad alimentare una maggiore disoccupazione.
E qui sta il punto fondamentale, messo in luce anche da un recente articolo del Financial Times, per cui in tempi di crisi, in cui la somma dei fattori è zero, vi è di fatto una sottrazione di posti disponibili ai più giovani da parte dei lavoratori più anziani con molte più sicurezze nel posto di lavoro. Senz’altro positiva è la resistenza del livello di occupazione, che è anzi in lieve aumento, sebbene sappiamo che si tratta di nuovo lavoro più che in precedenza a tempo parziale e di tipologia prevalentemente precaria. Tuttavia si ha la conferma che l’aumento di disoccupazione non deriva più di tanto dalla perdita di posti di persone già occupate quanto dalla frustrata intenzione di impiegarsi di molti giovani.
Il livello di produttività certamente non può avere una performance positiva in caso di una economia in declino e una occupazione addirittura in aumento; ma se si controllasse il numero di ore lavorate queste non registrerebbero un aumento, e considerando i cassintegrati si noterebbe come evidentemente il prodotto interno lordo per lavoratore cala meno di quanto si possa pensare, visto appunto il numero in ascesa di lavoratori part-time e la brusca frenata che hanno avuto i salari. È questa infatti la strategia non pienamente dichiarata a livello europeo, e condivisa dal governo Monti, un tentativo di operare una svalutazione interna nei fattori umani della produzione, per riacquistare competitività internazionale ed evitare un maggiore aumento della disoccupazione.
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