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Finlandia: vincono europeismo e ambientalismo

Dalla fine del secondo conflitto mondiale, bisogna attendere la scissione del Partito comunista (agosto 1985) e le elezioni del marzo 1987, perché in Finlandia il governo socialdemocratico sia sconfitto. È allora che il partito conservatore, ritornando a impegni ministeriali dopo ventotto anni, ottiene, per la prima volta dal 1945, la guida del Paese. Già alle elezioni del febbraio 1988, però, il socialdemocratico Koivisto è rieletto Presidente della Repubblica: si conferma la capacità di questa parte politica di garantire libertà di scelte interne ed esterne al Paese per cui, nonostante il rinnovo nel 1983 del patto d’amicizia, cooperazione e assistenza con l’URSS (1948), nel quadro della distensione internazionale, la Finlandia assume scelte proprie, esemplificate dall’adesione in qualità di membro effettivo all’EFTA (1986), a cui era associata sin dal 1961, e al Consiglio d’Europa (maggio 1989).

Dopo il crollo dell’URSS e a seguito delle elezioni legislative del marzo 1991, si forma un governo di coalizione non comprendente alcun partito della sinistra, guidato da M. Esko Aho, leader del Partito di centro. Nel 1994 poi, si tengono le prime elezioni con designazione diretta del Presidente, vinte dal socialdemocratico Martti Ahtisaari. Subito dopo, il primo gennaio 1995, la Finlandia aderisce all’Unione europea e, nello stesso anno, Paavo Lipponen, leader socialdemocratico forma un nuovo governo che prosegue la linea di austerità già intrapresa dal precedente, e riottiene il sostegno popolare alle consultazioni del 1999. Nell’anno successivo, viene per la prima volta eletta alla carica di Capo dello Stato una donna, Tarja Halonen (nella foto), anch’essa esponente del Partito socialdemocratico. Se nel 2003 Anneli Jäätteenmäki del Partito di centro è eletta a capo dell’esecutivo, le elezioni legislative del marzo 2007 assegnano al KESK, partito di area centrista del primo ministro Matti Vanhanen, la vittoria con il 23,1% dei voti, superando di misura le due altre principali formazioni del paese: i conservatori della Coalizione nazionale con il , il 22,3% e il Partito socialdemocratico con il 21,4%.

Ma alle elezioni legislative del marzo 2011, il partito centrista perde consensi (15,8%), mentre il partito conservatore, Coalizione nazionale, è il più votato (20,4%); seguono il Partito socialdemocratico (19,1%) e il partito di estrema destra, Veri Finlandesi (19%). Oggi, si sono appena concluse le elezioni presidenziali finlandesi (22 gennaio-primo turno e 5 febbraio-secondo turno), cui la Presidente uscente, Tarja Halonen, ultima di una lunga schiera di presidenti socialdemocratici, non ha potuto partecipare, avendo già portato a termine i due mandati presidenziali previsti dalla Costituzione. Si sono presentati ben otto candidati, espressione delle forze politiche rappresentate in Parlamento e, tra questi, nessuno ha ricevuto la maggioranza dei voti al primo turno. Così, con il 37 % e il 18,8 % dei voti rispettivamente, Sauli Ninistö del Partito della Coalizione Nazionale e Pekka Haavisto della Lega Verde si sono affrontati nel secondo turno decisivo.

Sauli Ninistö è stato Ministro delle Finanze in alcuni dei governi di grande coalizione a guida socialdemocratica – anche nel 2002 quando i finlandesi adottarono l’euro –, vicepresidente della Banca Europea degli Investimenti ed è tutt’oggi Presidente onorario del PPE: date le sue credenziali europeiste, si è temuta l’astensione di molti dei populisti euroscettici dei Veri Finlandesi, finiti al 9% al primo turno. Pekka Haavisto è stato invece il primo verde in Europa a diventare ministro (1995-1999), conducendo in seguito importanti progetti ambientali in diversi paesi del mondo (tra i quali Iraq, Afghanistan, Kosovo, Sudan) per le Nazioni Unite. Stando ai sondaggi, poteva fare affidamento sui voti dei socialdemocratici finiti al 7% al primo turno e degli attivisti di sinistra (al 5%), oltre a quelli del suo partito, i Verdi. L’incognita del secondo turno è stata giocata soprattutto dai voti dei sostenitori del Centro (17%) e dei liberali del Partito degli Svedesi (3%).

Negli ultimi giorni prima delle elezioni, sui media finlandesi, oltre alle vicende elettorali hanno avuto molto risalto le visite di Tarja Halonen agli stati vicini, dove la Presidente uscente è stata ringraziata dal suo collega estone Toomas Hendrik Ilves, per avere sostenuto le richieste di adesione all’Unione Europea di Tallin negli anni novanta, quando lei non era ancora in carica come Presidente della Repubblica. Così, i due candidati, nelle ultime battute della campagna elettorale presidenziale, si sono confrontati proprio sulla politica estera, ancora parte fondamentale delle competenze del Presidente della Repubblica finlandese, nonostante le riforme introdotte nel 2000 abbiano leggermente inciso le prerogative del Capo dello Stato in merito alla politica comunitaria europea. In uno degli ultimi incontri fra i due candidati passati al secondo turno, entrambi hanno concordato su una politica di sostegno dell’autonomia decisionale finlandese e della cooperazione con le maggiori istituzioni internazionali e occidentali. Pekka Haavisto ha poi sottolineato la questione, sollevata inizialmente dalla leader del partito di Centro Mari Kiviniemi, della necessità di assicurare una maggiore condivisione di informazioni con il Parlamento unicamerale finlandese riguardo le mosse del Presidente nella gestione della politica internazionale – in particolare quando si tratta dei colloqui con la Federazione Russa.

In un contesto di crisi economica e, soprattutto, data la situazione della moneta unica, altro punto centrale della campagna elettorale è stato il tema dell’integrazione monetaria. Paese di tradizione politica concertativa, con un Parlamento monocamerale dominato da partiti centristi – sebbene la squadra che sostiene l’esecutivo sia guidata dal conservatore Jyrki Katainen, dello stesso partito di Ninistö – la Finlandia è investita da un dibattito critico rispetto all’azione comunitaria, moderato ma crescente. Si tratta di un dato che deve essere interpretato anche con riguardo al richiamo alla solidarietà  che, in tempi difficili come quelli odierni, inevitabilmente chiama in causa paesi come la Finlandia, ancora forti del loro rating di tripla A. Così, anche i candidati passati al secondo turno, sebbene europeisti, non hanno certo cantato le lodi della moneta unica.

Infine, il 5 febbraio scorso, il conservatore Sauli Niinistö si è aggiudicato il ballottaggio per la Presidenza: il verde Haavisto si è infatti fermato al 37,4%, mentre Sauli Ninistö ha prevalso con il 62,6% dei voti, diventando quindi il dodicesimo Presidente della Finalndia, il primo a non vestire la casacca dei socialdemocratici negli ultimi 30 anni e, per il Partito della Coalizione Nazionale conservatore, il primo Capo di Stato dal 1956. Ninistö, che si insedierà il primo marzo, non ha mantenuto nelle votazioni il consenso da cui partiva e che, tre mesi fa, gli prospettava nei sondaggi una vittoria al primo turno con più della metà dei voti. Ad ogni modo, il nuovo Presidente ha avuto la maggioranza in 14 collegi elettorali su 15, mentre Haavisto ha prevalso soltanto nel collegio delle isole Aland, arcipelago di lingua svedese a statuto speciale. Su quest’ultimo, se si pensa che fino all’estate scorsa il consenso del partito ambientalista – parte minoritaria della grande coalizione che esclude i populisti euroscettici di destra Veri Finlandesi e il centro, partito perdente delle ultime elezioni politiche – era misurato intorno al 5%, il risultato ottenuto da Haavisto deve considerarsi assolutamente un successo.

In particolare, ad Helsinki il secondo turno è stato un testa a testa, vinto da Sauli Ninistö per un soffio, con il 50,3% dei voti. La capitale finlandese si conferma, infatti, un’apripista per il movimento ambientalista, che qui in passato ha già superato il 20%, e mai come oggi si è imposto come forza guida dell’intera area progressista, in crisi dopo il progressivo slittamento al centro dei socialdemocratici e l’inevitabile appannamento di tutti i partiti coinvolti nell’esecutivo di grande coalizione, di cui anche i Verdi fanno parte. Notevole appare comunque il successo di Haavisto e del suo partito, i Verdi, che hanno moltiplicato i propri voti nel primo turno, sconfiggendo partiti tradizionali con enorme seguito e mezzi – dal centro ai socialdemocratici –, maggioritari nelle urne fino all’anno scorso e considerati, fino a poche settimane prima del voto, maggiormente in grado di arrivare al secondo turno. Lo scenario politico nazionale vede per la prima volta, il candidato socialdemocratico non passare al secondo turno: Paavo Lipponen si è attestato in quinta posizione, con un misero 6,7% dei voti.

Novità di queste elezioni presidenziali sono anche legate all’interesse che ha suscitato in tutta Europa l’avanzamento di forze populiste. Le elezioni legislative dello scorso anno, infatti, hanno visto entrare in Parlamento un sorprendente numero di deputati del partito Veri Finlandesi, che ben s’inserisce nel panorama della nuova destra populista europea, con posizioni per lo più imperniate sui temi dell’antieuropeismo, del conservatorismo sociale e del localismo, spesso ai limiti della xenofobia. In tal senso, seppure non abbia vinto al secondo turno, l’outsider Haavisto, ambientalista, omosessuale dichiarato e attivista per i diritti umani, ha archiviato bruscamente le ambizioni della destra euroscettica. Inoltre, la tendenza a chiusure nazionaliste in Finlandia, emersa dalle consultazioni elettorali del marzo 2011, può dirsi esaurita anche e proprio in virtù dell’elezione presidenziale di Ninistö, indubbiamente europeista.

In conclusione, il rafforzamento dell’europeismo e dell’ambientalismo di sinistra potrebbero diventare il punto di riferimento di una nuova alleanza progressista, mentre il risultato conseguito dal partito della nuova destra populista e dal suo candidato Timo Soini – che ha comunque raccolto il 9,4% dei consensi – risulta ancora marginale, salvo sotto il profilo simbolico.

 

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