L’ultimo sondaggio svolto da YouGov in sette paesi europei (Germania, Francia, Gran Bretagna, Italia, Norvegia, Svezia Danimarca) sembra mostrare la Gran Bretagna il piena rotta di collisione con l’Europa. Il 60% dei britannici vorrebbe rinegoziare la partecipazione all’Unione Europea o uscire direttamente.
L’ascesa dell’Euroscetticismo non si limita alla Gran Bretagna. L’ultima ricerca di Eurobarometro conferma che a dieci anni dall’introduzione dell’Euro il consenso per la moneta unica nei 27 paesi membri rimane forte ma è in costante deterioramento (grafico). Nel novembre 2011 il 53% degli Europei (27 stati) supportava l’unione economica mentre il 40% si diceva insoddisfatto o contrario. Nei 17 paesi dell’Eurozona il consenso per l’Euro sale al 64% contro un 29% di contrari.
Secondo YouGov circa due terzi degli inglesi è contrario a dare all’Europa “controllo” su qualsiasi policy-area, e l’ostilità verso l’Europa sale ancora di più se si parla di controllo su immigrazione, regolamentazioni finanziarie, giustizia penale (85% contrari), e tassazione (89% contrari). Non stupisce che la stampa euroscettica si sia lanciata su questi numeri dimenticando la cosa più importante: il come sono formulate le domande (framing), che spesso conta più delle risposte.
In un altro sondaggio, svolto appena due settimane prima, sempre YouGov aveva posto allo stesso panel lo stesso problema, formulato in termini di “cooperazione europea” e non “controllo europeo”, ottenendo risultati spesso opposti. Il 45% dei britannici ora vorrebbe “più cooperazione” su immigrazione (35% contrari), commercio (41% favore, 26% contrari), relazioni con emergenti potenze asiatiche (42% favore, 17% contrari). Sulla giustizia penale l’85% dei britannici è contrario a qualsiasi controllo Europeo (8% a favore) ma quando la stessa domanda è posta in termini di cooperazione i contrari scendono a meno della metà (40%) e i favorevoli più che triplicano (30%).
La lezione che se ne trae è molto importante: nessuna delle due formulazioni è sbagliata ma entrambe sono, in qualche modo, distorsive. Nel caso dell’Inghilterra è interessante notare come il dibattito sull’Europa sia presentato in termini diversi che nel resto dell’Europa e questo si riflette anche nei sondaggi. In Inghilterra la politica viene vista come un gioco a somma zero in cui il potere può essere trasferito verso l’alto (Bruxelles) o devoluto verso il basso (Scozia) ma non può mai essere “condiviso”.
All’origine dell’euroscetticismo inglese c’è l’assunto che una sovranità condivisa è sovranità perduta: se una misteriosa entità “aliena” chiamata Bruxelles si impossessa di nuove competenze, gli stati membri ne vengono denudati per sempre. Questa visione accomuna sia la cultura politica che l’opinione pubblica. Per esempio il 51% dei Britannici si direbbe favorevole a una tassazione europea sui profitti bancari (contro il 74% dei Francesi, 67% dei tedeschi e 72% degli italiani), il 41% supporterebbe “un sistema di tassazione comune nell’Unione Europea collegato a sanzioni verso paesi eccessivamente indebitati” (a favore anche il 59% dei francesi, 64% dei tedeschi e 56% degli italiani). Tuttavia, quando si parla di dare più potere all’Autorità Europea per la regolazione dei mercati finanziari, i Britannici – da soli – sono contrari.
Alcune differenze culturali si ritrovano nel sistema politico inglese: centralizzato e fondato su elezioni maggioritarie che penalizzano i piccoli partiti e rendono rare le coalizioni. Al contrario la quasi totalità dei parlamenti europei è eletta con sistemi proporzionali e molti stati sono governati da costituzioni federali (o regionaliste) che incoraggiano forme di condivisione del potere. È quindi inevitabile un divorzio tra Europa e Gran Bretagna? In realtà le cosiddette spiegazioni culturali non offrono alcuna previsione. Lo stesso Regno Unito si fonda su un patto costituzionale tra due paesi prima indipendenti e la sovranità è stata per secoli condivisa tra rappresentanti eletti – e non eletti – a Westminster.
La cultura politica ha invece un forte impatto su come vengono presentati i problemi – e le domande dei sondaggi. Fare sondaggi con professionalità significa, innanzitutto, capirne i limiti e presentare il quadro completo. I sondaggi non sono le “opinioni dei cittadini”, sono risposte a specifiche domande e quindi inevitabilmente contradditorie (come sanno gli appassionati di una famosa serie televisiva americana). Nelle battaglie d’opinione chi ridefinisce le domande ha spesso già vinto anche le risposte.
Una versione di questo articolo è stata pubblicata dall’autore sull’Huffington Post UK con il prof. Andrew Gamble (Università di Cambridge)
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