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“Niente lacrime, a noi interessa solo il sangue”

Secondo i dati Censis nel 2020 l’Italia non riuscirà a coprire l’intero fabbisogno di sangue a causa dei mutamenti demografici. Ma le varie associazioni sono già in moto per allargare il numero di donatori.

La Fidas, ovvero la Federazione Italiana delle associazioni di donatori di sangue, lancia l’allarme: nel 2020 le unità di sangue donate potrebbero non soddisfare l’intero fabbisogno nazionale.

Se si considera che il fabbisogno di sangue stimato per un paese come l’Italia si attesti intorno alle 40 unità ogni 1000 abitanti, con le 2.650.000 unità circa di sangue donato nel 2011 l’Italia ha totalmente coperto la domanda interna, in quanto è riuscita a garantire 43,8 unità ogni 1000 abitanti. Questo risultato, che a dire la verità viene raggiunto da ormai diversi anni, è tutt’altro che scontato per un paese che basa l’intero sistema di donazioni su principi solidaristici e volontaristici, escludendo qualsiasi forma di remunerazione o di ricompensa (a meno che non si vogliano considerare forme di remunerazione lo “spuntino” post donazione e la giornata di riposo garantita ai lavoratori dipendenti). Ovviamente non tutto il territorio nazionale registra dati virtuosi inerenti le donazioni, ma attraverso un sistema di trasferimenti è possibile attivare una sorta di cooperazione tra regioni best practice e regioni con performance peggiori, garantendo una distribuzione omogenea di sangue e suoi derivati a seconda delle necessità.

Il quadro nazionale però, che letto in maniera statica presenta più luci che ombre, rischia di cambiare prospettiva se viene letto con un’ottica dinamica, e cioè considerando gli scenari futuri. Il fabbisogno di sangue rischia infatti di non essere più coperto non tanto per variazioni nei comportamenti dei donatori o per carenze del sistema sanitario nazionale, quanto piuttosto per i mutamenti demografici che stanno investendo il paese. Il minore incremento demografico che da anni si registra sul nostro territorio, e il conseguente invecchiamento della popolazione, rischia di produrre effetti dirompenti per il sistema donatorio italiano. Da una parte infatti aumenterà la popolazione anziana, ovvero quella che più di tutti necessita di cure che comportano terapie trasfusionali, dall’altra andrà riducendosi la popolazione compresa tra i 30 e i 55 anni, quella cioè che fornisce il maggior contributo in termini di sangue donato.

Partendo proprio da queste considerazioni, la Fidas ha attivato una collaborazione con il Censis volta a comprendere gli scenari futuri e ad adottare tempestivamente delle contromisure. Secondo lo studio “La donazione del sangue alla luce dell’evoluzione demografica del paese” la fascia di età che attualmente garantisce più unità di sangue è quella che va dai 36 ai 45 anni con il 27,9% di unità donate. Nel 2020 però, se non verranno fatti gli sforzi e gli investimenti necessari, è presumibile che questa fascia di età subirà un calo relativo del 14,5%.

Proprio per questo la ricerca si pone l’obiettivo di individuare il profilo tipico del donatore medio, di modo da poter investire su quelle fasce della popolazione che un domani dovranno sostenere gran parte del fabbisogno di donazioni, ovvero i cosiddetti donatori giovani (di età compresa tra i 18 e i 28 anni), che già oggi contribuiscono in modo significativo alla raccolta annuale (costituiscono il 19,5% del panorama totale dei donatori).

Per quanto riguarda il profilo del donatore, l’indagine Censis sul campione di donatori iscritti ad ad associazioni federate Fidas rileva che c’è una netta prevalenza di donatori maschi rispetto alle femmine: i primi costituiscono infatti il 68,8% del totale dei donatori italiani. Questo squilibrio presenta divergenze considerevoli a seconda dell’età. Il divario tra generi infatti risulta minimo nella classe di età inferiore ai 29 anni (una donna ogni 1,40 uomini) mentre raggiunge un rapporto pari a 2,6 nella classe di età oltre i 46 anni, a fronte di una media del campione pari a 2,2.

Un’altra componente interessante a proposito del profilo del donatore sembra essere quello della condizione professionale e del tipo di professione svolta. I donatori occupati infatti sono il 74,7% del totale (a fronte di una media nazionale degli occupati che si aggira intorno al 59,9%), i disoccupati in cerca di lavoro il 4,3% (contro i 5,3% della media italiana), mentre le persone inattive (pensionati, casalinghe ecc.) riguardano il 21% dei donatori (la media nazionale è del 37,8 della popolazione italiana tra i 15 e i 64 anni). Queste percentuali indicano che la cultura della donazione fa più breccia nei settori più attivi e più impegnati nella società.

Per quanto riguarda il tipo di professione svolta, dominano gli impiegati con il 35,8% dei donatori, seguiti dagli operai (27%). Interessante il dato riguardante i militari: sono il 3,7% dei donatori ma solo lo 0,5% della popolazione.

Ma per capire dove e come investire per coinvolgere un numero sempre maggiore di donatori periodici è importante capire le motivazioni che spingono gli individui ai lettini dei vari centri di raccolta. Dai dati rilevati dalla ricerca emerge che la motivazione principale che muove un donatore periodico, oltre ai buoni propositi di altruismo e di senso civico, è la possibilità di tenere sotto controllo la propria salute. Ed è proprio su questo punto quindi che le ultime campagne comunicative adottate dalle varie associazioni di promozione di donazione spingono l’acceleratore. Si cerca di trasmettere il messaggio che la donazione rappresenta un’occasione per tutelare il proprio benessere, condividendolo però con altri come atto di altruismo e generosità, trasformando un gesto apparentemente “cruento” in normale ed edificante. Un possibile slogan buono in tempi di governo tecnico? “Niente lacrime, a noi interessa solo il sangue”.

 

Roberto Mincigrucci

Nasce il 22/09/1988 ad Assisi, vive a Torgiano (PG). Consegue nel 2010 la laurea triennale in Scienze Politiche all'Università degli Studi di Perugia. Attualmente frequenta un corso di laurea magistrale in Scienze della Politica e del Governo all'Università degli Studi di Perugia. Collabora con il Corriere dell'Umbria e con Youtrend.

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