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Siamo sicuri che i suicidi siano frutto della crisi?

Le notizie quotidiane su imprenditori e lavoratori disperati che si tolgono la vita sono agghiaccianti, eppure per analizzare un fenomeno complesso come il suicidio non basta riportare fatti di cronaca, dando loro letture affrettate che possono portare all’emulazione i soggetti più deboli. Molti mezzi d’informazione, tra cui la Repubblica, hanno spesso sottolineato la presunta relazione tra il susseguirsi di questi drammi e la crisi economica che stiamo vivendo. La versione online del giornale fondato da Scalfari ha addirittura aperto la sezione “Suicidi per la crisi” che aggrega tutte le notizie di cronaca riguardo quell’argomento. L’ipotesi di Repubblica sarebbe in teoria anche plausibile, ma per diventare inconfutabile avrebbe bisogno di dati altrettanto certi su cui poggiare.

La sciagura è che almeno per quanto riguarda la stretta attualità non esistono dati che possano confermare (o smentire) l’aumento dei suicidi per motivi economici, ad eccezione di quelli della Cgia di Mestre che riguardano, però, solo gli imprenditori. In Italia, l’unico istituto in grado di riportare dettagliatamente la situazione dei suicidi è l’Istat, che a sua volta basa la sua rilevazione statistica sui «dati accertati dalla Polizia di Stato, dall’Arma dei Carabinieri e dalla Guardia di Finanza in base alle notizie contenute nella scheda individuale di denuncia di suicidio o tentativo di suicidio trasmesso all’atto della comunicazione all’Autorità giudiziaria».

L’Istat non solo è in grado di riferire il numero esatto delle persone suicide ogni anno, ma grazie ai verbali delle forze dell’ordine riesce a risalire anche alla condizione professionale o al movente che spinge all’insano gesto. Tuttavia quest’operazione di raccolta, lavorazione e pubblicazione dei dati richiede più di un anno, motivo per cui le tavole pubblicate il 5 marzo scorso non si riferiscono al 2011, ma al 2010. A questo punto risulta chiaro un fatto: riportare numeri relativi a due anni fa per spiegare eventi attuali è più che mai errato e sviante.

Le tabelle e i grafici che seguono si riferiscono proprio ai dati Istat tra il 2005 e il 2010 (ultima rilevazione).

Come si può notare, non sempre accade che all’aumentare del numero dei suicidi totali coincida un aumento del numero dei suicidi per motivi economici. Questo fenomeno è evidente proprio negli ultimi anni: tra il 2009 e il 2010 sono diminuite le persone che si sono tolte la vita per motivi economici mentre è aumentato il totale dei suicidi. Semmai si volesse fare un’analisi su questo trend, bisognerebbe considerare la situazione lavorativa, economica e sociale specifica di quegli anni.

La tendenza, sia essa particolare o generale, non ci racconta nulla dell’oggi. Non si possono fare previsioni né proiezioni sicure sui suicidi che hanno segnato tragicamente questi mesi, né tantomeno si può definire con certezza la fine di una vita umana come effetto della crisi economica. Anche perché nella prospera Germania ci si suicida il doppio che da noi, mentre nella disastrata Grecia il numero di morti volontarie è bassissimo (circa la metà rispetto all’Italia). Il primo caso è perfettamente in linea con quello che il sociologo francese Durkheim definiva come suicidio anomico, la cui frequenza tende ad aumentare in periodi di crisi economica o, inaspettatamente, in fase di estrema prosperità.

Stando ai dati Istat degli ultimi due anni disponibili, comunque, si ricava che c’è stato un suicidio di natura economica ogni due giorni. Una media spaventosa, che apparentemente non sembra essere stata mantenuta nei primi mesi di quest’anno, stando ai pur tanti casi di “suicidio per la crisi” riportati dai mezzi d’informazione. A ogni modo, prima di avere un quadro affidabile sulla situazione odierna dei suicidi per cause economiche (e della loro incidenza sui suicidi totali), bisognerà aspettare il 2014.

Nel frattempo gli unici di cui già si conoscono i numeri, grazie ai dati aggiornati dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, sono quelli avvenuti nelle carceri. Dal 2009 il numero di morti volontarie in cella è aumentato vertiginosamente ed è rimasto costante gli anni successivi: senza dubbio un argomento di cui si potrebbe parlare maggiormente sui media, corredato da statistiche aggiornate e affidabili.

Giuseppe Ceglia

Classe 1987, nasce ad Avellino dove vive fino alla maggiore età. Nel 2005 si trasferisce a Siena dove studia e collabora con il Corriere di Siena. Dopo essersi laureato in comunicazione si trasferisce a Roma per specializzarsi in giornalismo. Dal 2006 è un wikipediano attivo (in particolare, tiene d'occhio tutte le voci riguardanti la sua terra d'origine). Ha collaborato con il Corriere di Siena, Termometro Politico, e YouTrend. Attualmente lavora come addetto stampa e assistente parlamentare.

2 commenti

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  • grazie per le informazioni dell’articolo, ho letto con attenzione poi i dati completi dell’istat e ho trovato altre correlazioni interessanti. Ottimo lavoro