Se c’era ancora bisogno di dimostrare quanto i media internazionali non riescano a capire le dinamiche profonde dell’Egitto e del Nord Africa, i sentimenti della popolazione nel complesso, queste elezioni presidenziali egiziane l’hanno ulteriormente messo in chiaro.
Innanzitutto la frammentazione stessa, il fatto che il candidato più votato non ha ottenuto più di un quarto dei voti validi, e cinque hanno superato il 10% (che vuol dire in Egitto milioni di voti), indica una società sfaccettata e con equilibri non scontati. Inoltre, e soprattutto, ancora una volta le forze e i candidati più noti, più seguiti e probabilmente dati per favoriti in Occidente non hanno avuto successo (le previsioni degli analisti occidentali su una lotta tra Moussa e Fotouh, si sono rivelate assolutamente infondate).
I candidati principali alla carica di presidente erano:
– Mohamed Morsy, leader dei Fratelli Musulmani, candidato in modo improvvisato e in sordina dopo l’eliminazione da parte della Corte Suprema della guida dei Fratelli El Shater. È stato candidato nonostante il precedente impegno del partito di non partecipare alle presidenziali, per non impaurire l’Occidente timoroso che gli islamisti potessero prendere tutto il potere dopo aver vinto le elezioni legislative. Apparentemente solo un grigio candidato “di bandiera”, si è basato sulla capillare presenza dei Fratelli Musulmani nella società più che sul sul carisma. Promette di instaurare un consiglio di clerici per sorvegliare sull’aderenza delle leggi ai princìpi islamici, ma propone anche minore regolamentazione in economia, e minore intervento dello Stato. Sostiene una revisione ma non cancellazione degli accordi con Israele.
– Ahmed Shafik, inizialmente escluso perchè primo ministro sotto Mubarak, è stato poi riammesso: pilota d’aereo, poi capo dell’Aviazione egiziana, ministro per l’Aviazione, e primo ministro per un mese nell’inverno 2011, quando fu poi costretto alle dimissioni, ma rimase sotto l’ala protettiva del Consiglio dell Forze Armate che sostituirono il rais nella gestione del potere. Mira a garantire sicurezza, mettendo fine ai disordini, e impedendo una islamizzazione del Paese.
– Hamdeen Sabahi, oppositore di Mubarak, socialista, più precisamente “nasseriano”, quindi anche molto nazionalista: per esempio è contrario all’alleanza stretta con l’Occidente, si batte per una maggiore giustizia sociale, per un maggiroe coinvolgimento della popolazione nelle decisioni, come nello spirito della Rivoluzione, per diminuire i poteri del Presidente nei confronti del Parlamento.
– Abdel Moneim Aboul Fotouh: ex membro molto noto e rispettato dei Fratelli Musulmani, popolare soprattutto in ambienti universitari e giovanili, fu espulso quando decise di testa sua di candidarsi, oppositore sia di Sadat che di Mubarak, ma noto per le sue posizioni di apertura, ha ricevuto l’endorsement sia dei musulmani più moderati, per esempio Al Wasat, ma anche dei salafiti, probabilmente per contrastare i rivali Fratelli Musulmani. Prometteva la fine della giurisdizione dei militari sui civili, una repubblica più parlamentare che presidenziale, il rispetto dei diritti umani, non vuole l’imposizione dei princìpi islamici ai non musulmani e in economia puntava a raggiungere il 25% di spesa per l’educazione e la ricerca scientifica.
– Amr Moussa, il candidato più noto all’estero e il primo a scendere in campo, ex diplomatico e Segretario Generale della Lega Araba (ma anche ministro degli Esteri), puntava all’elezione democratica anche dei governatori locali, a una maggiore lotta alla corruzione, allo sviluppo del più povero Alto Egitto, a fare dell’Egitto il Paese guida del Medio Oriente nei confronti del resto del mondo e dell’Occidente, verso cui mantenere comunque una forte collaborazione. Nel 2011 dai primi sondaggi appariva essere in assoluto il favorito, pur se criticato per i suoi legami con il regime di Mubarak e per la vaghezza delle sue opinioni e dei suoi programmi pieni di compromessi.
I risultati:
Spicca subito l’affluenza decisamente inferiore rispetto alle elezioni politiche, per una disillusione che ha colpito soprattutto i partiti islamici.
Per mesi la partita sembrava dover giocarsi solo tra Moussa e Fotouh, del resto i candidati più carismatici e noti. I sondaggi hanno miseramente fallito, anche per la difficoltà di raggiungere campioni rappresentativi della popolazione. Il Cabinet Decision Support Centre, uno degli istituti di sondaggio, ha candidamente ammesso che più del 40% del campione provenisse dalla classe medio-alta, che in realtà rappresenta una percentuale molto minore dell’elettorato, e non stupisce che risultassero in testa Moussa e Fotouh, e poi anche Shafik, ma mai Morsy, votato dalla popolazione religiosa a reddito basso e poco esplorata dai sondaggi.
In realtà pian piano si sono attivate le macchine elettorali più strutturate, dei Fratelli Musulmani da una parte, ma anche dell’esercito e della Chiesa copta dall’altra. Nonostante il gradimento per i Fratelli, così come quello per i salafiti, sia calato nel frattempo, dal 63% al 43% (dati Gallup), a causa della persistente incertezza, del polso non fermo, dei contrasti con la giunta militare, di un’economia sempre più fragile: non si comunque è verificata la marginalizzazione degli islamisti dalle elezioni come alcuni prevedevano, anche per la figura grigia di Morsy come candidato, e nonostante la minore affluenza li abbia certamente danneggiati, la macchina elettorale e la struttura capillare ha garantito la prima posizione. Morsy ha però beneficiato anche del voto di diversi salafiti non attratti dalla scelta moderata del partito di appoggiare Fotouh.
In realtà vediamo che il voto islamico, considerando Morsy e Fotouh come esponenti del mondo religioso, è significativamente calato rispetto alle elezioni parlamentari, raccogliendo il 41% (ben il 20% in meno). In effetti vediamo che le grandi aree urbane hanno premiato largamente Sabahi, che ha sfondato tra i sostenitori della Rivoluzione, l’elettorato di sinistra, meno colpito dall’astensione – anzi, in qualche caso coloro che avevano boicottato le elezioni parlamentari in ultimo si sono rivolti proprio a Sabahi, con il suo appello alla giustizia sociale, alla cacciata dei militari dalla sfera pubblica. In particolare Sabahi ha avuto più del 34% sia ad Alessandria che a Il Cairo, e se ad Alessandria il secondo posto è andato a Fotouh appoggiato dai salafiti (che avevano la roccaforte proprio in città), a Il Cairo è giunto secondo Shafik, a dimostrazione di come Alessandria sia una delle città più rivoluzionarie (tanto che qui Shafik è arrivato al quinto posto molto al di sotto della media). Probabilmente Sabahi nelle aree urbane ha colto voti sia nell’élite di sinistra rivoluzionaria e nei giovani ma anche nel proletariato, che in parte (ad Alessandria per esempio, ma anche a Port Said) si erano rivolti prima agli islamisti soprattutto salafiti, e infine ha beneficiato dell’astensione di elettori dei salafiti stessi e dei Fratelli musulmani.
Shafik ha benficiato della macchina elettorale dei “feloul”, ovvero il vecchio regime, che alle elezioni parlamentari si erano dispersi, ma già allora sommando i voti a candidati indipendenti dell’ex partito di Mubarak, vi era una base non risibile di consenso, che si è ingrandita con l’apporto e l’aiuto dell’apparato militare, i timori di molti elettori di ogni classe sociale, anche islamisti (ha avuto risultati molto positivi nella regione rurale del delta del Nilo, prima roccaforte dei Fratelli musulmani), e una mobilitazione in suo favore della minoranza copta (10% della popolazione) diffusa in villaggi rurali lungo il Nilo, che cercano un ritorno della tranquillità e della sicurezza contro gli attacchi recentemente subiti, e di cui godevano ai tempi di Mubarak.
A Fotouh e Moussa, i grandi favoriti dell’inizio della campagna elettorale, sono rimasti gli altri, minori, consensi. Fotouh ha raccolto i voti degli islamici liberali, quelli dei giovani studenti musulmani delle università, più che dei salafiti che ufficialmente lo appoggiavano, e così Moussa che con il suo 11% è riuscito sono a radunare alcune elite urbane che non si erano già rivolte a Sabahi o Fotouh stesso.
Così, apparentemente e a sorpresa, pare che si riproponga lo scontro tra il vecchio regime, ovvero, il partito nazionaldemocratico di Mubarak e i Fratelli musulmani, come è stato per 30 anni, quando questi ultimi sono stati l’unica opposizione visibile. Chiaro è lo sconcerto dei più accaniti sostenitori della Rivoluzione, e pare in queste ore che i sostenitori dei candidati esclusi, al di là delle proteste di rito per presunti brogli, indichino chi più chi meno esplicitamente di votare per Morsy, o meglio contro ogni pericolo di ritorno al passato, al potere dei “feloul” del vecchio regime. Molti tra i rivoluzionari affermano di volere boicottare il secondo turno, o di opporsi all’islamismo che già domina il Parlamento, e avrebbe così tutto il potere, Fotouh invece chiaramente dice di votare contro Shafik.
In realtà questi risultati indicano a chiunque vincerà che non ha effettivamente più di un quarto del voto di meno di metà degli egiziani, che sono quanto mai divisi, sempre pronti a ritornare in piazza e a non firmare cambiali in bianco per nessuno. E che come anche Shafik ha detto, indietro non si torna.
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