Sono giorni di acceso dibattito tra i grandi spin doctor democratici americani, in merito alla strategia da adottare per rivincere alle elezioni Presidenziali di novembre.
Le discussioni sono state aperte da Stanley Greenberg e James Carville, i grandi registi della war room di Bill Clinton nel 1992, che in una nota di Democracy Corps, la loro agenzia di consulenza politica, hanno attaccato l’attuale piano elaborato dallo staff obamiano. In particolare, i due consulenti sottolineano come sia inefficace il ritornello del Presidente sulla ripresa economica, la quale sarebbe così impercettibile da risultare inesistente agli occhi degli americani. Questo messaggio sarebbe quindi controproducente e farebbe risultare Obama “out of touch”, ovvero “fuori dal mondo”, estraneo ai problemi quotidiani degli americani. Non proprio un bel risultato per uno che si candida alla rielezione alla Presidenza degli Stati Uniti d’America.
Le ricette che i due spin contrappongono alle linee strategiche di Obama sono un classico del repertorio di Greenberg, ovvero proposte che va ripetendo in saggi e interviste dai primi anni ’90: creare una nuova narrazione che guardi al futuro invece che al passato, e soprattutto che metta al centro il progetto del Presidente per ridare dignità alla middle class, il ceto medio a cui l’ex stratega clintoniano è da sempre affezionato. Lo staff obamiano si è affrettato ad assicurare che il messaggio del Presidente non cambierà, ma solo nei prossimi mesi sapremo se gli strateghi di Democracy Corps avranno influenzato la campagna elettorale di quest’anno oppure no.
Per quanto riguarda invece il piano per arrivare a 270 voti elettorali, la strategia di Obama appare chiara, in continuità con il 2008.
La strategia del 2008 fu rivoluzionaria soprattutto per un aspetto: da sempre, gli spin doctor dei candidati studiano il modo migliore di vincere le elezioni investendo immense quantità di denaro negli swing states. Obama, invece, oltre ai classici investimenti in quegli stati, spese notevoli quantità di tempo e denaro per la campagna in alcuni stati tradizionalmente repubblicani.
Una strategia “eretica”, poi rivelatasi vincente. Il repubblicano McCain, in svantaggio a livello nazionale, si trovò improvvisamente non solo a dover recuperare il gap nei tradizionali swing states come l‘Ohio, la Pennsylvania, la Florida, ma anche in alcuni stati storicamente fedeli al suo partito, colorati di rosso (il colore dei repubblicani) in quasi tutte le mappe elettorali della storia americana, come Indiana, North Carolina e Virginia. Per dirla con le parole di Ted Devine, consulente tra gli altri, di Al Gore e John Kerry, “la mappa elettorale è diventata dinamica”.
Quattro anni dopo, questa strategia rimane un punto fermo della campagna elettorale di Obama.
La sua non eccezionale popolarità e il job approval sotto il 50% hanno portato Mitt Romney in vantaggio in alcuni stati vinti da Obama quattro anni fa, e hanno rimesso in gioco i classici stati chiave. Questo recupero elettorale da parte dei Repubblicani non ha però scoraggiato lo staff del Presidente, che ha già cominciato la propria campagna da mesi.
Quest’anno, infatti, come ha evidenziato in un “epico” videomessaggio ai volontari della campagna elettorale Jim Messina, campaign manager di Obama, ci sono vari modi per i Democratici di vincere le elezioni e raggiungere i 270 electoral votes. Alcuni più tradizionali, altri più creativi.
Si parte con la situzione di base del 2004, ovvero i 292 voti elettorali raggiunti da Bush contro i 246 di John Kerry: di quegli stati vinti dai Democratici, l’unico incerto è il New Hampshire, che tuttavia, come ha sottolineato anche sulle nostre pagine la consulente Dorie Clark, difficilmente cambierà colore.
Ci sono cinque strade per raggiungere la maggioranza degli electoral votes, secondo Messina.
La prima è il West Path, la “Via dell’Ovest”, che prevede la vittoria dei tre stati chiave del West, ovvero Colorado, Nevada e New Mexico, in aggiunta alla conferma della vittoria nel 2008 in Iowa (e riconfermando gli stati conquistati nel 2004): basterebbero queste quattro vittorie per la rielezione, che arriverebbe con il raggiungimento di 272 voti elettorali. In questo caso, le sconfitte in Florida e Ohio potrebbero addirittura essere indolori.
La seconda strada per la vittoria è quella che lo stesso Messina definisce “The easiest way to win”, ovvero il Florida Path: confermando tutti gli stati vinti da Kerry, il Presidente potrebbe vincere conquistando la sola Florida.
Il South Path è invece la concretizzazione di quella strategia rivoluzionaria di cui avevamo precedentemente parlato: l’elezione non è più giocata solo sui tradizionali stati moderati che di elezione in elezione si spostano da destra a sinistra e viceversa, ma diventa una campagna in tutto il Paese, anche nelle aree tradizionalmente conservatrici. Così Obama ha vinto nel 2008, trionfando in territori repubblicani del Sud come Virginia e North Carolina. Con la conferma di questi soli due Stati, Obama rivincerebbe con 274 voti.
Il Midwest Path, invece, prevede la conquista di territori come l‘Iowa, lo Stato dove iniziò la grande vittoria del Presidente contro Hillary Clinton alle primarie, e l’Ohio, lo swing state tradizionalmente più decisivo e importante.
Infine, Messina tira fuori l’asso dalla manica. La quinta strada serve anzitutto a ricordare che il Team Obama non passerà i prossimi mesi a difendersi, e a difendere gli Stati conquistati nel 2008. Non per nulla l’ultima electoral map ha il titolo suggestivo di Expansion Path. Sì, perché i Democratici possono rivincere anche attraverso nuove vie, ovvero confermando i propri Stati-base ed espandendosi là dove i Repubblicani non hanno quasi mai perso, nel profondo sud più profondo e conservatore. Dove John McCain viene confermato senatore da più di vent’anni. In Arizona.
Non è una “boutade”, quella di Messina, i sondaggi confermano che Obama è in forte rimonta in uno degli Stati più a destra d’America. Basterebbe l’Arizona, per vincere.
Insomma, la rielezione di Obama non sarà facile, soprattutto se non miglioreranno i giudizi degli americani sul suo operato. Ma queste diverse opzioni che il Presidente degli Stati Uniti ha per vincere, lo pongono inevitabilmente come il favorito alle prossime elezioni.
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