Sono oltre otto milioni gli italiani costretti a vivere in condizioni di povertà. Secondo un calcolo dell’Istat – che considera povere le famiglie composte da due persone e un reddito pari a 1.011,03 euro – l’11,1% delle famiglie italiane (oltre 8 milioni di persone) nel 2011 versava in condizioni di relativa indigenza mentre il 5,2% delle famiglie (3,4 milioni di italiani) risultava gravemente povera.
Negli ultimi cinque anni la povertà relativa in Italia, dopo un aumento dello 0,2% tra il 2007 e il 2008, è calata bruscamente l’anno dopo (mezzo punto percentuale), per poi invertire ulteriormente il trend e attestarsi alla stesso livello di un lustro fa. Ragionando per ripartizioni geografiche è il Mezzogiorno a far registrare la più alta percentuale di povertà relativa (23,3% nel 2011 rispetto al 22,5% del 2007), seguito dal Centro (6,4% sia nel 2011 che nel 2007) e infine dal Nord che cinque anni fa si attestava al 5,5% e da quattro anni è stabile a quota 4,9%.
La crescita dello 0,1% della povertà tra il 2010 e il 2011 (una sostanziale stabilità) è spiegabile dalla compensazione tra due fenomeni distinti: da una parte l’impoverimento notevole delle famiglie che non hanno redditi da lavoro o hanno un operaio all’interno del nucleo familiare; dall’altra la diminuzione della povertà nelle famiglie in cui sono presenti impiegati o dirigenti.
Per le famiglie senza occupati né ritirati dal lavoro l’incidenza della povertà relativa è aumentata dal 40,2% al 50,7%, mentre per le famiglie con tutti i componenti ritirati dal lavoro, essenzialmente anziani soli e in coppia si è passati dall’8,3% al 9,6%. Tra quest’ultime è aumentata anche l’incidenza di povertà assoluta (dal 4,5% al 5,5%), che per l’Istat è “l’incapacità di acquisire i beni e i servizi, necessari a raggiungere uno standard di vita minimo accettabile nel contesto di appartenenza”, laddove invece la povertà relativa si stabilisce in rapporto al reddito pro-capite.
Condizione estremamente difficile è quella delle famiglie il cui membro di riferimento abbia lasciato il lavoro e nel nucleo familiare non ci sia nessun componente alla ricerca di un’occupazione. Nel primo caso la povertà assoluta è cresciuta dello 0,7% in un solo anno, mentre le scarse prospettiva di lavoro di un altro membro familiare rispetto al 2010 sono aumentate pericolosamente dell’8%. In tal senso di certo non aiuta l’ultima previsione di Bankitalia secondo cui nel 2013 il tasso di disoccupazione in Italia è destinato a salire oltre l’11%.
Per quanto i dati Istat siano preziosi e ben strutturati è d’obbligo precisare che nell’analisi condotta dall’istituto di statistica non si tengono presente alcuni fattori non secondari. Il primo riguarda gli immigrati, i quali pur vivendo in condizioni non agiatissime riportano spesso standard di vita più alti rispetto a quelli tenuti nei paesi d’origine (nonostante il loro reddito sia considerato in Italia da soglia di povertà). Il secondo riguarda le pensioni di invalidità date a finti ciechi e falsi portatori di handicap: una pensione su quattro erogata dall’Inps risulta essere oggetto di truffa.
L’ultimo dei fattori di cui la ricerca dell’Istat non sembra tener conto è il lavoro nero, una pratica molto diffusa in Italia e fonte di entrate economiche considerevoli; se tali cifre fossero tenute in conto avrebbero inciso in maniera rilevante sulla condizione delle famiglie italiane, sicuramente impoverite dalla crisi, ma probabilmente meno di quanto si possa credere.
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