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Come sbagliano i sondaggi

Probabilmente la prima volta in cui la discrepanza tra sondaggi e risultati elettorali assurse all’onore delle cronache e occupò i media fu nelle elezioni presidenziali americane del 1948, quando lo sfidante repubblicano Dewey era stato dato per vincitore certo, tanto da portare alcuni giornali a stampare i titoli con la sua vittoria, per poi vederlo superato dal presidente Truman abbastanza inaspettatamente. Ma eravamo agli albori della scienza demoscopica.

Lo “shy tory factor: In epoca più recente, invece, un episodio peculiare nella storia dei sondaggi sono state le elezioni inglesi del 1992, quando si veniva da 13 anni di dominio conservatore, con un governo Major succeduto alla Thatcher dopo gli socntri intestini sull’Europa e l’impopolarità della poll tax. Le rilevazioni demoscopiche davano i laburisti lievemente in vantaggio (di circa l’1%) sui Tories e con la possibilità di ottenere una piccola maggioranza: in realtà vinsero i conservatori con ben il 7,6% in più. Questa grande differenza fu attribuita almeno in parte a uno “shy tory factor” ovvero alla possibilità che diversi elettori conservatori non volessero rivelare la propria preferenza. In sostanza ciò che gli analisti inglesi avevano trovato era che in occasione di un governo uscente, al potere da molto tempo e contestato come quello conservatore e che era dato come underdog, ovvero sfavorito, i suoi elettori erano molto più propensi a non esprimere la propria opinione, o a rispondere al sondaggio, per una reticenza a dichiarare di stare da una parte socialmente “poco desiderabile”.

L’Italia, terribilmente indietro sul versante dei sondaggi, ha visto per anni un fenomeno simile con il voto alla DC (“nessuno dice di votarla ma poi vince sempre”), ma è stato soprattutto nel 2006 che è emerso questo elemento, con il centrodestra uscente che godeva di scarsa popolarità ed era dato per perdente, e che infine ottenne il pareggio con il centrosinistra (49,7% a 49,8%) nonostante fosse dato in svantaggio mediamente del 5% da sondaggi ed exit polls: un recupero minore di quello dei Tories nel 1992 e analogo a quello che si verifica in molte elezioni europee (come vedremo negli esempi), ma che destò molto scalpore. Leggermente minore fu la sorpresa nei confronti dell’errore dei sondaggi nel 2008, probabilmente perchè la parte avvantaggiata, sempre il centrodestra, era data questa volta per favorita. E tuttavia è indicativo il fatto che la distanza del 9% con il centrosinistra fu superiore ai 5-6 punti rilevati dagli ultimi sondaggi prima del black-out elettorale ma soprattutto enormemente maggiore del 2% che gli exit polls diffusero il giorno delle elezioni. In questi casi ad essere favorito è stato il centrodestra. Ma è sempre così? Vediamo.

Il caso francese, le presidenziali del 2012: Il presidente uscente era Sarkozy, dell’UMP di centrodestra, lo sfidante (e favorito) è Hollande, socialista; terzi incomodi il carismatico Melenchon, della sinistra radicale, la pasionaria di destra populista Marine Le Pen, figlia di Jean-Marie, e il centrista Bayrou.

Ebbene, vediamo i risultati del primo turno e confrontiamoli con i sondaggi, aggregando anche per categorie politiche: nella Gauche sono inclusi, oltre che Hollande e Melenchon, anche la verde Joly e i candidati di estrema sinistra Cheminade, Arthaud e Poutou; nella Droite Sarkozy, Le Pen e il liberista Dupont-Aignan. Si osserva che se nei sondaggi la sinistra era data mediamente intorno al 45-46% e la destra al 43-44%, i risultati reali hanno visto la Gauche al 44%, e la destra al 46,87%. Ciò è dovuto soprattutto al ridimensionamento della performance di Melenchon, evidentemente sopravvalutato nelle rilevazioni, mentre Sarkozy e la Le Pen hanno avuto entrambi un poco di più del previsto e Hollande all’incirca quanto i sondaggi gli avevano dato.

Anche per il doppio turno si è assistito a un risultato superiore alle aspettative per la destra, partita con uno svantaggio anche di 10 punti, per non parlare del periodo precedente all’inizio vero e proprio della campagna elettorale. Ancora gli ultimi sondaggi davano 6 punti di margine a Hollande, diventati nei risultati reali 3,28%, soprattutto a causa dell’atteggiamento di elettori di Bayrou e Le Pen che hanno votato a favore di Sarkozy in misura maggiore di quanto i sondaggi avevano predetto e presumibilmente più di quanto questi elettori avevano ammesso di voler fare.

Il caso olandese: L’elettorato olandese è caratterizzato da una grossa mobilità e più volte i sondaggi hanno visto i partiti sulle montagne russe e risultati in parte inattesi. Queste elezioni sono state anticipate per la caduta del governo di centrodestra VVD-CDA per la defezione dall’appoggio esterno dei populisti del PVV.

Il dato saliente è stato lo sfumare, come nel caso Melenchon, del potenziale ottimo risultato del partito di sinistra radicale anti-austherity ed euro-scettico SP, che fino a poche settimane prima del voto era addirittura in lizza per il primo posto, con un trasferimento di consensi andati ai laburisti socialdemocratici. Ma a prescindere dai risultati finali è interessante osservare se i sondaggi si sono avverati e quali sono state le maggiori discrepanze: e allora se aggreghiamo i partiti in macro-aree di destra e sinistra, includendo nella destra i liberal-conservatori del VVD (il primo partito), i populisti del PVV, i cristiano democratici del CDA, i calvinisti ortodossi teocratici del SGP, e nella sinistra i socialisti radicali della SP, i laburisti del PVDA, i social-liberali del D66, i verdi di GL, i calvinisti cristiano-sociali di CU (sebbene sui temi sociali siano molto conservatori, un po’ “teo-dem” diremmo in Italia) e gli animalisti del PVdD. Ebbene, come si può vedere dai grafici e tabelle sotto, in cui sono indicati i seggi e non le percentuali, nel mese precedente le elezioni vi è stato un progressivo aumento dei partiti di destra e un calo di quelli di sinistra; ma in media i risultati reali hanno presentato un bilancio di 3-4 seggi in più per la destra e altrettanti in meno per la sinistra, che corrispondono a più del 2%, importanti in un sistema proporzionale con molti partiti e pochi deputati come quello dei Paesi Bassi. Dal grafico si vede l’andamento dei singoli partiti nei sondaggi, e così appare come il surge finale del VVD è stato maggiore di quello del PVDA e il crollo finale del SP è stato maggiore di quello del PVV. Nei Paesi Bassi il sistema è proporzionale, non vi sono come in Francia due schieramenti netti e difatti il prossimo governo sarà con ogni probabilità una alleanza tra VVD e PVDA, del resto già collaudata a fine anni ‘90. Tuttavia la polarizzazione finale verso liberali e laburisti indica come una concentrazione di elettorato conservatore e di sinistra esista e il primo è risultato essere più consistente di quanto indicato nei sondaggi.

Spagna, un caso simmetrico?

In Spagna nelle elezioni del 2011 il governo uscente e mediaticamente impopolare era quello socialista, quindi ci troviamo in un caso opposto a quello francese e olandese, e tuttavia qui non c’è un effetto recupero rispetto ai sondaggi da parte del partito governativo uscente, e anzi la sinistra nel complesso ricevette un 2% in meno rispetto ai sondaggi, non a vantaggio della destra (qui già data per vincente e senza un “effetto reticenza” a sfavore nelle rilevazioni demoscopiche) ma di formazioni locali e dei liberali di UPyD.

Conclusioni: Gli esempi mostrati sono su Paesi e situazioni molto diverse, e anche il modo in cui le forze conservatrici hanno ottenuto un margine rispetto a quelle progressiste più favorevole del previsto cambiano decisamente, perchè talora si tratta delle forze di destra moderata a trainare la destra, come nel caso olandese, altre volte si tratta di quella populista, come in Italia, o entrambe come in Francia. Per quanto riguarda la sinistra, invece, pare che ad essere maggiormente colpita sia la sinistra più radicale, come il caso Melenchon e SP nei Paesi Bassi mostrano, ma anche in Italia nel 2008.

Certamente lo “shy tory factor” si è incrociato con il fenomeno del voto utile, per cui la parte politica più svantaggiata (nella maggior parte dei casi la sinistra radicale) ha subito, oltre alla sopravvalutazione del proprio consenso per la mancata espressione di altri elettori, il voto utile maturato nell’ultima parte della campagna elettorale verso forze con maggiori possibilità di vittoria, e forse dal programma percepito come più “realistico”, ossia la sinistra moderata che così compensa l’effetto negativo dello “shy tory factor”.

Non abbiamo elementi per dire se questo fenomeno, che ad oggi può dirsi realmente esistente, si verificherà ancora: è verosimile che finchè i profili di elettorato saranno simili a quelli attuali (ovvero con un voto a destra da parte di persone più anziane, con minore istruzione, meno interessate alla politica, in generale quindi meno propense a rispondere alle domande di un intervistatore) sarà così, a meno che una grande astensione contribuisca a tenere effettivamente questi segmenti lontano dalle urne e quindi far avverare i sondaggi in cui finiscono per non comparire.

 

Gianni Balduzzi

Classe 1979, pavese, consulente e laureato in economia, cattolico-liberale, appassionato di politica ed elezioni, affascinato dalla geografia, dai viaggi per il mondo, da sempre alla ricerca di mappe elettorali e analisi statistiche, ha curato la grande mappa elettorale dell'italia di YouTrend, e scrive di elezioni, statistiche elettorali, economia.

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