Ancora poco presente sui media, attivo soprattutto sul web, si è affacciata sul panorama politico una nuova formazione, liberale e liberista, che si propone un totale cambio del paradigma economico italiano: “Fermare il declino“.
I promotori sono Oscar Giannino, di certo il più noto del gruppo (a lungo articolista del Foglio e del Riformista, conduttore televisivo e ora radiofonico su Radio24, istrionico ed eccentrico e con un passato politico fino al 1995 nel PRI), e poi Alessandro De Nicola, Carlo Stagnaro, Luigi Zingales, Sandro Brusco, Andrea Moro e Michele Boldrin: professori ed economisti quasi sconosciuti al grande pubblico, alcuni insegnano in università USA o sono collegati a think-tank come l’Istituto Bruno Leoni. Tutti loro criticano fortemente sia il paradigma socialdemocratico e keynesiano “di sinistra” sia l’approccio berlusconiano, che avrebbe sprecato anni senza fare le riforme strutturali necessarie.
Il loro “manifesto” si articola, in modo accattivante per l’elettore, in 10 punti. Vediamoli uno per uno:
1 – Ridurre il debito pubblico
Si punta a ridurre il debito fino al 100% del PIL entro il 2018 (attraverso i punti 2 e 3): oltre al risparmio sugli interessi da pagare, si punta a ottenere circa 35 miliardi di euro all’anno attraverso dismissioni di immobili pubblici per un valore prudenziale di 105 miliardi (considerando che molti appartengono ad enti locali) nell’ipotesi, recentemente molto controversa, che non ci sia stata una bolla paragonabile alla Spagna e i prezzi immobiliari siano più stabili; una migliore gestione delle concessioni per un valore di 15 miliardi, la vendita di società partecipate per 90 miliardi (e qui sono incluse Eni, Enel, Terna, Snam, Finmeccanica, o aziende non quotate come Poste, Ferrovie dello Stato Italiane, Rai, Inail, Sace, Fintecna). Quest’ultimo proposito è certamente ardito e in grado di scatenare grosse polemiche in merito (anche tra gli stessi liberisti) poichè si tratta di settori da molti considerati “strategici”, ma perfettamente coerente con la visione totalmente favorevole al libero mercato – senza eccezioni – dei proponenti.
2 – Riduzione della spesa pubblica di almeno 6 punti sul PIL in 5 anni
I promotori di “Fermare il declino” puntano a effettuare una spending review molto più profonda di quella attuata dal governo Monti, che porti ad un taglio in 5 anni di circa 100 miliardi di euro, partendo da tagli alla “casta politico-burocratica” (la parte più indolore per l’opinione pubblica) per proseguire soprattutto con l’abolizione dei mille incentivi alle imprese (stampa inclusa), un’ulteriore riforma del sistema pensionistico per una maggiore equità intergenerazionale e un ripensamento delle grandi voci di sanità e istruzione introducendo meccanismi competitivi nei settori, e questi ultimi punti sono certamente i più sfidanti e delicati considerando le enormi resistenze che in Italia ci sono sempre state quando si è parlato di aperture ai privati.
3 – Ridurre la pressione fiscale complessiva di almeno 5 punti in 5 anni
Chiaramente questo punto è intrecciato al punto 2 e ne è la sua naturale prosecuzione, volendo i promotori di FID staccarsi dal difetto italico di fare operazioni di spesa o di sgravio fiscale a prescindere dal deficit. Di recente è stata forte la presa di posizione contro la proposta di Berlusconi di abolire l’IMU sulla prima casa, descritta come demagogica e passibile di provocare tensione sulla quotazione dei nostri titoli. A questo proposito FID difende anche il rigorismo tedesco e la stretta condizionalità con cui la BCE acquisterebbe titoli di Paesi in crisi, per evitare proprio un moral hazard e un rilassamento del rigore. In particolare a livello fiscale la priorità è la riduzione delle imposte sul lavoro e sull’impresa, assieme alla lotta all’evasione che deve andare di pari passo con la semplificazione del sistema tributario. E qui vi è da segnalare le nette e ripetute prese di posizione di Giannino contro lo Stato, e l’asimmetrico sistema con cui regola le vertenze con i contribuenti (che Giannino chiama “sudditi”), il mancato rispetto di regole di garanzia in vigore tra privati, la vessazione a suo parere di molti imprenditori attraverso Equitalia.
4 – Liberalizzare rapidamente i settori ancora non pienamente concorrenziali
Questo è uno dei punti più corposi del programma, e anche tra i più “trasgressivi”, visto che si prevede la liberalizzazione di tutti i settori, trasporti, energia, poste, telecomunicazioni, servizi professionali e banche, e la privatizzazione dei servizi pubblici, dalla RAI (con abolizione di canone e tetti pubblicitari) a settori che molti definiscono “strategici” (punto 1). I settori più urgenti per FID sono il trasporto ferroviario, i servizi postali e i servizi pubblici locali, in particolare è netto il giudizio negativo sui referendum del 2011 che hanno fermato le liberalizzazioni dei servizi idrici ma anche di quelli del trasporto pubblico. L’approccio non è solo pragmatico (“fare cassa”) ma c’è la convinzione teorica che la maggiore concorrenza sia benefica in termini di efficienza, produttività e quindi crescita per tutti i settori.
5 – Flessibilità nel mercato del lavoro e ammortizzatori sociali: nel privato e nel pubblico
Probabilmente il modello a cui si attinge è la flexsecurity, con i dovuti adattamenti. La Cassa Integrazione è definita come una delle zavorre, Giannino la chiama addirittura “droga” e pure molto costosa per l’uso “a bancomat” che ne fanno le aziende, tenendo in vita imprese morte con i soldi dei contribuenti, contro le logiche di mercato. In caso di crisi, serve invece un piano industriale o di riorganizzazione aziendale credibile, che porti i lavoratori a processi di ricollocazione/formazione. Flessibilizzare il rapporto di lavoro ma estendere il sussidio di disoccupazione ad una platea più ampia, incentivando però la ricerca di un nuovo impiego e scoraggiando la cultura della dipendenza dallo Stato. Le stesse norme di flessibilità devono essere quanto più estese al settore pubblico, impresa titanica contro la quale in molti, chi con più e chi con meno convinzione, si sono già infranti.
6 – Conflitti di interessi, trasparenza PA e norme anticorruzione
Non c’è libero mercato senza trasparenza di informazioni, che devono essere complete ed accessibili a tutti, e assenza di asimmetria informativa. A tutto campo si deve intervenire su conflitto di interessi e trasparenza sul profilo dei funzionari pubblici rendendo accessibili redditi, patrimoni e possibili interessi economici degli stessi. Iniziare a premiare la denuncia dei reati di corruzione, allontanare dalla PA e imprese controllate chi ha subito condanne penali. A parte il forte impatto economico (60 miliardi di euro il costo diretto e 10 miliardi d’impatto negativo sul PIL), è una questione di credibilità della politica e di tenuta sociale.
7 – Far funzionare la giustizia
La giustizia è un servizio fondamentale dello Stato, ma che in Italia arranca con processi spesso ultradecennali (la durata media di un processo penale è di 8,3 anni). Una giustizia inefficiente non dà sicurezza ai cittadini, agli investitori esteri, al sistema finanziario poco sviluppato e limita la concorrenza. Gli interventi proposti si sviluppano su due direttrici: efficienza dei tribunali e modifiche dei codici. Per quanto riguarda l’efficienza si guarda alle buone pratiche di alcuni tribunali italiani (ad es. Torino e Bolzano) con una serie di aggiustamenti e procedure che spingano ad una gestione professionale e più produttiva della struttura. Specializzazione dei giudici, affiancamento di tirocinanti, semplificazioni burocratiche, valutazione delle performances dei giudici. Sotto il profilo normativo, il caposaldo è la separazione delle carriere dei magistrati con avanzamento di carriera di tipo meritocratico basato sulle valutazioni. Va poi resa meno invasiva la pratica pre-giudiziaria nei casi non pericolosi a fronte di una maggiore certezza e severità delle pene, disincentivare cause futili, responsabilizzare l’avvocato sulle cause e il loro prolungamento. Per quanto riguarda l’annosa questione delle carceri si avanzano tre proposte: affidamento della gestione degli istituti con gare pubbliche (non la sorveglianza, si devono migliore le condizioni del personale di polizia penitenziaria), nuovi penitenziari in project financing, pene alternative per i soggetti non pericolosi.
8 – Rimettere al centro giovani e donne
Non è una singola misura ma un vero cambio di rotta con una serie di correttivi che vanno dal mercato del lavoro al potere politico. Il punto sembra, forse per la stessa natura, il più fragile sotto un profilo contenutistico. Si va dall’eliminazione del dualismo occupazionale alla facilitazione a all’apertura di nuovi business, dal favorire la meritocrazia all’offrire protezione assicurativa contro la disoccupazione. L’obiettivo è un maggiore coinvolgimento economico e sociale delle categorie.
9 – Scuola e università: volani dell’emancipazione sociale
L’unica voce della spesa pubblica in cui non si prevede di calare la scure, anzi c’è necessità di investire, ma solo dopo aver rimesso in sesto un sistema inefficiente e troppo eterogeneo. Il sistema universitario deve rimanere a base pubblica nel garantire la copertura dei costi minimi, ma i maggiori investimenti devono provenire da altre fonti (tasse universitarie, settore privato con elargizioni e sponsorizzazioni). Trasparenza dei profili e delle valutazioni dei docenti, per scoraggiare gli inefficienti e promuovere i competenti, ridurre lo stipendio a chi svolge parallelamente attività di libera professione. Concedere gradualmente maggiore autonomia agli atenei, di spesa e finanziamento e nell’organizzazione, instaurando la competizione nel sistema e premiando le eccellenze. Si propone infine di abolire il valore legale del titolo di studio.
10) Il vero federalismo delle competenze e delle responsabilità
Il problema è stato a più riprese analizzato, l’impianto fiscale centralistico non è in grado di gestire la forte eterogeneità territoriale. Alcune regioni trasferiscono in tasse al governo centrale molte più risorse di quante non ne ricevano in cambio per finanziare i servizi, penalizzando gli investimenti nelle regioni a più forte sviluppo, senza ottenere alcun miglioramento nelle regioni meno virtuose. Guardiamo i residui fiscali 2007: Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna trasferiscono circa 100 miliardi (60, 20, 20) in più di quanti non ne ricevano, mentre (regioni a statuto speciale a parte) Sicilia e Campania ricevono circa 20 miliardi in più – a testa. La soluzione è una radicale revisione dell’articolazione dello Stato, con l’attribuzione di competenze chiare e coerenti (oggi alcune si sovrappongono nella filiera Stato-regioni-provincie-comuni) e forti responsabilità sul rispetto del pareggio di bilancio, trasparenza e rendicontazione agli elettori. A questo si affianca una maggiore autonomia fiscale degli enti locali, con maggior potere impositivo (ovviamente controbilanciato da una riduzione in quella statale) e di spesa. L’obiettivo è delegare e responsabilizzare, ridurre i residui fiscali lasciando le imposte raccolte sul territorio aprendo nuove voci di spesa ed investimento per le realtà migliori.
Dal punto di vista della strategia comunicativa, essa ricalca lo schema tipico per un nuovo partito: toni molto forti e critiche a tutti vecchi partiti, soprattutto quelli appartenenti alla stessa area, che adesso si vorrebbe scalzare: con particolare accanimento quindi su Berlusconi e il PDL, tanto che Giannino dal palco di un recente incontro a Milano ha gridato “il primo nemico è Silvio Berlusconi”, colpevole di avere illuso tantissimi liberali e non avere fatto alcuna riforma. In una intervista Zingales ha affermato che è tutta l’élite, non solo politica ma anche industriale, ad essere obsoleta ed inaffidabile, dalle banche (cita Bazoli) alla grande industria, e Giannino respinge anche collaborazioni con Casini e Fini, visti anch’essi come esponenti di una classe politica screditata. Sui rapporti con le altre forze politiche infatti è cominciata una collaborazione solo con “Italia Futura” di Montezemolo, anche se questa si pone in termini di maggiore collaborazione con i partiti classici, e da più parti si afferma che se Renzi dovesse vincere le primarie del centrosinistra “cambierebbe tutto”. Su Monti da una posizione iniziale di lontananza – in quanto l’azione del suo governo sarebbe stata “insufficiente” – in un recente comunicato si afferma che la persona di Monti non è in questione, mentre lo sono i programmi e i contenuti.
(a cura di Gianni Balduzzi e Matteo Bidese)
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