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Riforma elettorale: la vecchia politica sceglie un nuovo governo instabile

Dietro il mare magnum del politichese, ci sono gli interessi e le paure di una parte della classe politica che teme di non essere riconfermata. C’è anche – e soprattutto – la necessità di trovare un modello che consenta la governabilità, indispensabile perché il paese possa continuare ad essere credibile in Europa e di fronte alle agenzie di rating che, dopo tanto tempo, hanno emesso giudizi positivi nei confronti dell’Italia. A fronte di tutto ciò e dell’elevata frammentazione di partenza quanto a forze politiche in campo, la Commissione Affari Costituzionali, nella seduta dell’11 ottobre scorso, ha deciso di adottare, come testo base per la prosecuzione dell’esame dei disegni di legge in materia elettorale, un testo unificato presentato dal Senatore Malan (PdL). Il termine per la presentazione degli emendamenti in Commissione è già scaduto e la prossima settimana riprenderà l’esame del testo in Commissione.

La proposta Malan mette insieme, le preferenze, tendenzialmente escluse in tutti i sistemi delle grandi democrazie occidentali, e una formula elettorale di tipo proporzionale, corretta da un premio di maggioranza. Per quanto, infatti, attiene la governabilità, la proposta prevede un premio nazionale dato alla coalizione pari a 76 seggi alla Camera e a 37 al Senato, in questo senso riproponendo una scelta analoga a quella adottata con il vigente Porcellum. Ragionando sui numeri, però, quello che sembra essere l’effetto più evidente della riforma elettorale in discussione è l’impossibilità di raggiungere la maggioranza parlamentare assoluta per qualsivoglia coalizione in lizza. Lo dimostrano una serie di simulazioni diffuse da diversi organi di stampa in questi ultimi giorni. Così, ad oggi, sulla base delle intenzioni di voto rilevate dai sondaggi, la coalizione più forte (e che dovrebbe garantirsi il premio) è quella formata da Pd e Sel: se diventasse legge la proposta Malan, il cartello di sinistra sarebbe comunque  sotto quota 316, quella minima per avere una maggioranza alla Camera. In tal senso, potrebbe rifarsi “sotto” Antonio Di Pietro, ma pure in questo caso, la coalizione della “foto di Vasto” potrebbe contare solo su 316 seggi, neanche uno in più del minimo necessario.

In parole povere, o meglio concrete e calate nell’Italia del dopo “orlo del baratro”, nella proposta Malan, la correzione della proporzionalità, data dal correttivo del premio, è ridotta al minimo e ciò fa presumere che nella prossima legislatura la maggioranza potrebbe essere disomogenea e, quindi, il governo instabile. Tale effetto, secondo Stefano Ceccanti, Senatore PD e Ordinario di Diritto Costituzionale all’Università di Roma La Sapienza, è in particolar modo determinato dall’assegnazione del premio alla coalizione anziché al partito. Secondo il professore, infatti, gli scenari possibili, a fronte di un premio necessario ma non sufficiente a garantire la maggioranza assoluta, sono due e tra loro non incompatibili: ex ante, la spinta alla costituzione di coalizioni eterogenee per raggiungere la soglia di accesso al premio e “vincere le elezioni”; ex post, la necessità di un “rimpasto” della coalizione di governo che si è presentata agli elettori al fine di poter “governare il paese”, con ciò frustrando l’appena espressa scelta elettorale dei cittadini.

Oltre alle problematiche inerenti la stabilità dell’esecutivo, e quindi l’incoerenza di un premio di colazione necessario ma non sufficiente ad ottenere la maggioranza assoluta di governo, la proposta Malan paradossalmente supera lo sdegno universale espresso sul vigente Porcellum, “restituendo ai cittadini la scelta diretta degli eletti in Parlamento”. Lo fa reintroducendo per due terzi le preferenze e per il restante terzo confermando la lista bloccata, dove ogni candidato può presentarsi in una sola circoscrizione per le preferenze e in tre listini bloccati. Sul punto, stante la lontananza nel tempo, inevitabile appare il ricordo di quel referendum che, promosso da Mario Segni nel ’91, bocciò il sistema delle preferenze, con una maggioranza espressa del 95 per cento dei voti. In maniera ugualmente inevitabile, il pensiero si sofferma sui vivi e vergognosi scandali di questi giorni (Domenico Zambetti in Regione Lombardia, ma anche Vincenzo Salvatore Maruccio e Franco Fiorito nel Lazio, tutti fuoriclasse nel campionato “piglia tante preferenze”), che purtroppo bene esprimono gli aspetti peggiori che il sistema delle preferenze può portare con sé nel nostro paese.

Dunque, se forte si fa sentire la necessità di superare il sistema “maiale” che riserva l’elezione dei candidati nell’ordine d’iscrizione esclusivamente e rigorosamente disposto dai vertici dei partiti, certamente bisogna riferirsi ad altri meccanismi di selezione politica: a riguardo, però, in che termini può dirsi opportuna l’opzione preferenze che costringere i candidati a competere severamente contro altri dello stesso partito, e li spinge a spese folli pur di essere eletti? È, infatti, prevedibile che tale scenario si concretizzerà con la proposta Malan, dovendo i candidati correre in circoscrizioni amplissime e che richiedono quindi un’ampia raccolta fondi e un rapporto forte con finanziatori privati. In questo senso, più che le singole scelte degli elettori, conteranno i gruppi esterni di appoggio, lobby professionali e promesse per corporazioni e clientele. Tante promesse e tanti denari che, in quanto premessa necessaria per la conquista del potere – eccettuato un gruppo dirigente ristretto, per un terzo “bloccato e salvato” dalla scure dei cittadini –, metteranno la stessa politica nazionale, quella di lungo respiro e delle grandi riforme, sotto scacco: i richiami all’ordine di interessi frammentati – il bel paese dei mille Comuni – rischiano di far scadere il divieto di mandato imperativo e il principio della rappresentanza politica nella logica privatistica tipica delle Assemblee dell’Ancien Régime.

Aspetti tecnici e osservazioni di sistema a parte, nelle votazioni a palazzo Madama, la maggioranza attuale potrebbe comunque incorrere nella mancanza dei numeri necessari all’approvazione della riforma. Oltre alle sempre possibili astensioni e assenze, posizioni difformi sulla proposta Malan hanno caratterizzato gli emendamenti che singoli e gruppi parlamentari hanno presentato in Commissione Affari Costituzionali la scorsa settimana. Tra le contro proposte avanzate, infatti, si rinvengono quelle volte all’introduzione di correttivi maggioritari diversi dal premio di maggioranza – collegi uninominali, assegnazione in sede circoscrizionale e non nazionale dei seggi, doppio turno di collegio –, ma anche quelle che vorrebbero riportare la formula elettorale nella famiglia maggioritaria, al più corretta in senso proporzionale, come fu la vecchia legge Mattarella. Ad ogni modo, il tempo stringe e l’ipotesi forse più plausibile torna ad essere quella di tenersi il tanto criticato da tutti, almeno a parole, Porcellum.

 

Francesca Petrini

Dottoranda in Teoria dello Stato e istituzioni politiche comparate, si è laureata in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali ed ha conseguito il titolo di Master di II livello in Istituzioni parlamentari per consulenti d´Assemblea.

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