Domenica 28 ottobre, le elezioni per il rinnovo dei 450 membri della Verkhovna Rada, il parlamento ucraino, hanno assegnato la vittoria al Partito delle Regioni, espressione del Primo Ministro uscente Mykola Azarov, ma soprattutto del Presidente filo-russo Viktor Janukovyč. Con il 30% dei suffragi e 187 deputati, il Partito delle Regioni è andato meglio delle aspettative rendendo molto facile la formazione di un nuovo governo. Alla comunicazione dei risultati elettorali, Janukovyč sembrava avere ottenuto quello che voleva: una vittoria chiara ma “moderata”, che non insospettisse la comunità internazionale ma comunque sufficiente ad aprirgli la strada della riconferma alle Presidenziali del 2014.
A rompere le uova nel paniere è stata però l’OCSE che ha definito le elezioni un passo indietro per la democrazia. L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo, oltre a bocciare le operazioni di voto e di scrutinio ha denunciato l’uso spregiudicato di fondi pubblici da parte del Partito delle Regioni e la faziosità dei mezzi di comunicazione. L’Ucraina era già “sorvegliato speciale”, con 3.700 osservatori internazionali a controllare lo svolgimento delle elezioni. Per dimostrare la buona volontà il governo aveva piazzato due telecamere per ognuno dei 32.000 seggi elettorali – telecamere che sono servite solo a suscitare timori e proteste dell’opposizione.
Le irregolarità elettorali rendono evidente come la crisi politica dell’Ucraina, iniziata con la Rivoluzione Arancione sia ancora lontana dal chiudersi. Nel 2004 la vittoria di Janukovyč – allora delfino dell’ex-presidente filo-russo Leonid Kučma – era stata contestata dallo sfidante europeista Viktor Juščenko e da grandi manifestazioni di piazza, tali da costringere la corte suprema ad avviare il riconteggio e a ribaltare l’esito elettorale. La reazione russa alle vicende del “cortile di casa” fu di sospendere le forniture di gas a prezzi agevolati e di minacciare un inverno al freddo per mezza Europa. Queste vicende indebolirono fortemente la presidenza Juščenko, e portarono all’affermazione della leadership di Julija Tymošenko – Primo Ministro dal 2007 al 2010 – nell’ambito dello schieramento europeista. Ma il carisma della Tymošenko non le bastò a vincere le presidenziali del 2010, nelle quali Viktor Janukovyč ottenne finalmente la presidenza.
I primi due anni di mandato di Janukovyč sono stati giudicati negativamente da buona parte dell’opinione pubblica occidentale, a causa del crescente autoritarismo: il capo di stato ucraino è accusato di avere messo sotto controllo i mezzi di informazione, di avere limitato i diritti civili e di avere aumentato i suoi poteri presidenziali. La vicenda che più ha allarmato l’Europa e gli Stati Uniti è stata l’arresto e la condanna a sette anni di reclusione di Julija Tymošenko. La leader dell’opposizione, in carcere dall’estate del 2011, è stata ricoverata in ospedale nell’aprile del 2012 dopo aver denunciato violenze da parte dei secondini. Questi fatti hanno provocato proteste e boicottaggi da parte di molti governi europei.
L’assenza della pasionaria è stata una della cause della sconfitta del blocco di opposizione. La coalizione tra Patria – partito della Tymošenko – e il cartello Opposizioni Unite ha ottenuto il 24,5%, ovvero 5 punti in meno rispetto al 2007. Ma un altro motivo di debolezza è stata la mancata alleanza elettorale con la vera rivelazione di queste elezioni legislative, UDAR. L’Alleanza Democratica Ucraina per la Riforma ha ottenuto il 14% dei voti grazie al carisma del suo leader, il pugile e attuale campione mondiale dei pesi massimi Vitalij Klyčko. Anch’egli liberale e pro-UE, Klyčko ha però rifiutato l’alleanza con il blocco delle opposizioni, probabilmente nella speranza – evidentemente ben riposta – di guadagnarsi un tesoretto elettorale che gli permettesse di conquistare la candidatura unitaria alle Presidenziali del 2014.
L’unico accordo pre-elettorale che i sostenitori della Tymošenko sono stati in grado di sottoscrivere è stato quello – molto controverso – con il partito di estrema destra SVOBODA, l’altra rivelazione di queste elezioni. SVOBODA ha guadagnato il 10,4% (nel 2007 aveva lo 0,8%) con una campagna elettorale violentemente xenofoba e anticomunista. Il solo punto programmatico che sembra accumunarlo al resto delle opposizioni è la pesante ostilità verso l’antico padrone russo che gli ha permesso di trionfare in Galizia, la regione più occidentale del paese.
Al quarto posto si è collocato il Partito Comunista Ucraino che ha più che raddoppiato i propri consensi superando il 13%. I comunisti sono cresciuti nel loro storico bacino elettorale, l’Ucraina orientale, in particolare tra le fasce di elettorato più colpite dalla crisi economica e tra gli anziani. Esiste infatti da tempo un sentimento diffuso di nostalgia in una parte della popolazione ucraina che rimpiange l’Unione Sovietica. Insieme alla vicina Bielorussia, l’Ucraina è infatti il paese che ha subito più danni dallo scioglimento dell’URSS, avendo un’economia a vocazione agricola che sopravviveva solo in una situazione di forte interdipendenza con la Russia. Il Partito Comunista, nonostante la retorica elettorale, da qualche anno sostiene il governo nei momenti di difficoltà e dopo queste elezioni entrerà molto probabilmente nella maggioranza parlamentare.
Non è riuscito invece a superare lo sbarramento Ucraina – Avanti!, il partito nel quale era candidato la stella del calcio Andriy Schevchenko, che ha ottenuto un deludente 1,6%, risultato ancora più basso di quello – già negativo – prospettato dai sondaggi pre-elettorali.
Il dato che esce dalle elezioni ucraine è, comunque lo si guardi, sconfortante. Il lento scivolare verso una soluzione autoritaria patrocinata dal Cremlino sembra essere un processo ormai consolidato. La frattura fra l’ovest, filo-occidentale, e il sud-est russofilo (quando non anche russofono) sembra acuirsi ad ogni tornata elettorale, cementificando il sostegno della parte orientale del paese agli uomini più vicini a Mosca. Le irregolarità elettorali, oltre che mettere in luce gli abusi del Governo, rivelano come la corruzione inquini completamente la vita pubblica del paese, senza risparmiare l’opposizione.
Il sistema elettorale con cui si è votato è di tipo misto. Dei 450 seggi totali, 225 sono stati eletti in collegi uninominali (ben 156 vinti dai due maggiori partiti), gli altri 225 con ripartizione proporzionale su scala nazionale e sbarramento al 5%. Il nuovo Parlamento sarà composto come segue:
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