Il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria, istituito nel lontano 1974 dai paesi del G10, si occupa di regolamentazione internazionale del sistema bancario e finanziario al fine di garantirne la stabilità. La stabilità del sistema finanziario è indispensabile per mantenere e coltivare la fiducia dei depositanti, i cui fondi sono sulla carta disponibili ed esigibili, ma è chiaro come questo non sia conciliabile con l’attività d’impiego a medio-lungo termine svolta dalla banca, in credito o altri strumenti finanziari. Il rischio di default delle istituzioni deve essere ridotto ai minimi termini, ancor più in un sistema interconnesso e complesso come quello attuale. La caduta di una singola istituzione può innescare un effetto domino all’interno del sistema (come insegna il caso Lehman Brother).
Il sistema prescelto dal Comitato è di vigilanza prudenziale. Si richiede sostanzialmente alle banche di detenere a fronte degli impieghi, considerando il loro livello di rischio (un mutuo ipotecario è per definizione meno rischioso di un prestito a un privato senza garanzie), un certo ammontare minimo di capitale (il requisito base è dell’8%), finanziando solo la restante parte attraverso il debito. Ciò dovrebbe garantire una maggiore solidità della banca, limitandone almeno in parte l’esposizione finanziaria e coprendo il rischio di credito. Prendiamo una banca che fa prestiti per 100. Nel primo caso è finanziato per 100 dai depositanti, nel secondo per 92 dai depositanti e 8 da capitale. Se la banca incassa una perdita di 5, nel primo caso i depositanti vedono ridotti i propri risparmi e vorranno uscire dalla banca. Nel secondo caso la perdita di 5 verrà assorbita dal capitale e i depositi non saranno intaccati garantendo la continuità del sistema.
Fino ad oggi l’applicazione delle racco- mandazioni del Comitato è avanzata al rallentatore, i progressi sono stati notevoli (Basilea II la più importante con i sistemi di rating interni) ma la regolamentazione si è sempre trovata ad inseguire l’innovazione finanziaria, in ritardo rispetto alla necessità di stabilizzare l’attività bancaria. Le conseguenze sono evidenti, il ritardo per buona parte politico. Sorte migliore non sembra toccare a Basilea III, l’ultimo set di norme da applicare gradualmente, a partire da Gennaio 2013 ed entro il 2019. L’Europa si appresta non senza malumori al varo (per la verità le banche europee hanno già iniziato autonomamente ad allinearsi) ma in questi giorni arriva lo stop della FED. Non c’è abbastanza tempo per chiarire come applicare le nuove raccomandazioni.
La verità è che i nuovi requisiti di capitale sono decisamente più stringenti, sia a livello di requisito minimo che di qualità del capitale (maggiore common equity a scapito di strumenti subordinati o convertibili). Basilea III potenzia inoltre i requisiti per il rischio di mercato ed introduce norme a copertura del rischio liquidità, imponendo accantonamenti di liquidità per scongiurare problemi di solvibilità più o meno acuti dell’istituzione. Tutti questi requisiti risultano inoltre considerevolmente acuiti per quelle istituzioni considerate come fonte di rischio sistemico, le cosiddette SIFI (tra cui compare anche Unicredit), le too big to fail.
Altro aspetto evidenziato è quello della prociclicità delle norme. È infatti il livello di rischio a determinare la quantità di capitale minimo da detenere. In periodi di crescita economica, quando il rischio scende, i requisiti diventano meno stringenti liberando risorse da investire per la banca, a parità di capitale. D’altro canto, in periodi di recessione il rischio sale e il capitale minimo da detenere cresce; a parità di capitale la banca è quindi costretta ridurre il suo attivo per rispettare i parametri contraendo l’offerta di credito e innescando un spirale recessiva per l’economia reale. In tal senso si prevede un buffer (“cuscinetto”) anticiclico, un ulteriore aumento dei requisiti di capitale da attivare nei periodi di crescita economica per smussare il picco del ciclo e poi da riassorbire nei periodi di recessione. Questo buffer sarebbe da costituire attraverso la ritenzione degli utili a scapito della distribuzione di dividendi e di bonus per i manager.
Come accennato le banche europee si stanno già allineando a tali requisiti, alcune banche (Unicredit ad inizio 2012 ad esempio) hanno fatto ricorso ad aumenti di capitale per rientrare nei parametri. L’altro effetto è la stretta creditizia e la crescita del tasso di interesse, soprattutto per le PMI. Il maggior assorbimento di capitale richiesto non libera risorse, visto anche il momento recessivo, portando a una riduzione del credito offerto e ad un aumento del suo costo base dello 0,5-1%.
Il rinvio nell’applicazione da parte degli USA pone un forte problema competitivo tra le banche americane ed europee, costrette a un maggior rigore che acuisce ulteriormente le difficoltà economiche dell’area per via della carenza di credito. Tanto più in un mondo sempre più globalizzato, le asimmetrie rendono inefficaci molti degli sforzi sopportati da una parte di operatori e mettendoli irrimediabilmente in dubbio.
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