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La Francia cacciata dal paradiso della tripla A

La notizia era nell’aria, forse scontata, e come già accaduto ultimamente per giudizi di tipo analogo, non ha provocato grosse conseguenze nelle piazze della Borsa internazionali: Moody’s ha declassato la Francia dall’empireo dell’affidabilità, dalla tripla A a AA1.

L’agenzia di rating punta il dito sul deterioramento delle condizioni economiche e la crescita praticamente a zero che pongono problemi di bilancio, un bilancio già con un deficit più alto di quello di Italia e Germania; in particolare la vulnerabilità francese viene dal fatto di essere maggiormente esposta di altri paesi a shock che potrebbero verificarsi nell’Eurozona, essendo il singolo Paese con la maggior quota di debito greco e spagnolo come vediamo di seguito:

 

(Dal blog di Thomson Reuters, la situazione a fine 2011)

Per Moody’s la resistenza a futuri shock è diminuita anche dalla deteriorata competitività del Paese, non migliorata dalle recenti riforme, giudicate insufficienti. Infatti, se il problema della competitività era già noto e sottolineato con Sarkozy, non è un caso che Moody’s abbia aspettato il varo della manovra di aggiustamento di Hollande per esprimersi, e questa è stata giudicata priva di significativi interventi per un cambio di rotta.

Appena prima di questa notizia, l’Economist aveva messo in copertina in modo abbastanza eclatante il problema francese:

 

Certamente l’Economist non è nuovo a immaginifici giudizi di questo tipo, ma il primo ministro Ayrault non l’ha presa bene, affermando che «Stiamo parlando di un giornale che fa ricorso agli eccessi per vendere copie. La Francia non e’ per niente impressionata».

Tuttavia, venendo ai contenuti, il settimanale britannico sottolinea fatti incontrovertibili: ad esempio, che oltralpe il debito pubblico rappresenta più del 90% del PIL e la spesa pubblica equivalga al 57%, 10 punti in più della Germania. In effetti abbiamo evidenze di una situazione industriale deteriorata e la minore competitività si riflette, come possiamo vedere di seguito, in un calo della produzione industrale appena meno peggiore dei PIIGS:

Lasciando da parte la peculiare situazione dell’UK (con un settore manifatturiero più limitato e fuori dall’euro) si vede chiaramente la differenza tra la Francia e il suo maggiore partner/competitor, la Germania. Un confronto tra le performances di Francia e Germania si può vedere anche in questa infografica di Alpha Now di Thomson Reuters:

Il direttore dell’Economist Europe, Johon Peet, ha spiegato che Grecia, Spagna e Italia, «hanno gli stessi problemi della Francia, ma loro hanno ammesso i loro errori e hanno intrapreso riforme strutturali». In Francia invece «nessuno sembra volersi rimettere in discussione».

Di fronte alla situazione la manovra di Hollande ha previsto aggiustamenti quantitativi per arginare il deficit e quindi l’aumento del debito, ma non qualitativi: una manovra da 37 miliardi di euro, la più significativa degli ultimi 30 anni, con 20 miliardi di entrate fiscali supplementari (10 dalle famiglie e altri 10 dalle imprese, a cui si aggiungono 4,4 miliardi di proventi di norme già approvate), 10 miliardi di risparmio sulle spese dello Stato e 2,5 miliardi di riduzione delle spese di assicurazione. Oltre alle misure perlopiù simboliche per i redditi più alti, come l’aumento dell’aliquota al di sopra dei 150 mila euro annui e addirittura l’introduzione di quella al 75% sopra il milione, e l’aumento della tassa patrimoniale, il grosso delle entrate viene dal previsto aumento medio del 2% delle imposte anche a chi ha meno di 150 mila€ annui, tranne i primi due scaglioni, dovuto alla mancata indicizzazione dei redditi del 2012 per il 2013.

Sono state previste poi maggiori imposte sulle grandi aziende, anche tramite l’abolizione di detrazioni per gli interessi su debiti maggiori di 3 milioni, e per i redditi medio-elevati l’allineamento della tassazione delle rendite alla tassazione sui redditi.

Non vi è stata invece una riforma strutturale dell’organizzazione del welfare francese, delle leggi sul lavoro, delle pensioni (dove anzi si è abbassata l’età pensionabile per chi a 60 anni ne ha più di 41 anni di contributi), nella convinzione che il sistema francese debba essere mantenuto anche come eccezione o esempio europeo.

L’atteggiamento di Hollande rischia di apparire, anche se in versione più “nobile” e fatte le dovute differenze, come quello di Tsipras in Grecia, dove il leader della sinistra radicale rifiutava ogni ipotesi di tagli al settore pubblico, con la convinzione che tanto l’Europa non si sarebbe potuta permettere default e uscita dall’euro del paese ellenico. Per la Francia non si parla di default naturalmente, ma di un aumento dello spread con la Germania. Probabilmente Hollande la pensa come l’editorialista Martinetti, che parla di uno “spread della Grandeur” tra Francia e Italia che permetterebbe alla Francia di mantenere deficit più elevato e di essere declassata senza conseguenze, per il sistema amministrativo ed politico più stabile e affidabile, per le sue dimensioni che la rendono indispensabile all’architettura europea e alla Germania stessa. Tuttavia queste sono considerazioni su elementi immateriali di difficile valutazione: la sostanza del problema è che l’Europa si ritrova con la sua seconda colonna portante che presenta quei problemi di competitività che hanno portato sull’orlo del baratro i Paesi periferici e non pare avere alcuna intenzione di modificare un modello produttivo e sociale di cui va orgogliosamente (o, secondo alcuni, ottusamente) fiera.

 

Gianni Balduzzi

Classe 1979, pavese, consulente e laureato in economia, cattolico-liberale, appassionato di politica ed elezioni, affascinato dalla geografia, dai viaggi per il mondo, da sempre alla ricerca di mappe elettorali e analisi statistiche, ha curato la grande mappa elettorale dell'italia di YouTrend, e scrive di elezioni, statistiche elettorali, economia.

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