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Giappone, i liberaldemocratici di nuovo al potere

Come già accaduto altre volte nella storia giapponese, sono state indette elezioni anticipate per la crisi politica interna al partito di maggioranza, quello democratico, che aveva portato alle dimissioni di ben 2 premier in 3 anni. L’ultimo premier, Noda, peraltro impopolare, ha indetto le elezioni per mettere fine al logorìo che le lotte intestine e l’impopolarità portavano al suo governo.

Vediamo il panorama politico con i principali partiti:

LDP (Partito liberal-democratico), Jimintō: tradizionale partito-guida dal dopoguerra, sorta di DC nipponica, che ha dominato la scena dirigendo il boom economico, partito conservatore e legato alla preservazione della società tradizionale giapponese, è allo stesso tempo a favore della libera impresa, di sempre maggiori liberalizzazioni del mercato interno ed estero (soprattutto dagli anni ‘90) e delle privatizzazioni (per esempio delle elefantiache Poste nazionali); è però anche protettore del sistema corporativo e rigido che regge l’economia giapponese, e negli ultimi anni ha prevalso, dopo le crisi degli anni ‘90, la corrente nazionalista che punta al revanscismo dopo gli anni come potenza perdente, anche a causa del timore verso una Cina sempre più potente. Il vincitore Abe appartiene appunto a questa corrente. Per queste elezioni puntava allo scontento verso la gestione del DPJ del dopo-tsunami, l’instabiità di governo con tutti i premier cambiati in pochi anni e la tensione con la Cina per la sovranità su alcune isolette e alcuni spazi marittimi nel Mar del Giappone.

DPJ (Democratic Party Japan), Minshutō: Fondato nel 1998 come fusione di diversi partiti di opposizione al LDP, e di ispirazione liberale, socialdemocratica e social-liberale, si appella in origine a tutti coloro che vogliono spezzare l’immobilismo della società giapponese, renderla più aperta e moderna, trasparente e giusta, in una economia di mercato in cui vi siano garanzie e uguali opportunità per tutti, maggiori decentralizzazioni in favore del potere locale, una politica estera aperta e pacifista. Nella realtà è per misure socialiste come l’aumento del salario minimo, i sussidi a famiglie con minori a carico e contadini, il divieto di lavoro temporaneo nell’industria. Dopo la vittoria del 2009 il Partito Democratico ha però incontrato difficoltà nel governare, cambiado leader e premier 3 volte in 3 anni: dopo il vincitore Hatoyama, Naoto Kan e infine Noda.

NKP (New Komeito Party): Komeito significa all’incirca “buongoverno”, ed è il partito fondato dal movimento buddista Soka Gakkai, una specie di CL buddista con 12 milioni di aderenti nel mondo, mirante al perfezionamento e all’armonia dello sviluppo umano nella sua interezza e quindi anche nel governo della cosa pubblica, predica una maggiore trasparenza nel governo, una maggiore autonomia delle province, un maggiore spazio per il settore privato ed è a favore di una politica estera il più pacifista possibile in armonia con i principi buddisti. Dal 1998 è un fedele alleato del LDP.

Japan Restoration Party, Nippon Ishin no Kai: partito lanciato quest’anno dal sindaco di Osaka, Hashimoto, cui si è unito il partito dell’ex governatore di Tokio, Ishihara. Partito in parte populista che gioca sulla disaffezione verso i due maggiori partiti e propone un governo più decentrato a favore dei poteri locali, un maggiore focus sull’educazione, e fa alcune proposte abbastanza dirompenti come modificare la Costituzione in modo da poter arrivare per esempio a una elezione diretta del premier; inoltre ha una posizione decisamente nazionalista, chiedendo una restrizione nella possibilità di stranieri di acquistare terreni e immobili giapponesi e propugnando una politica estera più attiva.

Your Party (YP), Minna no Tō: è il partito più liberale e liberista, punta a diminuire il peso della imponente burocrazia statale nella società, in questo più vicina al partito democratico, e allo stesso tempo chiede una diminuzione delle imposte finanziata con un dimagrimento netto del ruolo dello Stato nella società, una deregolamentazione di molti settori, inclinazioni queste più vicine a quelle delle più recenti correnti conservatrici del  LDP.

Tomorrow Party (TPJ), Mirai no Tō: anch’esso un partito recente, frutto della fusione di diversi piccoli movimenti liberali e ambientalisti e una parte di ex deputati democratici. Il focus maggiore è sull’ambientalismo, con la rinuncia all’energia nucleare entro il 2022, e l’opposizione a un aumento dell’IVA locale.

Vi sono poi altri partiti di sinistra, tra cui il maggiore è il vecchio Partito comunista giapponese (JCP), uno dei maggiori rimasti nel mondo occidentale capitalista, che continua a professare le sue idee di una economia pianificata, di un esercito totalmente pacifista mobilitabile solo per attacchi esterni al Paese, e ha modernizzato il suo profilo con la lotta alla globalizzazione made in USA. Un altro partito minore è quello socialdemocratico, classicamente socialista, in declino schiacciato tra comunisti e democratici.

Il sistema elettorale è a noi italiani abbastanza familiare, essendo una versione giapponese del nostro Mattarellum, con 480 seggi da assegnare, di cui 300 in collegi uninominali maggioritari e 180 con un’allocazione proporzionale.

Vediamo i risultati (cliccate sulla tabella per ingrandire):

Non tutti i partiti o coalizioni hanno presentato candidati in tutti i collegi, solo la coalizione LDP-Komeito e i comunisti, con molti lettori di Your Party che nell’uninominale hanno votato per il candidato LDP. Di qui le rilevanti differenze tra parte proporzionale e maggioritaria.

Un dato molto rilevante è la diminuzione dell’affluenza, che cala del 9,6% e scende al 59,3%, ai minimi dal Dopoguerra, con valori anche inferiori al 1996, quando similmente i liberaldemocratici tornarono al potere dopo un governo che li aveva visti all’opposizione, come possiamo vedere dal seguente grafico dal Japantimes:

 

È evidente che di fronte a un blocco di elettori abbastanza fedele del LDP, i Democratici e  gli altri partiti risentono molto dell’affluenza alle urne degli elettori indipendenti. Non a caso gli exit polls di Jomiuri Shinbun e NTV mostrano il comportamento di quegli elettori indipendenti classicamente molto mobili, suscettibili all’astensione e determinanti comunque per la vittoria dell’una o dell’altra parte, e hanno scoperto che il DPJ crolla nel voto indipendente nella parte maggioritaria dal 59% al 22%, e nel proporzionale addirittura dal 52% al 13%. Invece il LDP sarebbe salito dal 24% al 33% nel maggioritario e dal 20% al 24% nel proporzionale. Il nuovo Ishin no Kai vince la palma di primo partito tra gli indipendenti con il 28% nel proporzionale e il 14% nel maggioritario. Your Party prende il 15% in entrambi i casi.

Impossibile non vedere in questi stravolgimenti una forte influenza dell’astensione che ha colpito duro proprio nei non affiliati. Il ruolo del crollo dell’affluenza si vede anche nel fatto che la coalizione di centrodestra (LDP + Komeito) pur vincendo le elezioni ha perso, sia nel maggioritario che nel proporzionale, più di un milione di voti rispetto al 2009, quando perse le elezioni.

Un altro elemento da notare è l’elevatissima disproporzionalità nella distribuzione dei seggi, con un sistema in larga parte uninominale ma con un certo pluripartitismo: la vittoria del LDP è stata molto più netta della percentuale ottenuta realmente, molti politologi reclamano un cambiamento della legge elettorale e pare sia d’accordo anche Shigeru Ishiba, segretario generale del partito. Per esempio è stato sottolineato come in molti collegi abbia vinto il candidato nuclearista, del LDP, con poco più del 30%, mentre quelli anti-nuclearisti delle altre forze politiche hanno perso perchè ognuno in corsa per conto proprio. Da questo paradosso anche il risultato di un Parlamento ora pro-nucleare a dispetto dell’orientamento della maggioranza dei giapponesi, come rilevato dai sondaggi.

Per quanto riguarda le prospettive future, Shinzo Abe e il LDP sono a favore di azioni di stimolo forte all’economia, tramite un aumento della spesa per lavori pubblici e una politica interventista della Banca centrale giapponese. L’idea è che almeno all’interno del Paese non vi sia chiara la situazione economica e finanziaria, che la strenua resistenza a cambiare radicalmente il modello sociale ed economico, il welfare, sia superiore alla consapevolezza dello stato dei conti pubblici, che vedono un deficit pari al 9% circa del PIL e un debito monstre al 230% del PIL, quasi il doppio dell’Italia per intenderci.

Un debito finora finanziato da abbondanti attivi della bilancia commerciale, attivo che però si è annullato a causa del rallentamento dell’economia cinese, dell’adozione (certamente in parte irrazionale) dello yen assieme al dollaro come valuta di riserva, cosa che ha portato ad una sopravvalutazione della moneta. È chiaro che la strategia implicita giapponese, se l’intenzione del governo è quella di un maggior interventismo, sarà di svalutare a più non posso, e infatti già il lunedì successivo alle elezioni il cambio Yen/dollaro ha raggiunto i minimi da 20 mesi e anche il differenziale tra i tassi a 30 anni e 10 anni dei titoli giapponesi sono aumentati fino ad un massimo analogo. Inoltre sono schizzate in alto le azioni delle aziende che costruiscono e gestiscono centrali nucleari.

Non è per ora dato di sapere se oltre a questa strategia di corto respiro i liberaldemocratici abbiano il coraggio di fare riforme più strutturali come già aveva provato Koizumi, per esempio riformando le potentissime poste giapponesi, non a  caso trovando forte resistenza negli apparati del partito più economicamente conservatori e delle zone rurali.

 

Gianni Balduzzi

Classe 1979, pavese, consulente e laureato in economia, cattolico-liberale, appassionato di politica ed elezioni, affascinato dalla geografia, dai viaggi per il mondo, da sempre alla ricerca di mappe elettorali e analisi statistiche, ha curato la grande mappa elettorale dell'italia di YouTrend, e scrive di elezioni, statistiche elettorali, economia.

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