Per la prima volta nella breve storia della Repubblica Ceca, l’11 e il 12 gennaio scorsi i cittadini hanno votato per eleggere il Presidente della Repubblica. L’unica certezza sull’esito, ad ora, è che queste elezioni hanno fatto tirare un sospiro di sollievo ai vertici di Bruxelles e alle maggiori cancellerie europee. Al secondo turno, infatti, previsto per il 25 e 26 gennaio, si scontreranno due europeisti, Miloš Zeman e Karel Schwarzenberg.
Sembra così chiudersi la pagina del- l’euroscetticismo radicale del Presidente uscente, il conservatore Vàclav Klaus. Docente di economia di fama internazionale, Klaus (che parla correttamente l’italiano in seguito a una permanenza di studi a Napoli negli anni ’60) è stato il secondo Presidente della Repubblica Ceca e rivale storico di Vàclav Havel, suo predecessore e leader dell’indipendenza del paese. La presidenza di Klaus è stata caretterizza da una forte opposizione all’integrazione europea, condivisa dalla sua formazione politica, il Partito Democratico Civico, che dopo una sola legislatura all’opposizione è tornata a guidare il paese dal 2006. Appena insidiatosi come Presidente nel 2003, Klaus fu sconfitto da una valanga si Sì al referendum sull’ingresso dellla Repubblica Ceca nell’Unione Europea. Sotto la sua guida il paese, unico della Unione insieme al Regno Unito, si è rifiutato di sottoscrivere il Fiscal Compact nel marzo 2012.
Il primo classificato, con un ampiamente previsto 24,2%, è Miloš Zeman, ex primo ministro socialdemocratico che nel 2009 aveva dato vita al Partito per i Diritti Civili. La prima performance elettorale della nuova formazione era stata piuttosto deludente: un 4% alle elezioni del 2010. Personaggio molto controverso, Zeman è stato accusato di aver ricevuto finanaziamenti per il suo nuovo partito dalla compagnia petrolifera russa LUKoil. Famose inoltre alcune sue dichiarazioni anti-islamiche e lo scetticismo circa l’influenza umana sul global warming. Candidato di difficile collocazione, ha addirittura ricevuto l’endorsement del Presidente uscente Klaus.
La conquista di un posto al ballottaggio per il principe Karel Schwarzenberg è stata invece una sopresa. I principi di Schwarzenberg, esponenti dell’antichissima aristocrazia boema di lingua tedesca, erano emigrati in Austria in seguito al colpo di stato comunista a Praga nel 1948. Karel mosse i primi passi politici nel Partito Popolare Austriaco e rientrò in Cecoslovacchia solo durante la “rivoluzione di velluto” per sostenere Vàclav Havel, del quale fu amcio e consigliere. Il suo partito TOP09 partecipa dal 2010 al governo conservatore di coalizione, anche se da posizioni europeiste: TOP09 è infatti il membro ceco del Partito Popolare Europeo. Schwarzenberg è dal 2007 – anche se con una breve interruzione nel 2009 – Ministro degli Esteri del paese.
Il secondo posto ottenuto a sorpresa da Schwarzenberg è stato “scippato” a Jan Fischer, canddato indipendente che aveva ricoperto l’incarico di Primo ministro “tecnico” del governo di unità nazionale tra il 2009 e il 2010. Quasi a pari merito con Fischer (16%) si è collocato il candidato del Partito Social Democratico, Jiří Dienstbier, ottenendo un risultato superiore rispetto a quanto gli attribuivano i sondaggi. Più basso delle aspettive il risultato del candidato più seguito – almeno a livello internazionale – di queste elezioni, Vladìmir Franz: compositore, pittore e insegnante completamente tatuato, si è presentato per la Presidenza con un programma anti-corruzione. Si era parlato per Franz di un terzo posto, ma, con il 6%, dovrà accontentarsi del quinto, risultato comunque dignitoso visto che pare abbia speso solo poche migliaia di euro per la campagna elettorale.
Quelle del gennaio 2013 sono state le prime elezioni presidenziali a suffragio universale diretto della storia del paese, visto che fino ad ora il Presidente era eletto dalle due camere in seduta congiunta (un po’ come avviene in Italia). Tra il dicembre 2011 e il febbraio 2012 infatti il Parlamento ceco ha approvato un emendamento alla Costituzione che ha sottratto a sé stesso l’elezione del Capo dello Stato. Il dibattito sull’elezione diretta era esploso in seguito alla votazione per il secondo mandato di Klaus nel 2008, durante la quale, con accordi sottobanco e trattative tutt’altro che trasparenti, la politica aveva dato uno spettacolo ben poco edificante. L’elezione diretta del capo dello stato si innesta su un sistema parlamentare – simile a quello italiano – nel quale il Presidente della Repubblica ha poteri molto limitati. Da ciò le critiche – come quella dello stesso Presidente Klaus – sul probabile snaturamento dell’architettura istituzionale in conseguenza della riforma. L’affluenza alle urne, praticamente invariata rispetto alle elezioni parlamentari del 2010 (64%), non aiuta a dare un giudizio sull’esito della riforma per quanto riguarda il coinvolgimento dell’opinione pubblica.
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