Il 26 gennaio i cittadini della Repubblica Ceca hanno eletto per la prima volta il loro Presidente, scegliendo l’ex premier socialdemocratico Miloš Zeman con il 55% dei voti. La novità principale di queste elezioni – come rilevato da buona parte della stampa internazionale – sta nel fatto che i due vincitori del primo turno che si sono poi confrontati al ballottaggio, sono entrambi nettamente europeisti.
Novità rilevante in un paese che esce da dieci anni di presidenza dell’euroscettico Václav Klaus che, insediatosi alla vigilia dell’ingresso del paese nell’Unione Europea, ha poi fatto di tutto per bloccare il processo di integrazione. Insieme al Regno Unito di Cameron nel marzo 2012 si oppose alla ratifica del Fiscal Compact.
Ma veniamo ai contendenti. Zeman, il vincitore, è un volto noto della politica ceca. Il suo passato politico è tutto a sinistra: iscritto al Partito Comunista negli anni della Primavera di Praga fu espulso in seguito all’invasione sovietica del 1968. Riemerso durante la rivoluzione di velluto divenne il leader dei socialdemocratici negli anni ’90 e premier dal 1998 al 2002. In polemica con la leadership del partito nel 2007 ha fondato una sua formazione personale, il Partito dei Diritti Civili. Zeman è un leader molto nazional-popolare e usa toni decisamente populisti. Si è presentato a queste elezioni cavalcando il malcontento dei ceti popolari causato dalle dure politiche di austerity volute dal governo di centro-destra e deve infatti la sua vittoria al voto delle campagne e della Moravia, la regione orientale del paese. Oltre a non essere il candidato ufficiale della sinistra europea – che sosteneva Jiří Dienstbier, il giovane candidato dei socialdemocratici – il nuovo Presidente si è imposto all’attenzione dei media internazionali per alcune pesanti dichiarazioni anti-islamiche e per la professione di scetticismo nei confronti dell’influenza umana sui cambiamenti climatici. Questo suo profilo di candidato che rientra a fatica nelle categorie politiche tradizionali emerge anche da sostegno offertogli in campagna elettorale dal Presidente uscente Klaus, che trova però più probabilmente una giustificazione nell’ostilità di quest’ultimo nei confronti dello sfidante Karel Schwarzenberg.
Lo sconfitto di questo ballottaggio è infatti l’attuale ministro degli esteri e leader di una piccolo formazione conservatrice che partecipa al governo su posizioni europeiste, TOP09, il partito ceco della famiglia popolare europea. Karel, dodicesimo Principe di Schwarzenberg, proviene da un’antica famiglia dell’aristocrazia germanofona della Boemia. Fuggito in Austria da bambino dopo la presa del potere dei comunisti nel 1948, ha svolto a Vienna buona parte della sua carriera politica, nelle fila del Partito Popolare, per tornare in patria solo dopo la caduta del regime. Durante la campagna elettorale è stato pesantemente attaccato da Zeman per la sua appartenenza alla tanto odiata – per quanto ormai a malapena esistente – minoranza tedesca. Schwarzenberg ha preso molti voti nella Boemia centrale e nella capitale, dove il suo partito era risultato primo anche alle ultime elezioni politiche.
Il tentativo di inserire queste elezioni in una riflessione più profonda sui movimenti elettori della Repubblica Ceca post-comunista si scontra con alcune difficoltà. In primo luogo questa è la prima volta che i cittadini cechi eleggono il loro capo di stato. L’elezione diretta del Presidente della Repubblica – inconsueta in una sistema parlamentare – è stata introdotta da una riforma costituzionale nel febbraio 2012, sulla spinta di un forte movimento di opinione pubblica. In secondo luogo entrambi i contendenti appartengono a formazioni politiche minori e non ai partiti egemonici dei rispettivi schieramenti. Alle elezioni legislative del 2010, TOP09, il partito di Schwarzenberg aveva ottenuto il 16,7%, quasi quattro punti in meno dei conservatori del Partito Democratico Civico di Klaus e del Primo ministro Petr Nečas. La formazione di Zeman, a sua volta, aveva superato di poco il 4%, contro il 22% dei socialdemocratici e l’11,3% dei comunisti.
Che Zeman abbia combattuto contro buona parte dell’establishment politico ed economico del paese – con la rilevante eccezione di Klaus – è evidente dalla reazione della stampa, in maggioranza contrariata. Emerge preoccupazione circa il gruppo di consiglieri di cui il vincitore si è circondato, tra i quali il chiaccherato Miroslav Šlouf, un ex comunista vicino agli interessi della compagnia petrolifera russa LuKoil, la stessa azienda che si dice abbia finanziato il piccolo partito di Zeman al momento della sua nascita. D’altra parte il nuovo Presidente ha annunciato di voler sciogliere il parlamento per andare ad elezioni anticipate. Difficilmente si tratterà quindi di un mandato di conciliazione e non si vede come potesse essere diversamente con la scelta dell’elezione diretta. Il nuovo Capo di stato ha la possibilità di plasmare la figura del Presidente della Repubblica, ora molto più forte in quanto eletto a suffragio universale, e sembra che Zeman abbia tutta l’intenzione di far valere questo nuovo peso.
Zeman si dichiara comunque un europeista convinto, anzi un “eurofederalista”. Soddisfazione quindi a Bruxelles e a Berlino, dove forse avrebbero preferito il rassicurante e principesco rivale, ma che saranno sicuramente lieti di vedere Klaus lasciare il castello di Praga.
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