Fortissime sono le attese per le prossime mosse di Papa Francesco: dopo pochi giorni dalla sua ascesa al Soglio Pontificio ogni gesto e parola è minuziosamente sezionata ed esaminata, così come il suo passato, le luci, le ombre.
Qui ci interessa ipotizzare e registrare quali siano le sue impostazioni di pensiero riguardo l’economia e le politiche economiche. Tuttavia vanno fatte necessariamente due premesse per evitare incomprensioni.
a) Il compito del Papa e della Chiesa è e deve essere eminentemente spirituale: ogni opinione su organizzazione della Chiesa stessa, incarichi (come quello di Papa), idee politiche, economiche e sociali, non potranno mai nè prevalere nè affiancarsi alla comune appartenenza alla propria fede; per quanto riguarda il Papa si tratta di opinioni personali, per quanto autorevoli, e non rientrano ovviamente nel dogma dell’infallibilità papale.
b) Nel caso specifico di Bergoglio non ci si può mai dimenticare che proviene dal Sudamerica, con tutto il bagaglio dell’ultimo mezzo secolo di storia, molto diversa da quella dell’Europa: una storia che ha visto dittature, populismo, l’applicazione dell’economia liberale in modo squilibrato con una governance altamente inefficace (corruzione e nepotismo) che ha portato grande miseria – anche in Argentina – seguita da un periodo di maggiore ruolo del settore pubblico e accompagnato da crescita economica, in realtà provocata soprattutto dall’aumento dei prezzi delle materie prime agricole – soprattutto in Argentina.
Bergoglio è un esponente della Chiesa che ha duramente combattutto la Teologia della Liberazione, che aveva preso piede negli anni ‘70 soprattutto in America Latina e soprattutto in ambito gesuita, ovvero l’idea che l’essenza del Ministero della Chiesa fosse di tipo sociale e con “una opzione preferenziale per i poveri”, come l’espressione usata nel Consiglio Episcopale dell’America Latina (CELAM) del 1968 a Medellin, tramite una lotta al capitalismo (che allora era peraltro strettamente legato alle dittature che imperversavano in quasi tutti i Paesi sudamericani, dal Cile al Brasile e poi in Argentina). Si trattò in realtà, da parte di Bergoglio così come di altri esponenti della Chiesa e di Paolo VI e Giovanni Paolo II di una opposizione alle conseguenze teologiche e pastorali di questo approccio, ovvero il rifiuto di legare la Chiesa, per definizione universale e rivolta a tutti, a una particolare teoria economica (quella filo-marxista) e a una classe sociale, rendendo la sua natura “di parte”. Del resto nella prima Messa dopo l’elezione Papa Francesco ha ricordato come anche nell’attività di assistenza ai poveri il centro di tutto deve essere il messaggio di Cristo o il rischio è che la Chiesa finisca per essere una ONG vuota.
L’aspetto puramente economico di critica alle conseguenze dell’applicazione del capitalismo nella sua versione sudamericana, tuttavia, era però in gran parte condiviso.
Nel libro “Dialogo sopra il Cielo e la Terra”, scritto a quattro mani come dialogo con il rabbino capo argentino Skorka, afferma che “Il cristianesimo condanna con la stessa forza il comunismo come il capitalismo selvaggio. Un esempio chiaro è quanto accade col denaro che viene trasferito all’estero. Il denaro ha una patria e chi prende la ricchezza che è prodotta in un Paese per portarla altrove fa peccato, in quanto non onora il Paese che produce quella ricchezza e il popolo che lavora per generarla”. Nello stesso testo poi scrive: “Si parla sempre della ricchezza del Vaticano. Una religione necessita del denaro per mantenere le sue opere…”
Il discorso che Jorge Bergoglio ha tenuto il 17 maggio del 2007 ai 162 vescovi della Conferenza episcopale dell’America Latina è molto duro contro la disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza che provoca una “ingiustizia scandalosa che ferisce la dignità personale e la giustizia sociale”. Afferma che questa “ingiusta distribuzione della ricchezza crea una situazione di peccato sociale che grida al cielo e che esclude la possibilità di una vita più piena di molti fratelli” e che per questo occorre “eliminare le cause strutturali delle disfunzioni dell’economia mondiale”.
Sempre nella stessa occazione, infatti, il futuro Papa Francesco si scaglia contro la globalizzazione e “l’idea neoliberista”, che “ha influenzato negativamente la vita dei più poveri” i quali non sono “sfruttati”, ma sono considerati degli “avanzi” della società.
Nel momento in cui tuttavia si passa dalle enunciazioni di principio al confronto sulla situazione concreta Bergoglio si dimostra molto pragmatico e cerca di riunire intorno a sè quante più forze possibili. Anche se, di fatto, in Argentina viene gradualmente a trovardi più vicino all’opposizione al governo dei Kirchner: così nel 2010, quando presso l’università del Salvador presenta un documento, un “Consenso per lo sviluppo” sottoscritto da molti esponenti dell’opposizione e che si appella alla “unità di fronte ai problemi contro i conflitti e la frammentazione”, a un maggiore ruolo dei singoli cittadini e della società, più responsabilizzata nella funzione di presa delle decisioni e del controllo della politica. Segue quindi una proposta di politica dell’istruzione e dei media che valorizzi tutti gli attori attivi nella fornitura di un servizio pubblico, quindi, anche in contrasto con il governo Kirchner, non solo il settore statale.
Soprattutto nel campo economico nel documento si afferma la necessità di abolire le quote e le tasse sull’export, creare un sistema fiscale equo che sia compatibile con il profitto d’impresa, e che il settore pubblico eviti la produzione di beni e l’erogazione di servizi che potrebbero essere forniti in modo ottimale dai privati. Inoltre si chiede la piena indipendenza della Banca Centrale.
Temi assolutamente liberali come si può vedere, e in controtendenza con il trend socialista del Sudamerica.
Nel 2011 al Congresso di Dottrina Sociale, tenutosi in Argentina, Bergoglio torna poi a criticare “una economia che offre possibilità quasi illimitate in tutti gli aspetti della vita solo a coloro che riescono a essere inclusi nel sistema”.
In definitiva è nel motto di Papa Francesco, “Miserando atque eligendo”, che possiamo trovare una interpretazione del suo approccio: è tratto dalle omelie di San Beda il Venerabile, sacerdote (Om. 21; CCL 122, 149-151), il quale, commentando l’episodio evangelico della vocazione di San Matteo, scrive: “Vidit ergo lesus publicanum et quia miserando atque eligendo vidit, ait illi Sequere me” (Vide Gesù un pubblicano e avendolo guardato con misericordia e scelto, gli disse: Seguimi).
“Miserando ac eligendo” indica bene anche da un punto di vista laico come il leitmotiv del cardinale Bergoglio prima e di Papa Francesco poi sia quello di comprendere ogni visione, discutendo con tutti, senza pregiudizi ideologici, e però poi scegliendo con chiarezza da che parte stare su ogni tema.
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