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La lezione di comunicazione di Papa Francesco

Nell’articolo “Il conclave e la comunicazione: una prova e un’occasione” auspicavo una gestione consapevole da parte dell’organizzazione Chiesa Cattolica delle dimissioni di Benedetto XVI, per costruire un frame coerente, dare senso a quel passaggio, non perdere l’opportunità data dal grande trasporto emotivo suscitato dalla notizia.

Fin da subito, questo auspicio non è stato rispettato. Partito l’elicottero di Benedetto XVI, il messaggio lanciato dal Papa dimissionario si è subito perso nella discussione sui papabili, le cordate, le lotte di potere con o contro la Curia, gli scandali.

Particolarmente forte è stata la linea interna che ha cercato di annullare i significati della scelta di Benedetto XVI: alcuni si sono spinti addirittura a chiedere un Papa che assicuri di non dimettersi, quasi a ribadire la natura “errata” della scelta di Ratzinger, da rimuovere più rapidamente possibile dalle menti dei fedeli per recuperare al Papa l’aurea di infallibilità necessaria al suo compito.

Poi è arrivato Papa Francesco. Che fin dai primi minuti e nelle azioni di questi pochi giorni sta portando avanti un messaggio preciso sull’umanizzazione e la normalizzazione del potere papale e sulla vicinanza della Chiesa al suo pubblico, dando sostanza e coerenza alle dimissioni di Benedetto XVI. La strada è lunga e non priva di ostacoli, ma la partenza è stata potente.

A tal proposito, vorrei far notare alcuni aspetti. Innanzitutto, la potenza dei rituali collettivi: le liturgie rinnovano la carica di significato dei simboli. Quelle vissute collettivamente e con partecipazione attiva materializzano l'”energia collettiva” dello stare assieme, rafforzando l’organizzazione. La tecnologia della comunicazione consente che questa condivisione travalichi i confini materiali, mediatizzando l’interazione.

Emblematici sono stati il rituale collettivo della fumata bianca e dell’habemus papam, celebrati mediaticamente: chiunque vi ha assistito non può non aver sentito il fremere dell'”energia collettiva” che rituali così potenti sanno scatenare.

Secondo, simboli e comportamenti comunicano più dei testi. A ben vedere, nei pochi giorni di questa nuova epoca, il messaggio ci è venuto non dalle parole e dai testi, ma dalle scelte simboliche, dai gesti e dai comportamenti.

Le scelte simboliche, anche quando non argomentate, hanno connotato da subito l’azione del nuovo Papa: il nome, il rifiuto degli orpelli e dei segni esteriori del potere, il parlare di sè in quanto “vescovo” e non come “Papa”. Sono stati questi i messaggi che ci hanno raggiunto e che ci hanno significato la sua volontà di “scendere dal trono” e di interpretare un ruolo nuovo del potere papale.

E ancor più significativa è stata la capacità di Papa Francesco di associare anche comportamenti – come quello di attendere i fedeli fuori dalla Chiesa dopo messa – che sono parsi autentici nel testimoniare il messaggio di rinnovamento e che hanno ricordato non tanto le strategie di un abile comunicatore, quanto piuttosto l’intima natura di semplice parroco.

Comunicare infatti non è (solo) elaborare messaggi efficaci e distribuirli su canali potenti e pervasivi, ma è (anche e soprattutto) produrre comportamenti coerenti e capaci di testimoniare un significato.

Terzo, la forza delle storie. Il linguaggio di Papa Francesco è intriso di storie e di piccoli racconti emblematici, spesso ritagliati dalla vita personale. Un tipo di narrazione vivido ed efficace, capace di costruire cornici cognitive e d’interpretazione persistenti e di attribuire senso alle vicende umane e storiche.

E non sorprende affatto che questo uso consapevole dello storytelling sia oggi la base della forza comunicativa di questa organizzazione rinnovata. La Chiesa infatti ha sempre fatto uso a piene mani dello storytelling. Basti pensare alla retorica dei parroci, alla dottrina, alle storie esemplari di cui sono infarcite le omelie. Oppure al fatto che il libro stesso dei fondamenti teologici del Cattolicesimo, il Vangelo, in fin dei conti sia una semplice testimonianza biografica.

Per chiudere, Papa Francesco sembra voler recuperare una regola aurea: la necessità di un rapporto empatico con i pubblici è la base comunicativa di ogni organizzazione. Insomma, una piccola lezione di comunicazione organizzativa.

Michele Cocco

Michele Cocco è nato e vive a Valdagno (VI). Svolge attività professionale nel campo della comunicazione pubblica e del marketing politico-elettorale.
E' dottore di ricerca in sociologia presso l'Università di Padova e si interessa di organizzazioni politiche, organizzazioni di rappresentanza, comunicazione nella sfera pubblica e politica, metodologie della ricerca, sondaggi e ricerche socio-politiche.
Quando può, coltiva una discreta passione per il ciclismo, la montagna, la narrativa e la pasta di mandorle.

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