Prima gli studenti cinesi, ora fate largo al sud-est asiatico. Le università americane accolgono a braccia aperte chi sorvola il Pacifico per studiare a San Francisco o New York – solo per citare due delle città più ambìte. Meglio se il ragazzo ci sa fare con codici o formule, ancor di più se trova nella famiglia o nel proprio Paese validi sponsor. Viceversa, gli americani restano fedeli alla voglia di tour europeo, carico di immersioni nella storia e scorpacciate di creatività. Così la seconda scelta, dopo il Regno Unito, è un periodo di studio in Italia. Nell’epoca della globalizzazione dell’alta formazione, capita quindi che a difendere le buone relazioni atlantiche dell’accademia europea ci pensi il Belpaese.
USA chiama Asia
Nell’anno accademico 2011/12 gli studenti internazionali negli Stati Uniti sono stati 764mila. Il 25%, 194mila, erano cinesi, arrivati grazie ai fondi stanziati dal loro governo, riporta World Education Services. Due terzi dei 34mila sauditi iscritti nei college o nelle università americane nel 2012 avevano la stessa garanzia economica statale. Per tutti gli altri ci sono mamma e papà: il 63,6% degli studenti stranieri ha nei fondi personali e familiari la principale fonte di sostentamento. Mentre l’Asia alimenta la sete di matricole degli atenei USA aumentando la propria presenza del 6%, l’Europa rimane stabile attorno agli 85mila universitari. L’Italia mostra una lieve flessione e nel 2011/12 può permettersi di mandare a studiare negli USA appena 4.284 giovani, secondo le stime pubblicate dall’Institute of International Education. La Spagna cresce del 13,7% e ci scavalca con 4.924 studenti.
“Il valore di parlare inglese, quello di avere connessioni con gli USA e il fatto che l’economia cinese sia così robusta ha creato la tempesta perfetta” dichiara al The Chronicle of Higher Education Cley Hensley, direttore delle relazioni e strategie internazionali per il College Board. Le previsioni fanno pensare che le iscrizioni dall’estero continueranno ad aumentare. Le università statunitensi ne hanno estremo bisogno. La formazione è un’industria che ha sofferto la recessione del 2008 e per continuare a crescere cerca clienti, leggi studenti. Il dibattito è su come trattenere le risorse umane formate (su questo ci sono canali preferenziali per chi ha scelto curricula tecnico-scientifici) e su quanto debba investire il governo federale sul reclutamento di nuove leve. Obama ha chiesto di accogliere più studenti da Sudamerica e Caraibi, ma “chi paga?” è la domanda inevitabile.
Il valore dello studio
La Nafsa, organizzazione internazionale di docenti e formatori, ha fatto due conti su quanto vale la capacità attrattiva delle università americane. I 764mila studenti e le loro famiglie (il 7,9% di essi sono sposati) hanno contribuito per quasi 30 miliardi di dollari all’economia americana. Togliendo il supporto in borse di studio e altri aiuti forniti in loco, il netto è di 21,8 miliardi di dollari (oltre 16 miliardi di euro). Questi soldi vanno divisi quasi equamente tra le casse delle università e il resto dell’indotto necessario per soddisfare il vitto, l’alloggio e il tempo libero degli studenti. La California è lo stato che beneficia maggiormente di questi “investimenti esteri”, con 3,2 miliardi di dollari all’attivo, seguita da New York e Massachusetts (2,5 e 1,4 miliardi).
USA vuole Italia
30.361 studenti americani hanno trascorso qualche settimana o mese di studio in Italia nell’anno 2011/12. L’11,1% del totale degli espatriati temporanei. Mentre il flusso verso gli USA è attirato da ingegneria, matematica, informatica, business e management, gli americani vanno all’estero per studiare scienze sociali, materie umanistiche, arte. Chi cerca queste mete di studio trova nell’Italia una destinazione soddisfacente, ma atenei e studenti puntano anche ad altri obiettivi con i programmi study abroad. Il viaggio deve essere transformational e gli americani stanno ragionando sul fatto che l’Europa in fondo non regala poi così tante sorprese rispetto a Cina o Africa. Con l’Europa ci sono progetti di ricerca importanti e relazioni di vecchia data, ma quando i funzionari delle università americane lavorano su nuove partnership difficilmente pensano all’Europa, è l’analisi di Beth McMurtrie sul The Chronicle of HE. Considerazioni che rendono ancora più significativo il dato italiano, ma che aprono interrogativi sul futuro e su quanto l’Europa, il governo italiano e singoli atenei sapranno fare per rimanere nei sogni dei giovani statunitensi.
mi piace stare con gli amici americani per aver di piu su quanto riguarda gli stati uniti.