Nel 2014, l’Italia affronterà l’attesa ripresa economica schierando 2,3 milioni di NEET, ossia giovani Not in Employment or in Education or Training. Lo è quasi uno su quattro tra i 15 e i 29 anni. Una generazione esclusa, non al lavoro e nemmeno sui libri o in una bottega a imparare un mestiere. Una generazione di ventenni che presto sarà chiamata a competere con i colleghi stranieri, a far competere l’Italia nello scenario economico internazionale. Risponderà alla chiamata? Per poterlo fare, questi giovani dovrebbero poter (in qualche caso voler) rimettersi a studiare o trovare lavoro. Altrimenti saranno considerati “capitale umano” perduto. Il danno per l’economia nazionale sarebbe nell’ordine di decine di miliardi di euro.
I più facilmente colpiti ed emarginati sono immigrati e disabili, ma via via si sono arruolati in questo esercito disarmato ragazzi che hanno abbandonato gli studi prima del diploma, precari lasciati a casa, madri senza contratto, giovani che hanno perso la voglia di cercare opportunità o che ritengono inutile l’università. Tra i giovani italiani questa condizione era ben nota anche prima della crisi, ma negli ultimi anni è cresciuta a ritmi anomali: dal 2007 l’Italia ha registrato il terzo più alto incremento dopo Grecia e Turchia. La «timida» crescita economica è attesa nel 2014, ma preoccupa che ad affrontarla ci siano più giovani sfiduciati: sono aumentati del 5,1% nella fascia d’età tra i 15 e 24 anni, fa notare l’Ocse (organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico). Questa percentuale non è sfuggita a Matteo Renzi, che l’ha infilata tra una risposta e l’altra intervenendo dal palco della festa PD di Reggio Emilia.
Il “caso” italiano è così preoccupante, che sia l’Ocse che la Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e lavoro lo evidenziano in specifici approfondimenti, ben incorniciati nei loro rapporti. La Fondazione richiama le differenze tra sud e centro-nord, dove i NEET sono rispettivamente il 26,7% e il 14,9% dei giovani. Poi, studiando i numeri del 2008, stima il costo di questo capitale umano disperso: 1,6% del Pil, oltre 25 miliardi di euro. Nel 2012 ha superato il 2% del Pil.
La mappa dei NEET in Europa (fonte: Eurostat)
L’Ocse rileva come l’eccesso di contratti atipici abbia permesso di rispedire a casa molti giovani troppo facilmente e mette in guardia: «Facilitare l’assunzione con contratti di breve periodo è benvenuta per rivitalizzare la crescita dell’occupazione in questa congiuntura economica, ma va difeso lo spirito della riforma nell’affrontare gli abusi nell’uso di contratti atipici».
L’aumento dei NEET in Italia «stride con l’esperienza della maggior parte dei paesi Ocse, dove molti giovani rispondono alle scarse prospettive occupazionali ritardando l’ingresso nel mercato del lavoro e investendo di più in educazione», scrive l’Ocse, che aggiunge: «Per i giovani NEET italiani c’è un rischio crescente di portare a lungo le cicatrici di questa situazione, soffrendo una permanente riduzione nella capacità di trovare lavoro e guadagnare».
Nel 2012 un altro record è stato battuto. Quasi un terzo dei 20-24enni è NEET, superando la fascia dei 25-29enni. Tra le cause non ci sono più solo precariato, sfiducia e, per le donne, maternità. Il periodo critico arriva ancor prima, dopo il diploma, rifiutando o abbandonando la sfida dell’università e incontrando un mercato del lavoro chiuso a giovani senza formazione né esperienza.
Per i ragazzi italiani che abbandonano la scuola, aggiungono le organizzazioni internazionali, ora è più probabile diventare NEET che lavoratore. Lo stesso non succede a Nord delle Alpi, dove la generazione senza occupazione né formazione è lontana dai record negativi della regione meridionale dell’Europa. Guardando alla fascia più ampia che va dai 15 ai 29 anni, l’Italia sfiora il 24%: un NEET ogni quattro giovani. Spagna e Grecia condividono queste alte percentuali. Le uniche eccezioni sono il Portogallo, tra i migliori con il 15,9%, e l’Irlanda, dove nonostante la latitudine i NEET superano il 21%.
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