“Umiliazione per il governo”. “Sconfitta personale per il Primo Ministro”. Così titolavano i giornali irlandesi all’indomani del referendum sull’abolizione del Seanad, la camera alta di Dublino che continuerà a esistere per volere della maggioranza degli elettori. Come mai si è giunti a questo risultato? E qual è la situazione delle camere alte in Europa?
Alla Leinster House, sede del senato irlandese, devono aver tirato un sospiro di sollievo. Il bicameralismo è salvo e l’assemblea, formata da 60 senatori non eletti e che possono incidere solo relativamente sul processo legislativo, continuerà a riunirsi: la discussione si concentrerà piuttosto su una sua possibile riforma. Eppure la sopravvivenza del Seanad è stata raggiunta con un margine di meno di 40.000 voti: i ‘no’ sono stati 634.437, mentre i ‘sì’ 591.937. Il referendum è stato rigettato nettamente dalla città di Dublino, ottenendo maggiori consensi nelle zone più colte e benestanti della città, e parimenti il ‘no’ si è imposto in diverse circoscrizioni nella contea di Cork e nel Donegal, al confine con l’Irlanda del Nord.
Un risultato inaspettato per diversi motivi: da una parte l’abolizione era sostenuta da numerosi partiti (Fine Gael e Partito Laburista, partner di governo, ma anche il repubblicano Sinn Féin e il Partito Socialista); dall’altra tutti i sondaggi attestavano un rapporto 2 a 1 a favore dei ‘sì’. Tuttavia una fetta consistente di elettori, pari al 22,4% nella media dei sondaggi realizzati prima del voto, si dichiarava indecisa. Molti giornali irlandesi hanno evidenziato come il rifiuto del Primo Ministro Enda Kenny di sostenere un dibattito televisivo per propugnare l’abrogazione possa essere stato il fattore decisivo per il (negativo) risultato finale. L’elettorato irlandese infatti deve essere motivato per l’utilizzo del sistema referendario, come sembra emergere dalla sequenza storica dell’affluenza.
Non si riesce quindi ad individuare per l’Irlanda un trend univoco nell’affluenza ai referendum e così diventa essenziale mobilitare il proprio elettorato di riferimento. I migliaia di poster affissi dal Fine Gael in tutto il paese promettevano un risparmio di 20 milioni di euro e meno politici, ma sembra che questi slogan non abbiano toccato la maggioranza degli elettori. Per contro, a sfavore dei proponenti di emendamenti alla Costituzione, nell’isola è radicato un approccio “If you don’t know, vote no” che tendenzialmente sfavorisce il cambiamento, come emerso chiaramente con il primo referendum sulla ratifica del Trattato di Lisbona (2008).
Ma qual è la situazione a livello europeo? La presenza di una camera alta è la norma o vi sono eccezioni?
Dei 43 paesi europei, solo una minoranza possiede una seconda camera. Adottano un sistema unicamerale sia numerose democrazie sorte dalla dissoluzione dei regimi comunisti dell’Est, sia le repubbliche scandinave, a cui si aggiungono quegli stati che hanno abolito nel corso del tempo la loro seconda camera (è il caso del Portogallo, della Grecia e della Danimarca). Da notare come questi paesi abbiano tutti una popolazione superiore all’Irlanda, che ha circa 4 milioni e mezzo di abitanti (meno del Veneto). Si sottolinea inoltre il diverso metodo di elezione: la maggioranza dei paesi vede i senatori designati indirettamente (paesi indicati in blu nella mappa interattiva), mentre l’Italia ricade fra i 5 casi in cui sia prevista un’elezione diretta del Senato. Un sistema misto è adottato invece in Belgio, Spagna e Bielorussia.
Se andiamo invece ad analizzare il ruolo svolto dalle camere alte d’Europa, emerge un continente diviso in due. Da una parte i paesi nei quali il Senato è un vero e proprio veto player e partecipa pienamente al processo legislativo (bicameralismo paritario o, meno correttamente, perfetto). Dall’altra, i paesi nei quali un eventuale No della camera alta è facilmente superabile da una maggioranza coesa nella camera bassa. Alla prima categoria appartengono tutti i paesi che prevedono l’elezione diretta del Senato (fra cui ovviamente l’Italia), il Bundesrat tedesco (non propriamente paritario, ma che ha assunto sempre maggiore importanza in Germania e ora deve esprimersi su più della metà delle leggi approvate dal Bundestag) e il Senato olandese. Alla seconda famiglia appartengono le camere alte di sei paesi fra cui il Regno Unito, dove il veto dei Lord è superabile dalla camera da più di un secolo (1911), e la Francia, che ha un senato rappresentante delle (deboli) autonomie locali. Infine in Belgio e in Bosnia (terza categoria) il Senato è coinvolto solo per questioni riguardanti l’assetto costituzionale o i rapporti fondamentali con le autonomie regionali.
Dal quadro complessivo sembra emergere una tendenza verso il monocameralismo o il bicameralismo non paritario, con le rimarchevoli eccezioni di Germania (dove però il governo non necessita della fiducia del Bundesrat) e Italia. Proprio il nostro Paese è stato preso ad esempio durante la campagna elettorale in Irlanda, insieme al Giappone, come caso da non imitare: inefficienza durante l’iter legislativo e instabilità governativa erano addossate alla camera alta. Ma sembra che gli elettori irlandesi reputino il rischio Roma-Tokyo abbastanza lontano.
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