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La strategia di Miliband per il rush finale

Negli ultimi giorni la campagna elettorale nel Regno Unito è entrata nel vivo. Tre dibattiti decisivi in pochi giorni, decine di nuovi sondaggi e un esito elettorale sempre più incerto.

Lo scontro principale è quello tra Labour Party e Tories, ovvero tra Ed Miliband e il Primo Ministro David Cameron, ma emergono sempre più i partiti e i leader “minori”: il bipartitismo britannico è sempre meno rappresentativo, sia sul piano dei consensi sia sul piano della narrazione mediatica.

Dopo un primo confronto a distanza, dove Miliband e Cameron sono stati intervistati dal brillante e feroce Jeremy Paxman, la scorsa settimana si è svolto un inedito “dibattito a 7”: sullo stesso palco, per la prima volta, i candidati di sette partiti si sono affrontati per due ore.

Dal dibattito è emersa come vincitrice Nicola Sturgeon, leader del SNP, il partito nazionalista scozzese, consacrata a sorpresa dalla stampa britannica e dai numeri di YouGov, che le hanno assegnato il 28% delle preferenze tra chi ha seguito il confronto. Altri sondaggi hanno dato numeri diversi, ma tutti hanno evidenziato una performance positiva della Sturgeon e un risultato simile per David Cameron, Ed Miliband e il leader dello Ukip, Nigel Farage. Quasi irrilevanti Natalie Bennett, candidata verde, Leanne Wood, candidata di Plaid Cymru e il vicepremier liberal-democratico Nick Clegg, che proprio grazie ai dibattiti elettorali era emerso nella contesa elettorale di cinque anni fa e che oggi, invece, sembra ridotto al triste ruolo di leader in declino.

Ieri sera, invece, si è svolto un altrettanto vivace dibattito tra i leader dei principali partiti scozzesi. La Sturgeon, nell’inaspettato ruolo della frontrunner, ha avuto due ore difficili nel confronto contro Jim Murphy, leader laburista, Ruth Davidson, conservatrice e il libdem Willie Rennie: non ci sono sondaggi post-debate, ma molti commentatori hanno sottolineato come l’annuncio in diretta di un nuovo referendum per l’indipendenza della Scozia (già bocciata lo scorso anno dagli scozzesi) possa danneggiare la candidata indipendentista.

I dibattiti, nel Regno Unito, contano. Cinque anni fa furono determinanti nell’ascesa di Nick Clegg e nella vittoria finale di David Cameron. Oggi, Ed Miliband spera di utilizzarli per superare i Conservatori e vincere le elezioni.

Questa settimana ci sarà una nuova sfida televisiva, alla quale non parteciperanno i leader dei partiti di governo, Clegg e Cameron. Miliband, facendo innervosire molti nel suo partito, ha invece deciso di esserci. Il rischio è quello di risultare “poco presidenziale”, mettendosi sullo stesso piano di tutti i candidati minori, e di finire dipinto come il candidato dell’austerity e dello status quo dai partiti più radicali. Ed, invece, prosegue dritto per la propria strada.

I sondaggi danno Labour e Conservatori appaiati, mentre il confronto tra i due candidati vede Cameron primeggiare nettamente. Il primo ministro uscente risulta più affidabile come presidente, più credibile nel gestire la crisi economica. Miliband lo sa, e sa che se vuole arrivare al numero 10 di Downing Street deve ridurre il gap su questi aspetti. Per farlo, deve andare in tv, mostrarsi all’altezza di Cameron e degli altri contendenti, come ha già fatto nei primi dibattiti. Contemporaneamente, deve spostare l’agenda sul tema in cui lui e il suo partito sono più credibili: il sistema sanitario nazionale (NHS).

Proprio per questo, il nuovo manifesto elettorale del Labour (strumento che in Gran Bretagna gode ancora di grande successo) non si riferisce all’economia, o all’occupazione: la narrazione economica di Cameron, confezionata ad arte da Jim Messina, è solida e dura da attaccare, e i risultati del Governo non sono negativi. Così, il partito di Miliband ha deciso di puntare tutto sulla sanità, riprendendo un antico manifesto thatcheriano creato dalla Saatchi & Saatchi. “The doctor can’t see you now” è il claim della campagna, “Il dottore non può vederti ora” , con un visual che mostra una coda infinita fuori dalla sala d’attesa e la didascalia che recita “I Conservatori hanno reso più difficili le visite del medico di base”.

Dettare l’agenda, vincere i dibattiti (a tal proposito, pare che i consigli dello stratega obamiano David Axelrod, assunto dai Labour, siano riassumibili in “Be a happy warrior”, “Sii un guerriero sorridente”): questa è la chiave strategica per vincere. Magari, recuperando un po’ di voti in Scozia, dove gli indipendentisti rischiano di sfondare. Anche per questo, la dichiarazione di ieri sera della Sturgeon sul referendum per l’indipendenza è una buona notizia per Ed. Adesso, però, tocca a lui fare l’ultimo salto di qualità.

 

(immagine di copertina: Rob Stothard/Getty Images)

Giovanni Diamanti

Classe 1989, consulente e stratega politico. Co-fondatore e amministratore di Quorum, ha lavorato ad alcune tra le più importanti campagne italiane, tra cui quelle di Debora Serracchiani, Dario Nardella, Nicola Zingaretti, Vincenzo De Luca, Pierfrancesco Majorino, Beppe Sala. In realtà è un ragazzo timido che ama guardarsi la punta delle scarpe. Uomo dalla testa veloce, ha idee (confuse) in ordine sparso - così come i capelli.

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