Sabato 12 settembre, il Labour Party ha annunciato il risultato dell’elezione tenutasi per scegliere il nuovo leader. A trionfare è stato Jeremy Corbyn, “outsider” socialista su cui nessuno avrebbe scommesso quando annunciò la sua candidatura un paio di mesi fa. Eppure la vittoria di Corbyn è stata netta, con il 59% dei voti, stracciando gli altri candidati Burnham, Cooper e Kendall.
La vittoria di Corbyn rappresenta un’ulteriore scossa al “sistema dei partiti” inglese, già in subbuglio da qualche anno per la crescita di piccoli partiti come Verdi e UKIP. Ma Corbyn porta aria di novità in uno dei due giganti, e dopo gli anni di Tony Blair in cui Labour si è avvicinato al centro dello spettro politico, il partito vira ora decisamente a sinistra.
È impossibile parlare di Jeremy Corbyn senza scatenare le reazioni più opposte. Se per ogni leader si può dire che c’è chi lo ama e chi lo odia, quando si tratta di Corbyn le opinioni raggiungono estremi raramente visti in un partito tradizionale. Basti guardare il post di Facebook che il Primo Ministro David Cameron ha pubblicato in seguito alla sua elezione: “Il Labour Party è ora una minaccia per la nostra sicurezza nazionale, per la nostra sicurezza economica e per la sicurezza delle vostre famiglie”. Il sindaco di Londra, il conservatore Boris Johnson, lo ha descritto come un uomo che “ha votato 533 volte contro il suo partito” e che “ha espresso vicinanza a praticamente ogni gruppo terroristico esistente” (quest’ultima critica si riferisce al presunto appoggio di Corbyn ad Hamas ed Hezbollah, data la sua posizione pro-Palestina, appoggio da lui più volte smentito). Corbyn è anche noto per le sue critiche alla NATO, e per essere in favore del disarmo nucleare.
Eppure, non sembra che Corbyn abbia vinto perché considerato estremista, tanto meno pericoloso e filo-terrorista. Il Parlamentare Frank Field, tra quelli che hanno nominato Corbyn per la leadership, ha dichiarato che Corbyn ha vinto semplicemente perché gli altri tre candidati “non avevano molto da dire”. In particolare, due caratteristiche di Corbyn sembrano aver fatto presa con il pubblico: prima di tutto, la sua apparenza estremamente accessibile ed alla mano, e la sua intenzione di coinvolgere di più gli elettori in ogni decisione. Un segnale di questo sforzo è stato chiaramente lanciato mercoledì, durante la settimanale sessione di “Prime Minister Questions”, dove Corbyn, invece di rivolgere domande aggressive al Primo Ministro, ha sottoposto a Cameron dei quesiti inviategli da membri del pubblico. Questo aspetto di Corbyn, la sua volontà di cambiare l’antagonistica politica inglese, seppur all’età di 66 anni, ha sicuramente fatto presa su molti elettori. In secondo luogo, mentre gli altri candidati rappresentavano diverse sfumature di “Blairismo” e non avevano una chiara ideologia con cui sostituirlo, Corbyn è emerso come un forte candidato anti-austerity. Questo, unito alla sua posizione ambientalista (è infatti favorevole alle energie rinnovabili e contrario al fracking), gli ha consentito di guadagnare moltissimi voti tra chi alle elezioni di maggio aveva votato i Verdi, come dimostrato da dati YouGov su un campione di 1814 votanti. Recuperare i voti “persi” verso partiti come i Verdi sarà infatti una sfida cruciale per Labour. Corbyn era, in ogni caso, il più popolare anche tra chi ha votato Labour alle elezioni del maggio scorso.
Le sue politiche economiche, con alcuni elementi tipicamente “di sinistra”, sono già così discusse da essere state ribattezzate “Corbynomics”, e sono incentrate sul rifiuto della politica di austerity portata avanti dal governo Cameron. La Corbynomics prevede una riduzione più lenta del debito pubblico, da raggiungere tramite più tasse per i ricchi e le grandi corporazioni, oltre a un approccio più duro verso elusione ed evasione fiscale. Queste tasse verrebbero usate per instituire una “National Investment Bank”, il cui compito sarebbe finanziare infrastrutture. Ulteriori investimenti sarebbero promossi con il “People’s Quantitative Easing”, ovvero il piano che prevede che la Bank of England stampi denaro con cui finanziare investimenti pubblici. A questo si aggiunge la ri-nazionalizzazione delle ferrovie, del sistema bancario e del settore energetico. Poco prima della sua elezione, 41 economisti di alto calibro, tra cui un ex adviser della Bank of England, hanno difeso la Corbynomics dichiarando che queste politiche in realtà non sarebbero altro che “mainstream economics volta ad incentivare crescita e prosperità” (per quanto questo non vada interpretato come un loro endorsement politico, ma solo come una smentita del presunto “estremismo” economico di Corbyn). La Corbynomics è però fortemente criticata da molti perché considerata irrealistica, a partire da Cameron e del suo Ministro dell’Economia, George Osbourne, che hanno fatto della drastica riduzione del debito uno dei loro cavalli di battaglia.
Oltre alle critiche sulle sue policy, Corbyn non è stato immune da polemiche nemmeno durante la sua prima settimana da leader. La sua vittoria è coincisa con la settimana in cui il regno di Elisabetta II è diventato il più longevo nella storia del Regno Unito, superando il traguardo della regina Vittoria, con 63 anni e 216 giorni sul trono.
La regina continua a godere di un larghissimo consenso tra i suoi sudditi, come dimostrano i dati di Sky News, con ben il 70% dei rispondenti favorevoli al mantenimento della monarchia. Corbyn è però un convinto repubblicano, e vorrebbe rimpiazzare la monarchia con un capo di stato eletto. Sebbene non abbia intenzione di fare qualcosa al riguardo, martedì scorso, durante una commemorazione della Battaglia d’Inghilterra, ha provocato non poco scalpore non cantando l’inno nazionale, che come noto recita “Dio salvi la Regina” (“God save the Queen”).
Sono piovute critiche anche sulla composizione del suo Shadow Cabinet. Corbyn non ha infatti nominato nessuna donna nei ruoli chiave, ed è dovuto correre ai ripari includendone molte altre in posizioni meno influenti. Ora, in totale, lo Shadow Cabinet di Corbyn è più egualitario del Cabinet di Cameron, e anche di quello di Harriet Harman, la vice di Ed Miliband che è stata “acting leader” fino ad ora.
Secondo dati dell’Economist, il Cabinet di Corbyn è inoltre più simile alla popolazione britannica in termini di etnia, anche se la percentuale di parlamentari che hanno frequentato Oxford e Cambridge rimane molto più alta (seppur meno distante dalla popolazione dal governo di Cameron), e l’età media significativamente più alta.
La virata a sinistra per il Labour è confermata dalla vittoria del candidato sindaco di Londra, Sadiq Khan, un altro “outsider” che è riuscito a battere la favorita Tessa Jowell, ex ministro dei governi Blair e Brown. L’aria di novità nel Labour è quindi innegabile. Quello che non è ancora chiaro è se la formula che ha consentito di trionfare nella lotta per la leadership del partito sarà altrettanto efficace per riportare il partito al governo. Attendiamo con interesse i prossimi sondaggi.
Commenta