Una settimana fa gli iscritti certificati del Movimento 5 Stelle hanno deciso di togliere dal simbolo il riferimento al sito di Beppe Grillo, sostituendolo con l’indirizzo della piattaforma online del partito. Questa decisione ha marcato un’ulteriore evoluzione nel rapporto fra il fondatore e il Movimento.
All’inizio l’identificazione era totale: telegiornali e talk show parlavano dei “grillini” quasi solo attraverso spezzoni dei comizi del leader, con una presenza complessiva nei notiziari delle principali reti nazionali pari al 5 per cento circa (dati AgCom). Visto il successo ottenuto alle Politiche, la strategia fu replicata per le Europee 2014 con il “VinciamoNoi Tour” di Grillo. Ma nonostante uno spazio sui tg triplicato, i consensi nelle urne registrarono un’inaspettata battuta d’arresto, scendendo dal 25 al 21 per cento. Ciò indusse il vertice a rivedere le regole interne del Movimento sul rapporto con i media, consentendo a numerosi esponenti di partecipare attivamente alle trasmissioni televisive.
Il cambiamento è stato messo alla prova in una campagna “quasi nazionale” come quella delle Regionali dello scorso maggio, dove ad ereditare il palcoscenico sono stati gli esponenti del cosiddetto “direttorio”. Nonostante il risultato non eclatante di quelle elezioni (il 17 per cento), l’approccio viene confermato nei mesi successivi al voto, che vedono un ruolo ancor più di secondo piano per Grillo e una maggiore presenza di Alessandro Di Battista e Luigi Di Maio.
La “successione” e i nuovi volti
In molti, dentro e fuori il Movimento, pensano che il candidato ideale alla “successione” sia proprio Di Maio, il volto istituzionale del M5S. Al punto che sono molti gli istituti demoscopici che hanno iniziato a sondare l’indice di fiducia verso il giovane vicepresidente della Camera. Osservando tali dati, si notano due cose: in primis, il consenso a Beppe Grillo è in netta risalita rispetto ai minimi toccati a inizio 2015 (14,3 per cento di fiducia a marzo), da quando cioè l’ex comico ha deciso quasi di scomparire dai principali mezzi d’informazione, lasciando spazio ad altri. A questa risalita si accompagna un aumento di consensi proprio al M5S, ormai in continua crescita da mesi, che lo posiziona sempre più come principale antagonista del Pd – in attesa della riorganizzazione del centrodestra. Molto significativo è anche il fatto che i consensi verso Di Maio siano superiori a quelli dello stesso Beppe Grillo, e ne facciano il leader con il maggior apprezzamento, ad eccezione di Matteo Renzi.
L’elettorato che cambia
Questo nuovo clima di opinione porta quindi i cinque stelle a registrare un 27 per cento nella media mensile delle intenzioni di voto, oltre 7,5 punti in più rispetto a gennaio: un record storico per il Movimento, persino superiore al risultato del 2013. Tuttavia, non è mutata solo la composizione della leadership negli ultimi due anni. Anche l’elettorato ha subito un’evoluzione.
Nel 2013 il M5S si presentava come un partito con le sue roccaforti sociali fra i lavoratori autonomi (44,3 per cento), i disoccupati (40 per cento) e gli operai (38,4 per cento, dati Demos), e particolarmente votato tra i più giovani. Inoltre, era diffuso su tutto il territorio nazionale, capace di raccogliere voti nella campagna veneta come nelle città del Sud. Ora, secondo i dati del CISE, il Movimento avrebbe perso il supporto di numerosi piccoli imprenditori, ricevendo invece ulteriori consensi fra impiegati e tecnici privati. L’elettorato si sarebbe spostato verso classi d’età più mature (45-64 anni) e parallelamente ci sarebbe stata una forte meridionalizzazione del voto. Ciò si era visto già nel 2014, quando 19 delle 20 province con il miglior risultato per il M5S erano situate al Sud (con l’unica eccezione di Genova). Ora questo fenomeno si sarebbe accentuato, facendo del partito di Grillo il vero polo anti-PD in tutte le regioni meridionali.
La “Lega” meridionale
Con i dati dei sondaggi odierni, si può stimare che il Movimento sarebbe primo partito in tutte le regioni a sud del Lazio, tranne la Basilicata. Questo fenomeno è frutto di una serie di flussi incrociati: da una parte settori importanti dell’elettorato settentrionale sono tornati a votare la Lega Nord, e ciò ha causato una vistosa diminuzione dei M5S in tutto il Nordest; dall’altra, il M5S è stato capace di intercettare al sud il voto di numerosi ex elettori PD, e in quota minore di ex elettori di Forza Italia. Ciò ha rafforzato il ruolo dei Cinque stelle come avversari di Renzi. Restano due nodi da sciogliere nel prossimo futuro, e che potrebbero causare delle difficoltà a Di Maio e soci: riuscirà il M5S a rimanere attrattivo per elettori con un’identità politica così eterogenea? E quando si arriverà a dover scegliere un nome per un candidato premier, chi sarà il leader?
Articolo pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 24 novembre a cura di Salvatore Borghese e Andrea Piazza
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