Matteo Salvini è uno dei politici italiani più presenti sui social network. Oltre a farne un utilizzo massivo e costante, il leader della Lega spesso porta ad esempio il proprio successo online (sopratutto su Facebook) come conferma del proprio consenso politico, andando quasi ad identificare un like con il voto. Ma, parafrasando Mike Moffo, strategist alle campagne di Barack Obama, likes don’t vote.
Questa analogia tra online e offline è infatti ottenuta storpiando ad arte il significato della partecipazione politica online e non prendendo volutamente in considerazione le diverse caratteristiche di utilizzo e la diversa ratio dei social network: semplificando, un like su Facebook non è un voto, un following su Twitter non è una tessera di partito.
A compromettere ulteriormente la validità dell’equazione “like = voto” è stato, recentemente, il caso dei cosiddetti bot, emerso con la diffusione dell’hashtag #alfanodimettiti da parte di Salvini; questo caso ha fatto affiorare una crepa nel paradigma che vede una correlazione stretta tra consenso politico offline e seguito online – in particolare sui social media.
Indubbiamente, il consenso a Matteo Salvini è aumentato negli ultimi tempi e, dopo le Europee 2014, ha conosciuto una significativa crescita. Probabilmente causata, tra le altre cose, anche dal cosiddetto effetto bandwagon, per cui le persone tendono a riporre maggiore fiducia nei candidati che hanno più probabilità di successo – reale o atteso; alla crescita segue un ulteriore consolidamento tra novembre e dicembre dello stesso anno, periodo in cui i consensi a Salvini toccano valori di gran lunga superiori (fino al 27%) rispetto ai valori delle Europee (in cui, comunque, la fiducia aumenta dal 10% al 18%).
Se infatti le Europee sono le prime elezioni che lo vedono segretario federale della Lega, ed è in queste che si registra l’inversione di tendenza nei consensi (circa il 2% in più rispetto alle Politiche 2013), il risultato più incisivo è quello delle Regionali 2015, in cui la Lega arriva ad ottenere il 9,5% dei voti su 7 regioni ma ben il 13% in quelle 6 dove ha presentato il suo simbolo.
L’effetto visibilità è ben confermato dai dati sulle presenze TV, che in questo periodo è maggiore e, sopratutto, più costante. Come si può vedere nel secondo grafico, basato sui dati dell‘Osservatorio di Pavia, (che registra le presenze televisive di tutti gli esponenti istituzionali e politici) nel periodo tra novembre 2014 e marzo 2015 il leader della Lega ha infatti registrato una presenza media mensile di oltre 120 minuti, quasi il doppio dei 75 minuti registrati di media nei sei mesi precedenti.
In questo senso è curioso rilevare come l’aumento delle presenze in TV sembri in qualche modo “anticipare” l’aumento del consenso al leader, sia nel quadrimestre novembre-marzo che nel periodo a cavallo delle elezioni regionali del 2015.
La maggiore attenzione dei media e l’ampiezza del dibattito pubblico in cui Salvini riesce ad inserirsi possono quindi ben spiegare il suo successo come leader, sopratutto considerando come per l’82% degli italiani sia la televisione il mezzo usato per informarsi politicamente.
Un’altra chiave di lettura può essere la trasversalità dei suoi messaggi, caratteristica che, come spesso Salvini stesso tende a sottolineare, si riflette nel suo straordinario successo online; indubbiamente il suo stile comunicativo diretto, aggressivo e semplificato ben si adatta alle caratteristiche della comunicazione tipica dei social, disintermediata, veloce e sopratutto pervasiva.
È inoltre evidente che Salvini sia quello che meglio riesce a sfruttare le potenzialità dei social network, dettandone l’agenda, interpretando gli umori degli utenti e integrando i trending topic con il discorso pubblico offline.
Ma c’è una relazione tra il consenso e il suo successo online? Come interagiscono, tra loro, il mondo reale e il mondo virtuale? L’equazione “voto = like” in questo caso funziona?
Nonostante le grandi capacità oratorie e la chiave mediatica impressa al partito della Lega Nord, è qui che i nodi vengono al pettine. Se da una parte l’aumento della fiducia, come abbiamo visto, può essere spiegato con l’aumento delle presenze in tv, dall’altro questo non sembrerebbe essere riconducibile alla crescita del suo profilo Facebook, nonostante sia passato da 90mila ad un milione ed oltre di like nel giro di un solo anno e mezzo.
Se la crescita della pagine Facebook sembra essere costante (grafico 3), si può vedere invece come la growth rate (GR, che misura l’aumento giornaliero di like, grafico 4) trova i suoi picchi in giornate che non presentano caratteristiche particolari, e che non giustificano – né dal punto di vista comunicativo né da quello politico – un aumento così consistente.
Di rilievo sono i quattro picchi registrati tra l’8 e il 9 novembre 2014 e tra l’8 e il 9 aprile 2015. Qui la GR registra valori di gran lunga superiori alla media: in quei giorni, infatti, il numero di fan cresce rispettivamente di circa 9800 e 18000 al giorno, contro una media registrata negli altri giorni di poco inferiore ai 2000 al giorno.
Se questi picchi anomali sembrano in qualche modo aprire e chiudere le fasi a cui, come si è già visto, corrispondono i periodi di maggiori presenze tv (e di consenso), è curioso notare come a cavallo di questi si registrino anche dei picchi negativi, ossia perdite consistenti e concentrate di like. Questi picchi, registrati il 15 marzo, 25 aprile e 16 giugno 2015, potrebbero essere il risultato dell’eliminazione, da parte dello staff di Facebook, di profili inattivi e fake per contrastare la pratica dell’acquisto di like: la società di Zuckerberg ha infatti annunciato, proprio il 12 marzo, l’obiettivo di rendere le pagine fan più veritiere, con numeri di like più affidabili e che rispecchino il reale gradimento. Per chi guarda molto ai numeri – e meno al reale coinvolgimento degli utenti – la tentazione di acquistare pacchetti di like è forte; in questa trappola sono infatti caduti molti personaggi pubblici e molti politici, che hanno visto i propri fan diminuire proprio nel periodo successivo all’annuncio di Facebook.
Ma, se per un personaggio pubblico una pagina fan gonfiata può incidere sulla visibilità, forse dovrebbero essere proprio i politici a dover stare più attenti se, facendo leva su un successo che potrebbe essere fittizio, non vogliono rischiare di veder minata la famosa uguaglianza “voto = like“. Perché, si sa, likes don’t vote.
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