La recente lettera dei tre “sindaci arancioni” (Pisapia, Doria e Zedda) ha suscitato un dibattito nel centrosinistra sulle alleanze in vista delle prossime elezioni amministrative. È necessaria una coalizione fra Pd e Sel per evitare di perdere troppe sfide? Oppure le differenze programmatiche sono troppe e il divorzio è l’unica via? Il tema si pone con forza, visto che il 64% degli elettori ritiene le Comunali 2016 un test per il governo (dati Ipsos).
Ma qual è attualmente lo stato dell’alleanza Pd-Sel a livello locale? Esaminando i 421 comuni con oltre 15 mila abitanti che sono andati al voto negli ultimi tre anni, notiamo in effetti una diminuzione delle alleanze fra il Pd e le liste di sinistra. Se nel 2013 (con Guglielmo Epifani segretario “provvisorio”) questa alleanza sosteneva il 47,7% dei candidati del centrosinistra, nel 2015 tale percentuale si è fermata al 27,7% soltanto. A questa diminuzione non è però corrisposto un aumento delle alleanze con il centro, tale da prefigurare un Partito della Nazione con Alfano e Verdini. Anzi, con Renzi questa alleanza si è fatta persino più rara nel 2014, per poi tornare su livelli simili a quelli del 2013, quando le coalizioni che includevano anche i centristi erano il 14,8%. Sono invece aumentate le candidature sostenute dal solo Pd, al più in coalizione con liste civiche: questa sorta di “prova generale” dell’Italicum ha rappresentato quest’anno ben il 51,8% dei casi esaminati.
Se da una parte quindi non va esagerato il “rischio” di un sodalizio fra Renzi e le liste moderate, la lettera dei tre sindaci riflette un dato reale: nel 2015 il Pd non è riuscito a replicare alle Comunali quell’ondata di successi ottenuti nel 2013 (62,5% di vittorie) e nel 2014 (68,3%). Con solo il 36,6% dei Comuni conquistati quest’anno, il Pd ha subìto la nuova competitività del centrodestra e la sempre maggiore attrattiva delle liste civiche presso gli elettori. Nei casi in cui il Pd era alleato con la sinistra, invece, il tasso di vittoria complessivo nei tre anni è stato pari al 73,6%.
La ridotta competitività del Pd nel 2015 non può essere imputata solo al minor numero di alleanze con la sinistra, specie in un contesto di maggiore fragilità del governo rispetto a quello che si aveva nel maggio 2014. Tuttavia è vero che coalizioni più ristrette non rappresentano un valore aggiunto per il Pd. E infatti, secondo Ipsos, tra le varie configurazioni possibili quella preferita dal 49% degli elettori del Pd è proprio la coalizione con la sinistra. Anche alle ultime elezioni regionali il Pd ha in più casi sconfessato l’alleanza con Sel e compagni: è successo in Toscana, Campania e Liguria; ma solo in quest’ultimo caso la rottura dell’alleanza ha comportato una sconfitta.
A livello nazionale lo scenario si presenta assai differente: con l’Italicum non sono possibili alleanze pre-elettorali fra le liste, e sembra anche improbabile che il Pd decida di “inglobare” altri partiti, operazione che potrebbe allontanare più che conquistare elettori. Tutto si gioca quindi su quanti elettori degli altri partiti si è capaci di attrarre al ballottaggio, specie se questo fosse una partita tra Pd e Movimento 5 Stelle.
Secondo Ipsos, il 39% degli elettori di Sel-Sinistra italiana voterebbe M5S in caso di ballottaggio, mentre gli elettori di centro che si sposterebbero verso Grillo sono il 15%. Defezioni che il Pd non può permettersi in uno scenario di competizione aperta. D’altra parte, solo il 20% degli elettori di Forza Italia voterebbe per il Pd al ballottaggio. Il principale partito di centrosinistra quindi, non potendo costruire coalizioni, come può fare a livello locale, deve mantenere un profilo attraente per diversi elettorati. Un’impresa non facile, specialmente in un contesto in cui alcuni atti del governo Renzi sono messi in dubbio dagli elettori.
Secondo il 59% degli intervistati da Euromedia, il governo non ha fatto nulla per tutelare gli investitori nei titoli subordinati delle quattro banche in difficoltà; per Ixè il 69% dei cittadini è insoddisfatto dell’azione del governo sulle banche, anche se allo stesso tempo il 74% è contrario all’utilizzo di soldi pubblici per risolvere crisi bancarie. Al momento la popolarità del governo (stabile fra il 31% di novembre e il 29,7% di metà dicembre) e del premier (dal 33 al 31,9%) ne risentono solo moderatamente, ma le prossime elezioni comunali si preannunciano decisamente più impegnative di quelle del 2014. Sarà fondamentale avere un consenso trasversale anche tra gli elettori di altri partiti, dentro e fuori dalla propria coalizione.
Articolo pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 22 dicembre a cura di Salvatore Borghese e Andrea Piazza
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