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I cattolici sempre meno decisivi. Ma ora rischia M5s

Nelle ultime settimane la politica si è divisa sul ddl Cirinnà che disciplina le unioni civili: i maggiori partiti sono divisi al loro interno, i vescovi hanno fatto sentire la propria voce e sabato c’è stato il Family Day. Il rapporto tra cattolici e politica in Italia è da sempre un argomento sensibile. Durante la Prima Repubblica il voto cattolico era molto rilevante e i credenti potevano identificarsi facilmente nelle posizioni espresse dalla Democrazia cristiana.

 

Come ci mostra il grafico, fino a Tangentopoli i partiti di centrodestra raccoglievano più del 70% dei voti dei praticanti assidui, mentre assai inferiore era il loro consenso fra i praticanti saltuari e i non praticanti (dati a cura di Marco Maraffi, in Votare in Italia: 1968-2008, a cura di Bellucci e Segatti). Con la Seconda Repubblica cambia radicalmente il sistema partitico, ma gli elettori cattolici rimangono in maggioranza fedeli ai partiti di centrodestra. Dal ’94 in poi il consenso del centrodestra fra i praticanti assidui (ma anche saltuari) è anzi in aumento.

Nel grafico abbiamo introdotto anche due stime sul voto dei fedeli per le Politiche 2013 (dati ITANES) e per le Europee 2014 (sondaggio post voto di Ipsos). Muta lo scenario: per la prima volta i partiti di centrodestra non riescono più a raccogliere la maggioranza dei suffragi fra i praticanti più assidui. Qualche avvisaglia si era avuta già a fine 2012, quando secondo Demos solo il 17% dei cattolici praticanti indicava un governo di centrodestra come esito preferito: più graditi erano il governo tecnico in carica (35%) o una grande coalizione (23%). Nella disaffezione dei credenti verso il centrodestra si inseriscono le performance elettorali del Movimento 5 Stelle: nel 2013 lo votano il 24,3% dei cattolici praticanti e nel 2014 il 12,9%. Parallelamente, anche il Pd riceve il consenso di un maggior numero di cattolici: dal 25,4% del 2013 fino al notevole 43,3% del 2014. Possiamo affermare quindi che ad oggi l’elettorato praticante sia presente in tutti i partiti. A conferma di ciò abbiamo un altro sondaggio Demos dello scorso settembre, secondo cui hanno fiducia nella Chiesa il 63% degli elettori di Forza Italia, il 49% degli elettori Pd, il 44% degli elettori M5S e il 43% degli elettori della Lega Nord.

La pratica religiosa però non esaurisce il rapporto tra religione e politica. Parlando di diritti civili entra in gioco il fenomeno della secolarizzazione, cioè il progressivo allontanamento da usi e costumi tradizionali, che Roberto Cartocci (Università di Bologna) ha misurato attraverso un indicatore costituito da vari fattori, tra cui percentuale di matrimoni religiosi, destinazione dell’8×1000 e frequenza scolastica all’ora di religione. Ne esce una mappa delle 110 province italiane, con le regioni dell’Italia centrale che si rivelano le più secolarizzate e con il Centro-Sud con un più basso livello di secolarizzazione. Incrociando questa mappa con quella delle zone di forza dei partiti, scopriamo cose interessanti. Prendendo in considerazione le 27 province dove ciascun partito ottiene i suoi migliori risultati, scopriamo che nel 2014 il Pd ha ottenuto più del 45% in 22 province ad alta secolarizzazione, ma risultati equivalenti solo in 5 a media secolarizzazione. Forza Italia al contrario ottiene i suoi migliori piazzamenti in 26 province “tradizionaliste”, mentre solo una è a media secolarizzazione. L’M5S presenta una distribuzione simile: 20 delle sue roccaforti provinciali sono in zone a bassa secolarizzazione, 6 a livello medio e solo una (Rimini) in aree dove la fede orienta di meno i comportamenti sociali.

Come leggere questi dati? Il M5S ha un elettorato che si è progressivamente meridionalizzato, ed infatti le regioni del Sud sono quelle meno secolarizzate. Bisognerà capire se la posizione laica adottata dal partito di Grillo in Parlamento rispecchierà in modo soddisfacente i suoi territori di forza, che sono fra quelli dove la fede incide in modo più significativo. Di converso, il Pd ha un sostegno diffuso e radicato in zone a bassa tensione religiosa, le “regioni rosse” appunto. È proprio il partito di Renzi il primo promotore del ddl sulle unioni civili, ma un’eventuale bocciatura in Senato potrebbe avere conseguenze negative sul consenso al partito di governo.


Articolo pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 2 febbraio a cura di Salvatore Borghese e Andrea Piazza

Redazione

La redazione di YouTrend

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