Martedì scorso, in Senato, Mario Monti ha attaccato duramente Matteo Renzi, accusandolo di mettere a repentaglio la credibilità dell’Italia “denigrando” l’Europa. Monti ha addirittura auspicato che la flessibilità richiesta dal governo italiano non venga concessa da Bruxelles.
Ma questo è solo l’ultimo tassello di una battaglia che Renzi ha ingaggiato contro le istituzioni europee, sapendo bene che l’Europa è estremamente impopolare, ed è quindi un facile “nemico esterno” contro il quale scagliarsi per ottenere consenso. Quando a gennaio scoppiò la polemica con il presidente della Commissione Juncker, un sondaggio Ixè mostrava che per il 50% degli italiani Renzi aveva ragione, mentre solo il 17% era con Juncker. Per Eumetra, pochi giorni dopo, ben il 65% degli italiani pensava che Renzi avesse fatto bene ad aprire lo scontro, per difendere gli interessi dell’Italia, e solo il 20% pensava che bisognasse invece rispettare le istituzioni europee. Lo stesso sondaggio certificava come due italiani su tre avessero poca o nessuna fiducia nell’Ue.
Ma questo non vuol dire che queste polemiche possano portare dei vantaggi all’Italia: solo il 38% lo crede, mentre il 44% ritiene che sia una strategia controproducente (dati Ipsos). Del resto, secondo lo stesso sondaggio, gli italiani sono divisi anche su come interpretare le intenzioni del governo: il 48% pensa che tutto ciò sia un diversivo per sviare l’attenzione dai problemi interni, il 44% crede che si tratti davvero di un tema strategico per il governo. Per quanto riguarda il merito della questione, l’istituto Ixè ci dice che sono molti gli italiani che trovano giusto chiedere una maggiore flessibilità: sono il 41%, contro il 225 che preferirebbe invece più rigore sui conti.
Renzi però non avrebbe abbastanza peso in Europa per far valere il suo punto di vista: solo 23 italiani su 100 pensano che il premier italiano abbia un peso significativo, quasi due terzi (il 64%) pensano il contrario. Ma che questo possa comportare che vi sia una sorta di “complotto” delle istituzioni europee contro l’Italia, come quello denunciato da Berlusconi nel 2011, lo pensano in pochi: solo il 30%, mentre il 63% lo ritiene improbabile. Non ritengono improbabile invece che si ripeta un evento come quello che portò al “commissariamento” dell’Italia nel 2011, ossia una grave crisi finanziaria: le recenti turbolenze in Borsa che hanno coinvolto banche e istituti finanziari preoccupano quasi 7 italiani su 10, convinti che a questo punto una nuova crisi finanziaria in Europa sia possibile.
Al centro di tutto c’è la grande questione di cosa debba essere l’Europa. Non riguarda solo l’Italia: ormai in tutti i paesi europei (persino in Germania) vi sono forze politiche che, pur con obiettivi differenti, mettono in discussione lo status quo istituzionale dell’Ue (vedi grafico). In Italia, nonostante la sfiducia prevalente verso l’Ue, ben 35 italiani su 100 pensano che si dovrebbe andare verso gli Stati Uniti d’Europa (dati Ferrari Nasi di gennaio) e solo l’11 per cento vorrebbe che vi fossero solo relazioni commerciali privilegiate, senza integrazione monetaria. La natura dell’Ue infatti è oggi messa in discussione non solo sulle questioni di politica economica, ma anche su libertà fondamentali come quella di circolazione tra gli stati membri, tema emerso in seguito all’emergenza migranti. Su questo le opinioni degli italiani sono abbastanza oscillanti: solo il 26% ritiene che soluzioni drastiche come i muri anti-immigrati, siano giuste. La netta maggioranza degli intervistati (il 61% secondo Euromedia) crede che l’Italia dovrebbe ripristinare i controlli alle proprie frontiere, cioè di fatto limitare o sospendere il trattato di Schengen. Limitazione auspicata dal 31% degli italiani per Ixè (il 49% vorrebbe invece mantenere il trattato), mentre il 54% degli intervistati da Index Research ritiene che la sospensione di Schengen, alla luce dell’attuale emergenza migranti, sarebbe giusta. Che la modifica di questo trattato sia un argomento divisivo e dalle conseguenze non trascurabili è confermato anche da Euromedia, secondo cui il 44% crede che ciò sarebbe la fine dell’Unione Europea, mentre per il 46,5% si tratterebbe comunque solo di una soluzione temporanea.
Articolo pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 23 febbraio a cura di Salvatore Borghese.
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