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È sulla (mancata) ripresa economica che rischia Renzi

La politica italiana quasi ogni settimana dibatte sui dati relativi all’andamento dell’economia pubblicati dalle varie istituzioni, nazionali e internazionali: governo, Istat, Unione europea, Ocse, Fondo Monetario. A questi si aggiungono gli studi di soggetti indipendenti come le associazioni di categoria o dei consumatori.

Molte di queste cifre sono previsioni future e dal 2011 per quanto riguarda il Pil le stime del governo sono state più ottimiste dei valori reali. È successo anche questa volta con il dato sulla crescita nel 2015, che il governo aveva stimato ad aprile ad un +0,9% del Pil su base annua e che invece si è fermato ad un +0,6%, complice un ultimo trimestre al di sotto delle aspettative.

Che si tratti di crescita del prodotto interno lordo, disoccupazione o produzione industriale, l’economia italiana mostra segni di (timida) ripresa. Ma per far ripartire davvero l’economia in Italia, dopo quasi dieci anni di crisi tra recessione e stagnazione, non possono bastare gli zero virgola. Renzi lo sa, ed è per questo che lui e il Pd glissano sulle cifre esatte e insistono a dire che “l’importante è aver invertito la rotta”. Ma quello che importa è anche quanto i cittadini percepiscono che l’economia sia migliorata, o che possa migliorare nel prossimo futuro.

Negli ultimi due anni ha prevalso un sostanziale pessimismo, legato alla disillusione di vedere costantemente frustrate le speranze di un miglioramento della situazione economica generale. Secondo i dati dell’istituto Demos, alla fine del 2013 il 34% degli italiani sperava in una ripresa economica nel 2014, ma un anno dopo solo il 4% pensava che le cose fossero migliorate. Allo stesso modo, a fine 2014 ben il 41% era ottimista per il 2015, ma anche in questo caso solo il 17% vedeva un reale miglioramento della situazione a fine anno. I dati di Ixè consentono di conoscere i giudizi degli italiani sui provvedimenti adottati da Renzi: a settembre 2014 solo il 21% pensava che il famoso bonus da 80 euro introdotto qualche mese prima avesse inciso positivamente sull’economia, e complessivamente solo il 22% dava un giudizio positivo delle misure del governo contro la crisi. Sempre Ixè ci riporta un dato preoccupante: fra dicembre 2015 e febbraio 2016 una quota compresa tra il 61 e il 70% degli intervistati non vede ad oggi segni di ripresa economica.

Eppure, una quota consistente di italiani continua ad essere in qualche modo ottimista sul futuro, e in particolare le aspettative per il prossimo anno sono alte. La percentuale di coloro che ritengono che nel 2016 l’economia vedrà un miglioramento va dal 40% registrato da Ipr al 56% di Ixè, passando per il 41% di Demos.

L’ottimismo è in crescita anche secondo le rilevazioni di Ipsos degli ultimi due anni: come si vede dal grafico, la quota di italiani che ritiene che il peggio sia alle nostre spalle è ancora minoritaria (il 27%), ma è comunque in crescita rispetto ai minimi toccati nell’autunno del 2014, quando si aggirava sull’11%. La maggioranza relativa (35%) continua a pensare che il peggio debba ancora venire, ma questa quota negli ultimi due anni si è progressivamente ridotta. Un’altra indicazione interessante, anche perché mostra un andamento in linea con i dati di Ipsos, viene dall’Istat, che ogni mese elabora un indice sulla fiducia dei consumatori. Questo indice negli ultimi mesi ha fatto registrare i suoi valori massimi da due anni a questa parte: fatto 100 l’indice di fiducia nel 2010 (anno successivo al terribile 2009, quando il Pil crollò del 6%), tra novembre 2015 e gennaio 2016 si è registrato un valore pari a circa 118. A fine 2014 i valori erano invece molto più deludenti – intorno a 97 – e più bassi ancora erano all’entrata in carica del governo Renzi, quando l’indice si fermava a 94,7. Il nuovo anno sembra aver dato più fiducia ad un popolo che resta, in maggioranza, molto insoddisfatto di come stanno andando le cose, e anche piuttosto pessimista.


Articolo pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 1 marzo a cura di Salvatore Borghese e Andrea Piazza

Redazione

La redazione di YouTrend

1 commento

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  • Il reddito di cittadinanza porterebbe il Paese al fallimento siccome non si può elargire denaro per due anni (780 euro) senza che questo non generi a sua volta un ritorno all’economia statale poiché i vari disoccupati percepirebbero denaro senza creare alcun valore (né di contribuzione, né di quanto deriva dai vari ricarichi dei mercati). In tal caso occorrerebbe stampare denaro per milioni di individui e questo creerebbe inflazione poiché circolerebbe più denaro a scapito della produzione di beni: i prezzi salirebbero a dismisura. Inoltre l’afflusso di disoccupati non finirebbe mai per l’arrivo delle nuove generazioni. Come ha potuto la piazza assegnare a un comico che ha poi messo insieme individui di varia estrazione. Questi ora parlano sempre a nome degli italiani come se avessero avuto il mandato di tutti (ci si faccia caso) senza che ne abbiano le doti necessarie. Con questi al potere avremo contro anche l’Unione europea: i segnali percepiti sono chiari. Meglio andare al voto e per fare ciò occorre una informazione fatta soprattutto dai giovani.
    Mazza dottor Terenzio