Le primarie tenutesi domenica a Roma e a Napoli costituiscono l’ennesima spia del forte clima di sfiducia che investe tutto ciò che riguarda la politica in Italia. Il calo dell’affluenza sembra confermare il legame tra la partecipazione politica e la fiducia complessiva nel sistema, o quantomeno nei propri interlocutori politici di riferimento.
Come già abbiamo visto altre volte, questa sfiducia non è limitata ai partiti politici, ma coinvolge istituzioni come l’UE e il sistema bancario. Tuttavia il calo dell’affluenza alle urne non è una novità e non riguarda solo le primarie. Come mostra il grafico, il picco di affluenza in un’elezione di rilievo nazionale nella storia recente c’è stato alle Politiche 2006, ormai dieci anni fa. Ma già nel 2008, dopo due anni di governo Prodi sempre appeso al filo di una fragile maggioranza in Senato, gli elettori che si recano alle urne sono quasi un milione e mezzo in meno. Il calo si registra anche alle Europee e alle Regionali che si tengono nei due anni successivi. A febbraio 2013, nonostante un’offerta politica molto rinnovata (grazie soprattutto a M5S e Scelta Civica), i votanti diminuiscono ulteriormente. Anche stavolta le Europee e le Regionali dei due anni successivi confermano questa tendenza. Ma cosa accadrebbe oggi? Quanti italiani si recherebbero alle urne se ci fossero elezioni politiche?
Molti istituti di sondaggio provano a stimare una risposta sulla base degli intervistati che si dichiarano propensi ad andare a votare. Gli indecisi e gli astenuti dichiarati oscillano tra il 30% di Demos e il 49% di Tecnè. Facendo una media delle risposta date a otto diversi istituti di sondaggio, gli italiani che dichiarano di voler votare oggi sarebbero il 61%. Un dato incredibilmente basso, anche se si tratta di un punto di partenza: è noto che le campagne elettorali hanno l’effetto di mobilitare gli elettori. Ma per le prossime Comunali la situazione potrebbe rivelarsi persino peggiore: cinque anni fa, l’affluenza al primo turno si è fermata al 67% a Milano e al 60% a Napoli. A Roma, due anni dopo, meno del 53% degli elettori manda Marino e Alemanno al ballottaggio.
Quest’anno l’affluenza potrebbe fermarsi addirittura sotto il 50%, un record negativo che avrebbe del clamoroso: così come è stata clamorosa la bassa affluenza che si è registrata in occasione delle elezioni regionali del novembre 2014 in Emilia-Romagna (37%) e Calabria (44%). In quell’occasione, gli elettori che si erano astenuti l’avevano fatto per sfiducia verso i partiti (43%) o perché non ritenevano che la politica potesse incidere sulla vita reale dei cittadini (31%), secondo i dati di Demopolis. Un recente sondaggio Ferrari Nasi conferma questa prospettiva: su 100 italiani propensi ad astenersi, il 47% dà come motivazione il fatto che nessun partito porti avanti una politica trasparente; circa un quarto (26%) non voterebbe perché insoddisfatto dall’attuale offerta politica. Solo uno su cinque (19%) si asterrebbe perché non interessato alla politica.
Dallo stesso sondaggio emerge un cambiamento: se gli indecisi erano in maggioranza di centrodestra nel 2010 (64%), oggi sarebbero al 55% di centrosinistra. Un sondaggio SWG di gennaio fotografa una situazione in cui gli elettori della Generazione X (35-50 anni) e i Millennials (18-35enni) rappresentano assieme il 61% degli astenuti; se invece si guarda alla collocazione politica, subito dopo l’ampia porzione di apolitici (62%) troviamo una quota rilevante di astenuti di centrosinistra (14%).
Tutte queste cifre descrivono uno scenario di inadeguatezza dei partiti italiani. In questa situazione, un partito come il M5S che fa della diversità la propria bandiera, dovrebbe avere gioco facile nell’intercettare gli umori di chi è scontento della “vecchia politica”. Eppure, Ipsos ci mostra come il 21% degli elettori ritenga che il movimento di Grillo sia cambiato in peggio nell’ultimo anno, a fronte di un 13% che invece ha notato un miglioramento: ma i più (46%) non hanno notato né miglioramenti né peggioramenti. Se è vero che gli M5S si sono affermati sul piano nazionale da tre anni, in questo periodo i dati sulla partecipazione politica hanno continuato ad andare verso il basso, persino più velocemente di prima, segno che c’è ancora molta strada da fare per convincere gli elettori delusi a tornare a votare.
Articolo pubblicato su “il Fatto Quotidiano” dell’8 marzo a cura di Salvatore Borghese e Andrea Piazza
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