Manca poco più di un mese al referendum sulle trivelle: la consultazione, chiesta e ottenuta da dieci Regioni, riguarderà lo stop alle trivellazioni in mare per l’estrazione di idrocarburi entro le 12 miglia marine. Se il quorum verrà raggiunto e vinceranno i sì, le concessioni in vigore non potranno essere rinnovate in modo automatico per sfruttare i giacimenti fino al loro esaurimento.
Le motivazioni dei promotori del referendum sono essenzialmente di tipo ambientalista: sostengono che le trivellazioni siano una minaccia per l’ecosistema marino, e che un eventuale incidente possa causare un vero e proprio disastro biologico. Si tratta quindi di un referendum di impronta ambientalista: non il primo nella storia italiana, e di certo non l’ultimo. Il primo precedente storico può essere individuato in quel referendum che nel 1987 fermò la produzione di energia nucleare in Italia. I tre quesiti, promossi dai Radicali, furono approvati con percentuali di sì tra il 72% e l’80%, con un’affluenza del 65%. Sull’esito di quel referendum ebbe un forte impatto – come è facile immaginare – il disastro della centrale nucleare di Chernobyl avvenuto solo un anno prima. Anche i successivi referendum sulla caccia e sull’uso dei fitofarmaci in agricoltura avevano un’impronta ambientalista, tanto che tra i promotori vi erano anche i Verdi, ma stavolta il quorum non fu raggiunto (l’affluenza si fermò al 43%).
Proprio la nascita dei Verdi come partito nazionale testimonia come la sensibilità ambientalista si fosse ormai diffusa in Italia, al punto che nella prima metà degli anni ’90 i Verdi ottennero ottimi risultati in occasione di elezioni nazionali: dopo il boom delle Europee del 1989 (1,3 milioni di voti e quasi il 4%), il partito ambientalista riuscì a conquistare circa un milione di voti anche in occasione delle Politiche del ’92, del ’94 e del ’96, sempre in coalizione di centro-sinistra, e alle Europee del 1999. Gradualmente, negli anni successivi, i Verdi persero di importanza, fino a “sciogliersi” in altre liste e senza più eleggere rappresentanti.
Ma le tematiche legate all’ambiente non sono scomparse, anzi sono riemerse clamorosamente nel 2011, quando si è tenuta una nuova tornata referendaria: questa volta, oltre a un quesito che abrogava la possibilità di costruire nuove centrali nucleari in Italia, si votò anche per mantenere pubblica la gestione dei servizi idrici. Similmente a quanto accadde nel lontano ’87, anche stavolta un disastro nucleare avvenuto all’estero (quello di Fukushima, in Giappone), gonfiò le vele del comitato referendario, e i referendum superarono il quorum con quasi il 55% degli aventi diritto.
Sembrava l’inizio di una nuova stagione di sensibilizzazione verso i temi della tutela delle risorse naturali, ma sul finire di quello stesso anno la pesantissima crisi finanziaria rimise tutto in discussione. Al punto che alle elezioni politiche successive, meno di due anni dopo, nessuno parlò di temi legati all’ambiente. Secondo uno studio delle ricercatrici Bianchi e Chianale dell’Osservatorio di Pavia, nei tre mesi della campagna elettorale che hanno preceduto le Politiche 2013, i temi legati all’ambiente ottennero solo l’1,4% di copertura sulle reti televisive del servizio pubblico, e il 3,8% sui canali Mediaset; complessivamente, telegiornali e talk show dedicarono un misero 0,1% ai temi ambientali, che ottenevano un po’ più spazio solo nei programmi di satira (6,3%).
La tutela dell’ambiente è stata poco importante anche nel determinare le scelte di voto alle Europee dell’anno successivo: un sondaggio del Cise rivelò che ben il 14,3% degli italiani riteneva che Sel fosse il partito più credibile per combattere inquinamento e dissesto del territorio, ma solo l’1,9% dello stesso campione esprimeva un’intenzione di voto conseguente.
Cosa dobbiamo aspettarci dal referendum del prossimo 17 aprile? Secondo un sondaggio SWG realizzato il mese scorso, gli italiani sono molto sensibili ai temi ambientali: il 52% pensa che la qualità dell’ambiente sia minacciata, e il 64% che la tutela dell’ambiente sia una necessità. Non molti sono a conoscenza del referendum, però: solo il 22% dice di esserne informato, mentre il 40% ne ha solo sentito parlare. Sia quelli che approvano le trivellazioni (37%) sia quelli che vi sono contrari (56%) in grande maggioranza pongono il tema della tutela dell’ecosistema marino. Di conseguenza, la stragrande maggioranza degli intervistati (il 78%) voterebbe sì al referendum sulle trivelle. Sembra che il successo di un nuovo referendum ambientalista sia a portata di mano, tutto si giocherà – come sempre quando si tratta di referendum sulla conoscenza dei quesiti e sull’affluenza alle urne.
Articolo pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 15 marzo a cura di Salvatore Borghese.
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