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Amministrative, il vincitore c’è già ed è il “terzo” polo

In vista delle elezioni comunali, tutti i partiti sono alle prese con i problemi legati alle candidature nelle principali città. In pieno caos è il centrodestra, con la situazione che a Roma è degenerata: ci sono già quattro candidati “di area” – Guido Bertolaso, Giorgia Meloni, Francesco Storace e ora anche Antonio Razzi – a cui andrebbero aggiunti Alfio Marchini (appoggiato da Angelino Alfano e Raffaele Fitto) e i candidati della destra estrema a togliere ulteriori voti. La vera e propria guerra per la leadership in atto tra Berlusconi e Salvini ha già spaccato il centrodestra anche a Torino e ora rischia di accadere lo stesso a Napoli.

Proprio a Napoli il Pd ha i suoi problemi più grossi, con la querelle tra il partito e Antonio Bassolino che va avanti dopo le contestatissime primarie vinte di misura da Valeria Valente. Ma anche a Roma per il partito di Renzi la situazione è delicatissima, profilandosi nella migliore delle ipotesi un ballottaggio tra Roberto Giachetti e la grillina Virginia Raggi, che gode di ampi consensi a destra. Lo stesso Movimento 5 Stelle non presenterà le sue liste nei comuni capoluogo Ravenna, Rimini, Latina, Caserta e Salerno; il tutto è dovuto agli aspri scontri nella base, che a Roma e a Napoli avranno addirittura conseguenze di tipo giudiziario.

La partita delle Comunali 2016 è di primaria importanza: vanno al voto oltre 1.300 comuni, di cui 156 con più di 15.000 abitanti e 26 capoluoghi. Tra questi spiccano le quattro città più grandi del Paese: Roma, Milano, Napoli e Torino, a cui si aggiungono comuni importanti come Bologna, Trieste e Cagliari. È evidente quindi che il risultato del voto inciderà sulla politica nazionale: si tratterà di un test per Renzi, l’ultimo prima del referendum costituzionale su cui il suo governo ha scommesso tutto.

Cosa dobbiamo aspettarci dalle urne? Innanzitutto, è impossibile fare delle previsioni complessive attendibili: le elezioni comunali sono quelle in cui i fattori locali contano in misura maggiore, e inoltre vi sono ancora quasi tre mesi di campagna elettorale in cui potrà succedere di tutto. Possiamo però inquadrare meglio la situazione di partenza sulla base dei rapporti di forza emersi in occasione delle elezioni europee 2014. I numeri dicono che il M5S potrebbe fare particolarmente bene: 43 dei comuni superiori al voto si trovano nelle zone dove il Movimento ottenne due anni fa i suoi migliori risultati, cioè sopra il 25%. Tra questi abbiamo i capoluoghi Napoli, Cagliari, Crotone, Cosenza, Benevento e Olbia e una presenza massiccia di città del Centro-Sud. Sono 30 invece i comuni situati nelle zone di forza del Pd, dove Renzi raggiunse più del 45%: ma ben 19 di questi (due su tre) si trovano in Toscana ed Emilia-Romagna, ossia le tradizionali roccaforti del partito dai tempi del Pci-Pds-Ds. Torino è la sola grande città che vede il Pd favorito, a cui si aggiungono Savona e Salerno.

Molto probabilmente vedremo proseguire un trend che si è manifestato nel 2013: il venir meno del bipolarismo “comunale” tipico della Seconda Repubblica. Fino al 2010 le due coalizioni principali vincevano in più del 90% dei comuni. Come possiamo notare dal grafico, l’anno scorso invece i comuni superiori in cui hanno prevalso candidati non legati né al centrodestra né al centrosinistra sono stati per la prima volta la maggioranza relativa (circa il 41 per cento, per 56 elezioni vinte, di cui 39 da liste puramente civiche). Negli ultimi cinque anni le amministrazioni di questo tipo conquistate da liste civiche o da singoli partiti fuori dai due blocchi (Lega Nord da sola, M5S, sinistra) sono state ben 108, il 14 per cento circa del totale in cui si è votato. Nel quinquennio 2004-2009 erano state invece 28, poco più del 3 per cento del totale.

Ma è possibile che questo sfarinamento del bipolarismo sia dovuto al moltiplicarsi delle candidature, che favoriscono l’emergere di candidati outsider? Un focusa particolare sui cinque comuni maggiori in cui si voterà a giugno sembra smentire questa ipotesi: l’indice di bipolarismo della competizione (cioè la somma dei consensi ottenuti dai primi due candidati) è crollato dal 97% del periodo 2004-2006 al 78% registrato in occasione delle Comunali 2011 e 2013. Eppure questo non sembra legato al numero medio di candidati sindaco: numero che è anzi calato a 12,5 dal 13,5 del biennio 2008-2009 (quando l’indice di bipolarismo era più alto: 82,5%). Quella che è aumentata, e di molto, è la quota di voti andati a candidati terzi. Insomma, il bipolarismo sta scomparendo perché il voto degli italiani sta cambiando, e non per le differenti strategie delle élite politiche.


Articolo pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 22 marzo a cura di Salvatore Borghese e Andrea Piazza

Redazione

La redazione di YouTrend

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