Gli attentati terroristici dell’ultimo anno nel cuore dell’Europa ci riportano indietro nel tempo ai primi anni Duemila, quando l’Occidente ha vissuto sotto la minaccia del terrorismo di matrice islamica.
Una minaccia che ha avuto un forte impatto sulle nostre società: sono cambiate leggi che hanno a che fare con le libertà personali, e la stessa mentalità dei cittadini ha introiettato un sentimento di paura che prima era quasi totalmente sconosciuto. Se guardiamo in particolare agli effetti del terrorismo sulla politica, non possiamo evitare di partire dall’evento più “sconvolgente”, cioè l’11 settembre 2001. A quel tempo, era presidente da meno di un anno il repubblicano George W. Bush, vincitore di elezioni decise sul filo del rasoio contro il democratico Al Gore.
L’11 settembre e l’impennata di Bush
La popolarità di Bush era ancora piuttosto alta (intorno al 50%), ma proprio alla vigilia degli attentati la quota di americani che esprimevano un giudizio negativo aveva toccato il suo apice: 40%. L’11 settembre sconvolse gli Stati Uniti e compattò il popolo americano dietro il suo Presidente, che si fece condottiero della “guerra al terrore”: la popolarità di Bush schizzò verso l’alto, con valori superiori all’80% (fonte: RealClearPolitics). La “guerra al terrore” monopolizzò l’agenda politica americana e internazionale, consentendo poi a Bush di rivincere le elezioni nel 2004, nonostante una politica interna tutt’altro che entusiasmante.
Proprio nel 2004, gli attentati dell’11 marzo che colpirono Madrid fecero 191 vittime. Si era a tre giorni dalle elezioni generali per il rinnovo del Parlamento e i favoriti, secondo tutti i sondaggi, erano i Popolari del premier uscente Aznar: quest’ultimo fece l’errore di incolpare dell’attentato i separatisti baschi dell’ETA, ma quando si scoprì invece la mano di Al Qaeda l’opinione pubblica gli si rivoltò contro. Tanto che, alle elezioni del 14 marzo, gli spagnoli premiarono i socialisti di Zapatero, che in pochi giorni ribaltò una situazione sfavorevole accusando il governo di aver tentato di coprire la verità sugli attentati. Aznar era stato infatti un sostenitore dell’iniziativa militare degli Usa in Iraq che aveva spaccato in due l’Europa: con Francia e Germania che vi si erano duramente opposte, mentre Italia, Spagna e Gran Bretagna erano con Bush. La stessa Gran Bretagna fu teatro di un terribile attentato multiplo che fece oltre 50 morti e centinaia di feriti, il 7 luglio 2005 a Londra. Anche in questo caso, vi fu un evidente collegamento tra la politica estera filoamericana del governo e il bersaglio prescelto dai jihadisti.
Le stragi di Parigi e il duello Hollande-FN
Gli attentati che nel 2015 hanno colpito Parigi (quello del 7 gennaio a Charlie Hebdo e quello del 13 novembre al Bataclan) hanno fatto riemergere dopo un decennio lo spettro del terrore jihadista in Europa, stavolta non più legato ad Al Qaeda ma “ispirato” dall’affermazione del sedicente Stato Islamico. Anche in questo caso è interessante notare i legami tra gli attentati e le dinamiche del consenso politico: il presidente francese Hollande, da tempo in forte crisi, ha visto la sua popolarità crescere improvvisamente dopo l’attacco a Charlie Hebdo (dal 12% a quasi il 30, secondo l’istituto Ifop). Al contrario, le forze di estrema destra come il Front National, che dopo ogni fenomeno terroristico puntano il dito contro l’immigrazione, non sembrano godere di un aumento del consenso: dopo gli attentati del 13 novembre, il voto al Fn registrato dai sondaggi fino a quel momento (circa il 29%) si è leggermente ridotto alle elezioni di dicembre, in cui il partito di Marine Le Pen si è fermato al 27,7%.
La grande paura e l’agenda italiana
E in Italia? Il nostro Paese non è stato vittima di attentati, quindi gli effetti sull’opinione pubblica sono limitati. Gli attentati a Bruxelles hanno fatto però riemergere la paura del terrorismo che potrebbe condizionare l’agenda politica dei prossimi mesi. Prima degli ultimi attacchi in Belgio, il terrorismo era considerato la minaccia più grave dal 23% degli italiani (sondaggio Ipsos), in calo rispetto al 28% registrato a dicembre. Oggi, ben l’84% degli intervistati da Euromedia teme un attentato in Italia. Secondo Ixè, invece, il 39% lo ritiene la principale fonte di timori, più della crisi economica. Ma questo non è necessariamente destinato a gonfiare le vele dei partiti più xenofobi: per un 18% che ritiene necessario chiudere le frontiere, il 14% chiede invece maggiore integrazione, a partire dalle scuole; la maggioranza (57%) vuole invece un aumento dei controlli sul territorio nazionale. Dati che si riflettono anche sul consenso ai partiti: nonostante la massiccia presenza di Matteo Salvini sui media in seguito agli attentati, la Lega Nord anche nelle ultime rilevazioni rimane ferma al 14-15%, un valore che non supera da oltre un anno.
Articolo pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 29 marzo a cura di Salvatore Borghese.
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