La narrazione dei protagonisti del sistema politico italiano, negli ultimi mesi, è cambiata spostandosi dalla trama istituzionale a quella più politica. I nuovi episodi della fiction delle amministrative, però, sono entrati in stand by a causa degli attentati terroristici di Bruxelles, che hanno rimesso al centro intrecci e temi già affrontati nei mesi precedenti. Se il cambiamento di Renzi e Salvini era stato evidente nel registro linguistico e nella presenza sulla scena delle amministrative, lo storytelling grillino resta ancorato sempre alla medesima trama: attacco al Pd con il costante tentativo di declinare sul piano locale i format nazionali. L’entrata in scena di Virginia Raggi, la candidata sindaco a Roma, rappresenta però un elemento di novità che nelle prossime settimane avrà un notevole peso specifico sullo storytelling pentastellato.
In questo momento il dominus della politica italiana è Matteo Renzi, che ha saputo costruire il proprio consenso su uno storytelling semplice e chiaro ricoprendo un ruolo in grado di intercettare un bisogno emergente dell’opinione pubblica: il rottamatore. La narrazione incentrata sulla rottamazione lo ha portato rapidamente a Palazzo Chigi fornendogli grande consenso all’interno dell’opinione pubblica. Successivamente, nel ruolo di Premier, a questo tratto narrativo di totale rottura ha aggiunto quello del cambio di passo e della velocità nel fare i “compiti per casa del Governo” (#unariformaalmese) insieme ad un decisionismo marcato tipico dell’uomo solo al comando. In questo percorso Renzi ha disintermediato con forza il suo rapporto con gli altri attori della narrazione politica ed economica parlando con i lavoratori (e non con i sindacati) e dialogando con le imprese (e poco con Confindustria). In questo modo è divenuto l’autentico protagonista della narrazione della scena politica e il riferimento nell’opinione pubblica.
Lo storytelling renziano negli ultimi mesi, però, arranca e ha perso efficacia: non è più un susseguirsi armonioso di puntate della stessa fiction, e gli imprevisti cominciano ad appesantire la trama. Matteo Renzi deve far fronte a diverse insidie: i conflitti interni come i contrasti con la minoranza del Pd, i nodi che non riesce a risolvere (ad esempio sulla questione delle banche), episodi esterni come gli attentati di Bruxelles che rimettono al centro temi come immigrazione e sicurezza su cui fa fatica ad essere convincente e lineare e si presta a subire la comunicazione dei competitor, in particolare Salvini. Questi elementi rendono più complessa e debole la classica narrazione renziana del rottamatore, del riformatore e del presidente del Consiglio impegnato a rimettere in moto l’Italia. L’azione comunicativa del segretario del Pd nelle ultime settimane, inoltre, aveva cambiato inquadratura passando da uno scenario istituzionale/governativo in cui valorizzava i risultati del suo Governo con esternazioni come “un anno per dare più fiducia all’Italia”, “pronti 60 milioni per laboratori Gran Sasso”, “inaugureremo Salerno – Reggio Calabria” ad uno più politico reso necessario dall’avvicinarsi delle amministrative ed espresso da dichiarazioni che lo fanno scendere al centro del ring politico come, per esempio, nelle ultime settimane “le mie riforme sono il bacio all’Italia Bella Addormentata” o “guardare fatti no realtà parallela in Pd”. Nella seconda fase, ovvero nella trama della campagna elettorale, Renzi ha un tono più incisivo e recupera il naturale profilo di rottamatore in cui si sente più a suo agio e si muove con più facilità, come testimonia la polemica con i sindacati sulla reggia di Caserta (“ridicoli, con me fine pacchia”). In un contesto così complesso c’è anche un forte elemento di novità: è l’estensione della rottamazione anche alla narrazione in ambito europeo (“Europa era sogno, ci svegliamo con bail in e filo spinato”): la volontà del Premier, almeno sul piano comunicativo, è quella di voler applicare il modello utilizzato nella sua prima parte dell’esperienza di Governo all’Unione Europea per incarnare il leader che rompe gli schemi.
A questo storytelling si contrappone quello semplice e chiaro di Salvini, che si muove lungo due binari. Il primo è quello dell’attacco a Renzi e all’Europa dei burocrati sulla questione profughi e sicurezza: un vero e proprio leit motiv della sua narrazione che il segretario del Carroccio esprime senza fronzoli e con concetti elementari secondo i classici slogan “basta profughi” o“chiudiamo i confini”. Si tratta della trama che da un lato la Lega e il suo segretario sanno narrare meglio, e d’altro canto l’opinione pubblica li riconosce come i più autentici narratori per quel che riguardi questi temi. C’è però, nella comunicazione salviniana, la comparsa di un filone in grado di aggiungere un nuovo tratto al profilo del leader: il rottamatore del centrodestra. La narrazione delle amministrative di Roma ha dato l’opportunità al segretario leghista di rafforzare il proprio posizionamento come leader ed è testimoniato dalla recenti dichiarazioni che mirano ad attaccare Berlusconi, come per esempio, le più recenti “con lui gente di 20 anni fa”, “non capisce che serve gente pulita” e la richiesta chiara di rinnovamento con “cambiare nomi nel centrodestra”.
La comunicazione di Grillo, invece, ruota attorno ad un unico punto: l’attacco al Pd e a Renzi. Ogni azione comunicativa dei grillini è costruita per polemizzare con i democratici individuati come i competitor da sconfiggere, o in uno schema più semplice come i cattivi dove, di conseguenza, i M5S rappresentano i buoni. La narrazione costruita da Grillo, quindi, dalle banche, alle riforme e passando per la questione morale sintetizzata in tre hastag che hanno invaso i social pentastellati – #boschidimettiti, #venearrestanounoalgiorno, #lacasanonsitocca – determinando un posizionamento di costante opposizione a Renzi e al Partito Democratico (“ormai disciolto dalle ‘brogliarie’ di Napoli”; “Renzie il mozzarello di bufalo che più cazzaro non si può”). Un format che non viene utilizzato solo per attaccare il Governo, ma entra in gioco anche quando ci sono degli elementi di criticità interni nella narrazione pentastellata. Un esempio su tutti è quella della vicenda dei server di posta elettronica, che secondo alcuni organi di stampa sono controllati da Casaleggio: a questa accusa il M5S ha risposto tirando il ballo il complotto orchestrato dal Pd , come dichiarato da Di Battista “è un complotto. Hanno paura che vinciamo le elezioni”. Più debole, per ora, la narrazione dei grillini sulla scena delle amministrative, anche se nelle ultime settimane è comparsa sulla scena Virginia Raggi andando oltre la classica declinazione dello storytelling nazionale anche a livello locale, ma in modo ben più incisivo applicando lo stile pentastellato al contesto romano.
Negli ultimi giorni il copione appena descritto è stato stravolto a causa di quanto accaduto a Bruxelles: una nuova scena dominante su cui incardinare lo storytelling. I tre hanno calibrato in modo diverso la propria narrazione: Renzi in modo più emotivo (“a Bruxelles con il cuore e la mente”), Salvini rafforzando il classico posizionamento su profughi e sicurezza (“preghiera per vittime ma io non mi arrendo“) ed, infine, i Cinquestelle che non sono stati reattivi e stanno ricoprendo una parte da non protagonisti, che fatica ad emergere (“vicini alle vittime”).
Un episodio questo che probabilmente influenzerà anche le prossime settimane entrando nella narrazione delle amministrative, in particolare nelle grandi città dove non si può prescindere dall’emergenza terrorismo e dal tema della sicurezza.
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