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Un anno di Jobs Act: solo l’8% degli italiani crede che funzioni

Il Primo maggio, festa dei lavoratori, è un’ottima occasione per riflettere sul ruolo del lavoro nella società. Non tutto il lavoro – e non tutti i lavori – sono uguali. I diversi tipi di lavoratori (dipendenti o autonomi, operai o professionisti) hanno referenti politici diversi.

 

Per tutta la Prima repubblica, ad esempio, il partito della classe operaia era il Pci, mentre la Dc era la scelta privilegiata degli autonomi e della piccola borghesia. Uno schema che si è conservato anche nella Seconda repubblica: nel 2006, anno in cui centrosinistra e centrodestra si divisero gli elettori a metà, il 60% dei dipendenti pubblici votava l’Unione di Prodi, mentre due lavoratori autonomi su tre scelsero Berlusconi (dati ITANES).

Le elezioni 2013 hanno sconvolto anche questo schema: venuto a mancare il bipolarismo dei primi 60 anni di storia repubblicana, sono cambiati anche i referenti politici delle diverse classi lavorative. Tra gli impiegati (soprattutto pubblici) il Pd è stato ancora la scelta privilegiata, mentre lavoratori autonomi e casalinghe hanno votato ancora per il centrodestra.

Ma sullo scenario politico si è affacciato un nuovo soggetto, il Movimento 5 Stelle, che ha raccolto i consensi fra i non protetti della crisi economica: ben il 52% dei cosiddetti “atipici” ha votato per il partito di Grillo, a cui è andato anche il voto di 3 operai su 10. I dati dell’osservatorio LaPolis di Urbino mostrano una frattura nel voto di pensionati (i “garantiti” dalle politiche del passato) e disoccupati (gli esclusi per eccellenza da ogni tipo di tutela). Nel 2013, il Pd ha ottenuto il 37% tra i primi, mentre il M5S è stato votato dal 40% dei secondi. I dati Ipsos confermano il radicamento del partito di Grillo fra gli operai anche nel momento di massimo successo del Pd alle Europee 2014 (Pd al 35,8 e M5S al 30,5%), mentre secondo il Cise a dicembre 2015 il consenso dei grillini si è consolidato ulteriormente in questa categoria (il 46% a fronte del 23% del Pd).

Ma in questi anni come è stato affrontato il tema del lavoro dalla politica? Impossibile non citare il Jobs Act, la riforma del mercato del lavoro su cui Matteo Renzi ha messo la faccia fin da segretario del Pd. La riforma, approvata nel 2014 ed entrata in vigore nel 2015, aveva suscitato grandi speranze: Renzi assicurava che avrebbe fatto ripartire le assunzioni e messo fine alla separazione tra lavoro iper-garantito e precariato permanente. Ad aprile dello scorso anno, il 50% degli italiani si aspettava che i posti di lavoro sarebbero aumentati (Ipsos). Ma già a settembre i giudizi si erano raffreddati: per Ixè il 49% degli italiani non vedeva grandi differenze rispetto al passato e il 36% pensava che con il Jobs Act fosse più difficile trovare lavoro. A novembre secondo un’indagine di Tecnè solo il 30% degli italiani riteneva che il governo avesse operato bene in tema di politiche del lavoro, contro un 63% negativo.

Proprio alla vigilia del 1° maggio l’Istat ha rilasciato dei nuovi dati in tema di occupazione e disoccupazione (200.000 occupati in più in un anno e disoccupazione in calo) che sembrano aver leggermente invertito la tendenza. L’istituto Ixè elabora settimanalmente un indice sull’insicurezza lavorativa, sulla base di quanti dichiarano di avere molto o abbastanza paura di perdere il proprio lavoro. Come si vede dal grafico, dopo un 2015 in cui questo indice si è tenuto su livelli molto alti (intorno al 40%, con un avvicinamento al 50% in primavera), gli ultimissimi dati lo riportano intorno al 30%. Potrebbe essere legato al calo del tasso di disoccupazione, che in un anno è sceso dal 12,4 all’11,4%. Ma non è detto che sia connesso agli effetti del Jobs Act: secondo un’inchiesta di Demos, pubblicata domenica, solo 8 italiani su 100 pensano che abbia migliorato la situazione, mentre il 32% ritiene che l’abbia addirittura peggiorata. E le assunzioni, secondo lo stesso sondaggio, sarebbero ripartite solo per il 26% degli italiani.

Insomma, il quadro del lavoro in Italia si presenta come un chiaroscuro, con una tendenza prevalente al pessimismo (consolidatasi durante gli ultimi 8 anni di crisi) ma con alcuni timidi segnali di ripresa. Anche su questo dipenderà il consenso a Renzi e al governo nei prossimi mesi.


Articolo pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 3 maggio a cura di Salvatore Borghese e Andrea Piazza

Redazione

La redazione di YouTrend

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