Le elezioni presidenziali in Austria hanno avuto un esito sorprendente: non solo per l’esiguo margine di vittoria di Van der Bellen, ma soprattutto perché, per la prima volta dal dopoguerra, a competere per la prima carica dello Stato non è arrivato né un socialdemocratico né un popolare: i candidati di entrambi i partiti si sono fermati si sono fermati al 1° turno a un imbarazzante 11%.
Sin dal 2006, socialdemocratici e conservatori sono “costretti” a stare insieme in un governo di grande coalizione. Il cancelliere socialdemocratico Faymann si è dimesso dopo il pessimo risultato del suo partito. Quello stesso giorno, il 9 maggio, Renzi ha parlato in direzione Pd della crisi dei partiti progressisti europei. La situazione in Europa è in effetti piuttosto difficile per i partiti appartenenti alla famiglia dei socialisti e socialdemocratici. Consideriamo i principali paesi e quelli in cui la crisi di questi partiti è più evidente e ha le maggiori conseguenze sul piano europeo: Germania, Francia, Gran Bretagna, Italia, Spagna, Grecia e Austria. I risultati delle elezioni per l’Europarlamento ci mostrano una prima “panoramica”: i partiti di affiliazione socialista presenti in questi paesi hanno perso quasi 10 milioni di voti tra il 1994 e il 2009; nel 2014 si è avuto un ritorno ai valori del 2004, dovuto in gran parte al “boom” del Pd in Italia e al buon risultato della Spd tedesca, il cui leader Schulz era candidato del Pse alla presidenza della Commissione.
Ma in patria per la Spd le cose non vanno bene: nel 2013 il partito che guidò la Germania con Schroeder è tornato al governo dopo 4 anni passati all’opposizione, ma solo come “socio di minoranza” in un governo di grande coalizione in cui fa da padrone la Cdu della Merkel. Intanto le incertezze legate all’Euro e la crisi dei rifugiati gonfiano le vele al partito euroscettico di destra Afp, accreditato in alcuni sondaggi di un allarmante 15%.
Non va meglio ai socialisti in Francia, tornati al governo nel 2012 con Hollande eletto presidente. I sondaggi in vista del 2017 sono pessimi, e prefigurano un ballottaggio tra un candidato repubblicano (Sarkozy oppure Fillon) e Marine Le Pen del Front National. Hollande è talmente debole che potrebbe ritrovarsi a dover sfidare il giovane e più “destrorso” compagno di partito Manuel Valls, attuale premier.
In Gran Bretagna l’agenda è monopolizzata dal Brexit: da un lato l’Ukip di Farage e l’ala del partito conservatore guidata da Boris Johnson, dall’altro i conservatori “europeisti” del premier Cameron, appoggiati da lib-dem e laburisti. Questi ultimi, dopo la bruciante sconfitta del 2015 e l’elezione di Jeremy Corbyn a capo del partito, non riescono – nei sondaggi – a insidiare il primato dei conservatori. Il rischio è di essere ininfluenti, nel medio termine, nello scenario politico d’oltremanica, stretti tra l’ascesa dell’euroscetticismo e le pulsioni autonomiste, che in Scozia premiano i nazionalisti dello Snp e penalizzano il Labour.
In Spagna, dopo le elezioni “senza vincitore” di dicembre e l’impossibilità di formare un governo, si tornerà al voto a giugno. I socialisti di Pedro Sanchez partono dal 22% raccolto 5 mesi fa, quando furono insidiati a sinistra da Podemos (che ha rifiutato un’alleanza di governo con Sanchez) e al centro dai Ciudadanos di Albert Rivera. Ne trae beneficio il Partito Popolare, al governo dal 2011 e che nonostante i molti voti persi è risultato primo partito, tendenza confermata anche dai sondaggi.
Infine, la Grecia: qui i socialisti del Pasok sono crollati nel 2012, anno in cui la terribile crisi economica si è fatta sentire, punendo loro più degli altri (in quanto partito di governo) e relegandoli a cifre sempre più marginali. A sostituirli a sinistra, è arrivato Tsipras con la sua Syriza, prototipo di una sinistra che (come Podemos in Spagna) punta sulla voglia di rinnovamento degli elettori più giovani e disincantati.
Insomma, per i partiti progressisti europei “classici” non è un periodo facile, e le prospettive non sono buone: i conservatori si mantengono in forma in molte realtà (Germania e Regno Unito, ma anche Francia e Spagna) e le sfide più insidiose per i partiti “di sistema” vengono ormai dai partiti euroscettici che mettono in discussione i princìpi su cui si fonda l’Unione Europea.
Articolo pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 24 maggio a cura di Salvatore Borghese.
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