Il Movimento 5 Stelle è il vero vincitore di questa tornata amministrativa. Una vittoria nelle urne, ma anche nella gestione della comunicazione che è risultata vincente prima, durante e dopo la campagna elettorale. Una vittoria che si fonda anche sulla sinergia tra brand (M5S) e scelta dei testimonial (i candidati). Virginia Raggi e Chiara Appendino sono l’esempio di questo mix vincente. In difficoltà, invece, le altre forze politiche che arrancano, in particolare il Partito Democratico, con Renzi che non è più un testimonial trainante.
Il Pd fatica sia a livello di brand che a livello di testimonial: il suo principale interprete, ovvero Matteo Renzi, non ha più la forza di penetrare con efficacia e a posizionarsi in modo convincente come accaduto in passato (a partire dalle Europee 2014). Da un lato, il brand Pd è quello di un partito al Governo che i cittadini individuano come responsabile delle cose che non vanno; dall’altro, il premier comincia a pagare un logoramento evidente, anche dal punto di vista comunicativo. La narrazione renziana ha oggi un impatto limitato se non quasi nullo e il Pd ha subito gli attacchi della concorrenza sulla questione morale e sull’immigrazione. Il Pd è quindi un brand in crisi a causa di una concorrenza aggressiva che lo sta mettendo in difficoltà (si pensi al recupero dei grillini nei sondaggi e nelle urne), e il suo testimonial non solo non riesce ad avere un effetto positivo, ma piuttosto affossa ulteriormente l’immagine del marchio con alcuni posizionamenti poco efficaci, come quello sulle banche o con la personalizzazione del referendum.
Al contrario, il movimento di Grillo funziona sotto il duplice aspetto: brand e testimonial. Il M5S è individuato dagli elettori come il partito degli onesti e i suoi testimonial riescono a trainare con efficacia il simbolo. La forza sul mercato elettorale del marchio del M5S è confermata dal fatto che cambiando i testimonial il risultato non cambia: Raggi a Roma, Appendino a Torino e Di Maio a livello nazionale sono penetranti ed efficaci. È anche la scelta dei testimonial che sta premiando in termini di conquista di elettori.
In questo contesto vi è un altro elemento che il turno del ballottaggio ha sottolineato ed è frutto di una comunicazione efficace e martellante che ha portato un cambio di posizionamento nella percezione del M5S da parte dell’elettorato: da forza esclusivamente di protesta a forza di governo e ancor più di cambiamento. Si tratta di due nuovi tratti d’immagine associati al brand dei pentastellati che li ha resi molto più competitivi, consentendo loro probabilmente di vincere 19 ballottaggi su 20. Abbiamo più volte sottolineato, in particolare nella prima parte della campagna elettorale che ha portato al voto del 5 giugno, come la comunicazione dei partiti e dei candidati faticasse a calarsi nelle questioni locali e a parlare di temi vicini al cittadino a causa di un’influenza prepotente dell’agenda informativa nazionale. Nel corso dei ballottaggi, però, il quadro comunicativo è cambiato e le questioni locali hanno dominato la scena. In questo contesto i candidati grillini hanno saputo comunicare con efficacia non solo la protesta, ma anche la propria capacità amministrativa. Un cambio di tono di voce da aggressivo a rassicurante e soprattutto fortemente decisionista, in sintonia con i bisogni dell’elettorato.
La forza dell’immagine dei grillini è confermata anche dallo loro impenetrabilità durante questa campagna elettorale. Le polemiche hanno avuto zero impatto su Virginia Raggi e Chiara Appendino. A Roma non sono serviti esposti, campagne mediatiche sulle gaffe e nemmeno il tema delle Olimpiadi a scalfire il brand e il suo testimonial. Lo stesso è successo a Torino dove lo spettro di veder interrotto il flusso dei finanziamenti non ha intaccato la sintonia della Appendino con i torinesi e la sua capacità di intercettare la voglia di cambiamento. L’impermeabilità del brand M5S in questo momento lo rende leader a livello comunicativo.
Le forze di centrodestra sono le vere sconfitte da questa tornata e anche dal punto di vista comunicativo – eccezion fatta per Milano – sono rimasti ai margini. La Lega non può essere bocciata in toto a livello di brand perché, pur non avendo conquistato quote di “mercato elettorale”, si è tuttavia confermata su buoni livelli. Ciò che si può evincere è la perdita di efficacia del suo testimonial principale, ovvero quel Matteo Salvini che sembra aver perso l’effetto novità che ha avuto nel recente passato. Forza Italia, invece, deve fare i conti con un testimonial usurato e che da tempo non ha più l’impatto mediatico del passato. In questo contesto il brand del partito è debole perché gli elettori faticano a capirne il posizionamento e individuarne i principali tratti dell’identità.
Ed infine un ultimo elemento chiave dal punto di vista comunicativo emerge con evidenza da questa campagna elettorale: nella comunicazione politica i simboli hanno una forza e una capacità di imprimersi con forza nella percezione del consumatore. Per questo le vittorie del M5S a Torino e a Roma hanno un valore comunicativo e mediatico dirompente in grado di trainare l’immagine globale dei grillini. Nelle prossime settimane vedremo se questo effetto troverà un riscontro nelle intenzioni di voto registrate dai sondaggi – e dalla Supermedia di YouTrend.
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