Di recente si è tornati a parlare di modifiche all’Italicum, la legge elettorale approvata nel 2015. Perché questa improvvisa voglia di cambiare una legge appena entrata in vigore (1° luglio) e che Renzi ha fortemente voluto? Come al solito, può essere utile guardare ai numeri per avere una risposta.
L’Italicum è un sistema proporzionale con premio di maggioranza: se il partito con più voti prende almeno il 40 per cento, vince subito 340 seggi su 630; altrimenti, vanno al ballottaggio i primi due partiti e il premio va al partito vincente. Tutti gli altri partiti sopra il 3 per cento si dividono i seggi di opposizione. È quindi un sistema che assicura sempre una maggioranza, e in cui sono gli elettori a decidere quale partito debba governare. La sua versione definitiva fu approvata all’indomani delle Europee, quando il Pd era al 40 per cento e tutti i sondaggi lo davano vincente in un ipotetico ballottaggio, sia contro una lista di centrodestra sia contro il M5S. Oggi le cose sono cambiate, e i sondaggi dicono che lo scenario è perfettamente tripolare: secondo la nostra Supermedia, Pd e M5S sono praticamente appaiati intorno al 30 per cento, e i tre partiti di centrodestra (Forza Italia, Lega Nord, Fratelli d’Italia) insieme raggiungono percentuali simili. Sia la sinistra che i centristi (Alfano, Verdini), faticherebbero a superare il 3 per cento per entrare il Parlamento.
Al ballottaggio ormai tutti i sondaggi certificano la vittoria del M5S sul Pd: ma è soprattutto l’esito delle recenti Comunali (dove il Movimento ha vinto 19 ballottaggi su 20) ad agitare il sonno in casa dem. Se si andasse al voto oggi, è il ragionamento, l’Italicum consegnerebbe il governo al partito di Grillo. Ecco quindi che fioccano proposte alternative: vediamo quali sono le due di cui si è più parlato. La prima (proposta Orfini) è simile al sistema greco: turno unico e premio di maggioranza del 15 per cento dei seggi alla lista che arriva prima. Il problema di questa proposta è che al momento questo vorrebbe dire ingovernabilità: secondo la nostra simulazione, al partito vincente (stanti i sondaggi, Pd o M5S) andrebbero meno di 260 seggi, molti meno dei 316 necessari per una maggioranza assoluta. In questo scenario, se il premio andasse al Pd, l’unica possibilità per formare un governo sarebbe un accordo con Forza Italia; se invece a vincere fosse il M5S, che rifiuta accordi con altri partiti, non ci sarebbe alcuna maggioranza possibile. L’altra proposta è il cosiddetto “Bersanellum”, una versione del vecchio Mattarellum che prevede il 75 per cento di seggi assegnati in collegi uninominali e il restante 25 da dividere tra premi di governabilità e recupero ai perdenti. Anche in questo caso, però, affinché si abbia una maggioranza occorre che vi sia un vincitore che conquisti oltre la metà dei collegi uninominali (ma il premio va alla migliore lista o coalizione).
Esito molto improbabile in uno scenario tripolare, come ha dimostrato Andrea Piazza nella sua simulazione su YouTrend. Inoltre, al di fuori del Pd nessun partito è favorevole i collegi. Tanto è vero che il Mattarellum modificato era una delle tre proposte di riforma avanzate da Renzi appena diventato segretario (le altre erano il sistema spagnolo e quello per l’elezione dei sindaci: e quest’ultima proposta fu la base dell’Italicum). Fu scartato perché Berlusconi non volle tornare ai collegi uninominali, preferendo mandar giù il doppio turno.
E il centrodestra? Nell’attesa che si risolvano questioni come la leadership e la linea politica, farebbe molto comodo reintrodurre le coalizioni, ora vietate dall’Italicum. Ma da questo orecchio la maggioranza del Pd e il M5S non ci sentono. A chi conviene cambiare l’Italicum, dunque? A tutti coloro che temono di diventare irrilevanti nella prossima legislatura. La minoranza dem teme che, anche nella migliore delle ipotesi (una vittoria del Pd alle Politiche), i loro parlamentari siano “sostituibili” con i voti centristi nel voto a singoli provvedimenti controversi. I centristi e la sinistra (al momento non coalizzabili con il Pd o con una lista unica di centrodestra a forte trazione leghista) temono di non avere voce in un parlamento in cui – ammesso che riescano a entrarvi – ci sia un partito che ha una maggioranza in grado di governare da solo.
Articolo pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 26 luglio a cura di Salvatore Borghese
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