Mercoledì scorso questa rubrica è iniziata con una panoramica sulle “regole del gioco” per eleggere il Presidente degli Stati Uniti – abbiamo parlato di “grandi elettori”, mappe elettorali e degli swing states, gli stati-chiave che di solito decidono le elezioni.
Oggi ripartiamo da loro, dagli swing states, cercando di capire che tipo di posti sono, dove stanno, come votano di solito e perché stavolta sono così importanti. Si sa, l’America è un posto massimamente eterogeneo, nella geografia e nella demografia: proviamo a mettere un po’ di ordine e partiamo dal più grande e più iconico degli stati contesi, quello di cui ci ricordiamo tutti per via di quello che successe nel 2000: la Florida.
Florida
(20,3 milioni di abitanti, 29 grandi elettori)
La Florida è il più popoloso degli swing states. Soprattutto, è quello che sta aumentando di più il numero degli abitanti: dal 1980 a oggi la popolazione è più che raddoppiata, da meno di 10 milioni a più di 20. Nel 1980, ai tempi di Reagan, valeva solo 17 grandi elettori, oggi ne vale 29.
L’esplosione demografica, secondo Stefan Rayer della University of Florida, ha a che fare con due fattori: la crescita della popolazione ispanica e l’afflusso massiccio di anziani bianchi che dopo la pensione scelgono di ‘svernare’ nella mite Florida, detta non a caso Sunshine State, lasciando New York e gli altri stati del New England. Per darvi un’idea, i “grandi elettori” di New York nel 1960 erano 45 – era lo stato più popoloso dell’Unione – e oggi sono 29.
Già così capiremmo che la Florida è uno stato demograficamente articolato; ma c’è di più.
Dei 4 milioni di ispanici in Florida, più della metà hanno origini cubane o portoricane. Non è come in Texas o Arizona, dove gran parte dei Latinos provengono dal Messico. Questo fa sì che gli ispanici in Florida tendano a essere un po’ più filo-Repubblicani che in altri stati: nel 2012, per esempio, quando Obama prese il 75% fra gli ispanici in Colorado, in Florida ottenne solo il 60%. Addirittura nel 2004, quando i Repubblicani non si erano ancora fatti odiare dai Latinos causa i toni incendiari sull’immigrazione, in questo segmento di popolazione Bush rifilò un +12 a Kerry, in Florida.
Come vota la Florida
La Florida è un classico purple state (che cos’è un purple state? Lo trovate qui): nelle ultime 4 elezioni presidenziali ha votato due volte “blu” (cioè per i Democratici) e due volte “rosso” (cioè per i Repubblicani).
Il Partisan Voter Index, un coefficiente elaborato dal Cook Political Report per misurare quanto uno stato o un collegio è più ‘a destra’ o ‘a sinistra’ rispetto alla media nazionale, è R+2. Significa, semplificando, che nell’ultimo paio di elezioni in media il candidato repubblicano è andato 2 punti meglio che nel resto degli Stati Uniti.
In sedici anni, d’altra parte, la Florida è stata spesso vinta per una manciata di schede.
Nel 2000, in mezzo a un caos legale, vinse Bush contro Gore, per 537 voti (in percentuale: 49% a 49%).
Nel 2004, ancora Bush contro Kerry, e stavolta con un margine più ampio: 380.000 voti, 52% a 47%.
Nel 2008 la landslide (cioè la “vittoria a valanga”) di Barack Obama toccò anche la Florida: 240.000 voti di margine, 51% a 48% contro McCain.
Nel 2012, infine, la Florida fu in assoluto lo stato con il margine minore fra i due candidati, ma andò nuovamente a Obama, stavolta per poco più di 70.000 voti, con Romney battuto 50% a 49%.
Dove si vince la Florida
La Florida è una grande penisola. Contiene zone marcatamente repubblicane come la Panhandle, cioè il lembo a Nord-Ovest, zona conservatrice e simile ad altri stati conservatori del Sud come l’Alabama, con cui confina. Qui McCain e Romney hanno vinto anche con il 70 per cento.
All’opposto, la costa meridionale che sta sull’Atlantico, dove ci sono Miami e West Palm Beach, è una roccaforte per i Democratici: quattro anni fa, quando Obama vinse lo stato per 70.000 voti, in questa zona accumulò un cuscinetto di quasi 600.000 voti di vantaggio su Romney.
Poi, c’è l’I-4 Corridor. I-4 perché è la zona dove corre l’autostrada Interstate-4, e corrisponde alla fascia centrale dello stato: comprende tre fra le cinque maggiori città (Orlando, Tampa e St Petersburg). C’è chi l’ha definita “the Highway to Presidential Heaven” (‘l’autostrada per il paradiso presidenziale’) perché è la zona swing per eccellenza dello stato swing per eccellenza.
Quasi metà degli abitanti della Florida vive nell’I-4 Corridor e questa fascia di territorio è considerata il vero bellwether, la cartina di tornasole per capire come vota la Florida nel suo complesso. Dentro ci sono grandi città in espansione come Orlando, città-ricovero di anziani come Lakeland e aree rurali.
E la Florida, stavolta?
Anche quest’anno la Florida sarà uno degli stati contesi più importanti, anzi forse il più importante: soprattutto per Donald Trump. Con i suoi 29 grandi elettori, infatti, sembra sempre di più uno stato ‘necessario ma non sufficiente’ per il candidato repubblicano. Insomma: deve vincerlo, perché altrimenti ha perso le elezioni; ma anche se lo vince non è detto che basti.
Hillary Clinton, stando alle previsioni di queste settimane, potrebbe infatti vincere la Casa Bianca anche perdendo la Florida e pure l’Ohio: i “grandi elettori” che perderebbe lì, infatti, li raggranellerebbe da qualche altra parte, in posti come Pennsylvania, Virginia e New Hampshire, dove i sondaggi attuali le danno qualcosa come 10 punti di vantaggio.
Tornando alla Florida, a oggi il modello di previsione di Nate Silver su FiveThirtyEight (ne parleremo meglio in una delle prossime puntate) assegna a Hillary fra il 60 e l’80% delle probabilità di vittoria.
Degli ultimi sei sondaggi pubblicati nell’ultimo paio di settimane, nessuno dà Trump davanti, e la media ponderata di FiveThirtyEight dà alla Clinton il 49,1% dei voti, con Trump al 42,8% e Johnson – il candidato libertario, ex repubblicano – al 6,8.
Inoltre, nella classifica della Tipping-point chance, cioè la probabilità che un determinato stato faccia scattare i 270 fatidici grandi elettori per uno dei candidati, la Florida è al primo posto.
Scavando nei dati di uno dei più recenti sondaggi sullo stato, quello condotto da Marist per NBC News e Wall Street Journal, emergono alcuni profili di consenso già osservati in altre indagini. Hillary Clinton vince fra le minoranze etniche (81-5 fra gli afro-americani, solo 41-30 fra gli ispanici) e Donald Trump fra i bianchi, soprattutto i bianchi senza istruzione universitaria (46-28 in questo segmento).
Abbiamo visto che la Florida è un posto complesso, articolato, in evoluzione, e eccezionalmente importante. Uno stato che se si votasse oggi, con Hillary a +8 o +9 a livello nazionale, probabilmente non sarebbe decisivo, ma se Trump e Clinton si riavvicinassero lo diventerebbe certamente.
Non è, d’altra parte, lo stato in cui Hillary va più forte, tra quelli considerati in gioco (in Colorado e Pennsylvania ha oggi margini molto più larghi), e c’è motivo di ritenere che se anche non ci tenesse in sospeso per settimane come nel 2000, anche questa volta il Sunshine State, lo Stato del sole che splende, si incaricherà comunque di giocare un ruolo da protagonista.
Bonus
Qui il New York Times ha intervistato un po’ di elettori che vivono nell’I-4 Corridor, prima delle primarie del 2012:
Commenta