Con l’annuncio della data in cui si terrà il referendum costituzionale, la campagna elettorale è entrata nel vivo. I media hanno cominciato a dedicare molto più spazio alle ragioni – e ai protagonisti – di entrambi i fronti.
Come era facile aspettarsi, Matteo Renzi ha moltiplicato le occasioni per fare campagna a favore del Sì. Non solo in occasione delle feste del Pd, ma anche in televisione (dopo il confronto a Otto e mezzo con Marco Travaglio, stasera sarà su La7 con Gustavo Zagrebelsky). Il perché è facile da immaginare: nonostante i tentativi di fare marcia indietro sulla “personalizzazione” del referendum (“se vince il No considero conclusa la mia esperienza politica”, aveva detto un anno fa), il premier sa bene che se dovesse prevalere il No, rimarrà ben poco delle riforme del suo governo.
Ma se Matteo Renzi è il “padre” politico di questa riforma, la “madre” è senza dubbio Maria Elena Boschi, ministro delle riforme costituzionali e per i rapporti con il Parlamento. Scelta da Renzi per ricoprire un ruolo delicato nel suo esecutivo, la Boschi è stata in prima fila in ogni momento chiave dell’iter parlamentare. Sembrerebbe logico, quindi, ora che i giochi si spostano fuori dalle aule e la parola spetta ai cittadini, che la Boschi ci mettesse la faccia. Eppure, questo finora non è avvenuto: salvo alcune occasioni pubbliche, quasi sempre nell’ambito di eventi organizzati dai comitati per il Sì (e magari lontano, come nel tour sudamericano di questi giorni).
Per capire il motivo di questa strategia “di basso profilo”, forse è opportuno dare uno sguardo all’evoluzione del tasso di fiducia. Se infatti è vero che nessun politico nazionale gode oggi della fiducia della maggioranza assoluta dei cittadini (con l’eccezione di Mattarella), è anche vero che per spendersi pubblicamente è importante avere un gradimento tra i cittadini non troppo basso. Nonostante non figuri tra le figure istituzionali o tra i leader politici monitorati più di frequente dagli istituti di sondaggio, il gradimento verso Maria Elena Boschi è stato rilevato più volte, dal giorno del suo insediamento a palazzo Chigi.
Nel grafico abbiamo messo a confronto il trend del gradimento verso la Boschi – registrato da singoli sondaggi – con quello medio (registrato cioè da una serie di istituti diversi) di Matteo Renzi nello stesso periodo. Per leggere correttamente il grafico, va segnalato che le percentuali riguardano il totale dei cittadini intervistati, quindi includono una quota di rispondenti che non conosce il soggetto che è –intuitivamente – ben più alta nel caso della Boschi. Ma anche al netto di questa precisazione, possiamo notare un fortissimo calo della popolarità rispetto ai primi tempi. Il calo riguarda anche Renzi, la cui luna di miele con il Paese è finita da tempo, e il cui tasso di fiducia oscilla regolarmente intorno al 30%. Ma nel caso della Boschi si è assistito a un vero e proprio tracollo, soprattutto considerando che fino al 2015 il suo consenso era simile a quello di Renzi, nonostante una minore notorietà.
Cosa è successo da allora? È successo che, a partire dalla fine del 2015, la Boschi è stata coinvolta nello scandalo relativo a Banca Etruria, che ha riguardato anche suo padre, già vicepresidente dell’istituto di credito successivamente “salvato” dal governo. Da quel momento, l’immagine della Boschi non si è più ripresa: il suo livello di fiducia si è tenuto per molti mesi tra il 10 e il 20%, una percentuale troppo bassa per un ministro di primo piano impegnato in una battaglia politica così importante. Questo probabilmente spiega perché, almeno fino a questo momento, a confrontarsi pubblicamente e a difendere la riforma in tv, ci va Matteo Renzi ma non Maria Elena Boschi.
Articolo pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 30 settembre a cura di Salvatore Borghese
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