Il secondo dibattito televisivo tra Hillary Clinton e Donald Trump ha ancora una volta evidenziato le enormi differenze tra i due candidati alla successione di Barack Obama. Mai come in questa tornata le Presidenziali statunitensi hanno visto contrapporsi due visioni politiche così distanti, incarnate da due personaggi che sembrano fatti apposta per essere l’una l’esatto opposto dell’altro: nella biografia, nel carattere personale, nei valori, persino nel modo di fare campagna.
Il 2016 è l’anno in cui si elegge il 45° presidente degli Stati Uniti, ma non solo: sono molte le occasioni in cui in diversi Paesi democratici i cittadini sono andati (o andranno) al voto per scegliere tra due opzioni. Elezioni decisive, uno contro uno, spesso vere e proprie scelte di campo: o di qua o di là, dove non c’è spazio per i risultati ambigui.
Della battaglia Clinton-Trump abbiamo detto. Ma in Europa si è già tenuta una votazione dalla portata storica: quella che a giugno ha sancito la Brexit, l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. E si sono tenuti o si terranno altri referendum destinati ad avere conseguenze profonde sulla politica e sulla storia: il referendum sull’accoglimento dei rifugiati con cui il premier ungherese Orbàn ha mandato (pur senza raggiungimento del quorum) un chiaro messaggio di ostilità all’Europa ne è un esempio.
In Svizzera, un referendum ha inserito nella Costituzione del canton Ticino un principio discriminatorio verso chi non è cittadino svizzero. Per non parlare del referendum costituzionale in Italia, la cui campagna monopolizza il dibattito pubblico nel nostro Paese, è seguita con attenzione (e preoccupazione) anche in Europa. Il referendum in Italia si terrà il 4 dicembre, e quel giorno andranno al voto – per la seconda volta in un anno – anche i cittadini austriaci, per eleggere con un ballottaggio il loro presidente della Repubblica: a maggio il verde Van der Bellen aveva prevalso di un soffio contro il leader degli ultra-nazionalisti, Herbert Hofer; ma poi, la Corte costituzionale austriaca ha annullato le elezioni per irregolarità nelle operazioni di scrutinio, e il voto sarà ripetuto proprio il 4 dicembre.
Anche in Italia abbiamo avuto un’importante tornata di ballottaggi, quelli delle elezioni amministrative con cui a giugno sono stati eletti i sindaci dei maggiori comuni d’Italia. Sfide dove non è importante “fare un buon risultato”, ma dove l’unico risultato possibile, anche qui, è uno solo: vincere.
Questo particolare tipo di elezioni “decisive” è stato il filo rosso che ha tenuto insieme i contenuti della terza edizione di “Election Days“, workshop sulla comunicazione politica che Quorum/YouTrend organizza ogni anno insieme all’Università di Torino, e che ha toccato gran parte di questi argomenti. Innanzitutto, le Comunali in Italia: ne ha parlato chi ha seguito la campagna elettorale di Sala e Parisi a Milano; di Chiara Appendino a Torino, Luigi Brugnaro a Venezia e Massimo Zedda a Cagliari. A spiegare come si fanno i sondaggi in una campagna c’è stato Fabrizio Masia, volto noto ai telespettatori del tg di Enrico Mentana. Secondo Masia i sondaggi, pur con tutti i loro limiti, svolgono anche una funzione sociale: “Se per l’80% dei cittadini romani il primo problema di Roma sono le buche nelle strade, quello è il problema: chi fa politica lo deve sapere“.
Un altro ospite prestigioso è stato Guillaume Liegey, titolare della agenzia specializzata nelle campagne porta a porta che, bussando in 5 milioni di case, nel 2012 ha fatto vincere François Hollande. Ce n’è stato anche per i referendum: come si è arrivati alla Brexit? Lo ha raccontato Matthew Elliott, stratega del comitato per il ‘Leave’. Elliott ha colto due parallelismi “opposti” con il referendum costituzionale italiano: da un lato, sulla dimensione “cambiamento/conservazione” il messaggio ‘Leave’ è accostabile a quello del ‘Sì’ alla riforma; dall’altro, quando si considera la dicotomia “establishment/anti-establishment” è il ‘No’ ad avere le argomentazioni più simili a quelle del fronte dei sostenitori della Brexit. Visti i risultati di quella consultazione, non è da escludere che il referendum costituzionale sarà deciso – anche – da quale frame prevarrà: quello del cambiamento o quello anti-politico?
Articolo pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del’11 ottobre a cura di Salvatore Borghese
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