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Il profilo del Renzi referendario: da giocatore a riformatore

La Leopolda è solo l’ultima puntata dello storytelling renziano sul referendum, ma rappresenta un simbolo perché è qui che Renzi ha sottolineato con forza alcuni punti chiave della sua comunicazione: riformismo, futuro e rottamazione. Queste, però non sono le uniche parole chiave, perchè Matteo Renzi ha articolato la campagna di comunicazione in una serie di puntate con contenuti differenti in grado di fare presa su diversi segmenti di elettori. Nel corso di questa gestione così articolata il leader del Pd assume ruoli diversi: c’è il Renzi giocatore, quello riformatore, la vittima, lo stabilizzatore, il propagandista ed il rottamatore.

Nei primi mesi dell’anno, durante i quali la campagna elettorale non era ancora partita, il Premier sviluppa il proprio storytelling come un giocatore di poker sicuro della carte che ha in mano. È il Matteo Renzi che tra gennaio e marzo dichiara “se perdo vado casa”, una posizione chiara e semplice: lui è il testimonial numero uno della riforma, quindi una sconfitta significa la sua bocciatura. Il senso di sicurezza del leader del Pd si fonda sulla convinzione dell’efficacia del posizionamento della riforma percepita sull’asset principale della riduzione dei parlamentari.

Con l’apertura della campagna elettorale ad aprile, lo storytelling renziano abbraccia temi e significati più ampi. Il Premier apre, da questo punto in poi, il ventaglio dei significati da attribuire alle sua riforma ed il campo semantico è incentrato sui concetti di futuro e cambiamento, come emerge nelle dichiarazioni di questa fase (“Due anni di cambiamento, ma la ora sfida è più grande. Il referendum è molto più di un sì o un no”). In questa seconda fase entrano in gioco in maniera più incisiva gli oppositori della riforma, quindi per Renzi c’è bisogno di declinare altri tratti fondamentali come quello del rinnovamento sostanziale della politica. In questa narrazione Renzi diventa il riformatore: l’inquadratura data alla comunicazione è ancora prevalentemente sulla sua figura, ma la comunicazione inizia a prendere una direzione diversa.

È evidente che dopo l’eccessiva personalizzazione iniziale Renzi ha bisogno di spostare l’attenzione dell’elettore sulla riforma e non su se stesso. Per questo motivo il Presidente del Consiglio cerca di togliersi dall’inquadratura (“il referendum non è su di me o sul Governo”) principale per spostarla sull’Italia e sul suo futuro. Una scelta strategica precisa ed è qui che entra in gioco il profilo da riformatore di Renzi. Nel mese di maggio lo storytelling referendario è articolato sul valore di riformismo come unico volano possibile per far agganciare all’Italia il treno del futuro “con il Sì un passo a volta l’Italia può tornare leader” e “il referendum ci dirà se gli italiani vogliono cambiare”.

Nei mesi estivi Renzi cerca definitivamente di fissare l’attenzione dell’opinione pubblica sui contenuti della riforma. Le dichiarazioni del Premier diventano riforma-centriche (“stop polemiche, stiamo al merito”) puntando su uno dei principali punti di forza in grado di intercettare il gradimento dell’opinione pubblica come la riduzione del numero dei parlamentari  “abbiamo troppi politici in Italia, aiutatemi”, “se vince il Sì, uno su tre va a casa”.

 

Il Presidente del Consiglio mette in campo non uno stile aggressivo come nei primi mesi, ma costruisce un nuovo posizionamento all’interno del quale lui svolge il ruolo dello stabilizzatore, e lo strumento che può dare stabilità al Paese è proprio la scelta sul referendum. Il cambiamento diventa quindi, nella narrazione renziana, non solo un passo in avanti verso il futuro, ma anche un tassello fondamentale per la credibilità dell’Italia. Il Premier infatti ribadisce come con “il no vince l’instabilità e lo stop alla crescita”. In questa fase Renzi paventa anche i rischi e le minacce che potrebbero derivare dalla vittoria del No come l’instabilità dei mercati, il congelamento degli investimenti e il rischio di bloccare la già fragile crescita. In questa azione Renzi non è solo, ma ci sono soggetti autorevoli che vengono in soccorso alla sua comunicazione come le agenzie di rating, soggetti internazionali ed, in particolare, alcuni importanti attori, come, per esempio, Confidustria, Confartigianato, Cisl . Il copione della comunicazione renziana, inoltre, porta anche il Premier a diventare bersaglio e vittima degli attacchi degli oppositori. La comunicazione del fronte del No infatti fa apparire la contesa del tutti-contro-uno che lascia il referendum sullo sfondo, ma fa assumere a Renzi il ruolo della vittima come lui stesso dichiara (“non ho personalizzato io” e “il referendum non è su di me”).

Il profilo dello stabilizzatore, però, rischia di sottoporre il leader del Pd a numerosi attacchi e non sembra particolarmente incisivo sull’opinione pubblica. Per questo, nell’ultimo miglio che porta al 4 dicembre, ecco che il Premier cambia stile, tono di voce e contenuti della sua comunicazione. Il profilo più istituzionale viene sostituito da alcune dichiarazioni che entrano nel campo della propaganda e Renzi fa correre lo storytelling su due direttrici: quella della riforma dove trovano una sintesi i diversi profili visti in precedenza (e che potremo definire con un’etichetta omnicomprensiva di “Renzi referendario”) e quella del “Renzi propagandista , che utilizza temi in testa all’agenda setting degli italiani come l’Europa e gli immigrati. La strategia in questo caso è quella di costruire una convergenza tra questi due elementi utilizzando uno schema efficace: l’emergenza immigrazione diventa uno scudo nei confronti dell’Ue critica sui conti pubblici dell’Italia. Le recenti dichiarazioni sono emblematiche: “l’immigrazione è a rischio esplosione per incapacità Ue”, “non devo fare una recita: non sono d’accordo con Merkel su crescita e migranti”, “se Ungheria e Slovacchia ci fanno la morale sui nostri soldi e poi non ci danno una mano sui migranti non va bene”. Il posizionamento del Premier rispetto ai mesi precedenti è cambiato totalmente: l’accoglienza diffusa non è rinnegata, ma si tenta ora di inchiodare l’Europa alle sue responsabilità (“non comprende l’emergenza, ci deve aiutare”). E anche la visione sull’Europa è virata verso una posizione più critica: allo spirito di Ventotene (“l’Ue è la soluzione, non il problema”) si è sostituito quello di Bratislava (“in questo momento l’Unione è solo frenetico immobilismo”).

La Leopolda è un passaggio cruciale dello storytelling renziano all’interno del quale il leader riveste il ruolo “classico”, ovvero quello del rottamatore. Questo profilo è differente rispetto a quello del riformatore dove i discorsi del segretario del Pd ruotavano attorno alla necessità e all’urgenza delle riforme per il Paese e per il ruolo di quest’ultimo all’interno dell’Europa. Nella veste di rottamatore Renzi marca una differenza chiara tra sè ed il passato, tra la nuova e vecchia classe dirigente che trova la sua sintesi in una delle dichiarazioni fatte ieri dal palco di Firenze: “siamo ad un bivio, è il derby tra passato e futuro, tra cinismo e speranza, tra rabbia e proposta, tra nostalgia e domani”. II no al referendum nella narrazione messa in campo alla Leopolda è un tentativo di bloccare la rottamazione “il no serve a bloccare tutto ciò che, partendo da qui, abbiamo fatto, dicono di difendere la Costituzione ma stanno cercando di difendere solo i loro privilegi e la possibilità di tornare al potere. Sanno che il 4 dicembre è l’ultima occasione per tornare in pista”.

 

C’è in questa ultima fase della campagna referendaria un ulteriore elemento che torna nella narrazione renziana, una tecnica che da mesi non utilizzava: il testimonial. Quest’ultimi non fanno parte della politica, ma sono attori autorevoli e riconosciuti dall’opinione pubblica che sostengono il referendum e che nelle ultime settimane sono intervenuti, come ad esempio Roberto Begnini e Davide Serra passando per Benetton, Marchionne e Farinetti. Una vera e propria task force di personaggi noti che danno eco all’importanza del voto del 4 dicembre schierandosi con il Sì. Si tratta di un format classico, ma che ha un grande valore comunicativo. Il referendum costituzionale è diventato quasi un brand e nelle prossime settimane vedremo come si posizionerà e come sarà percepito dagli italiani. Il voto, però, non vive di dinamiche indipendenti, ma è correlato allo scenario politico e sarà utile – attraverso la Supermedia di YouTrend – pesare la brand extension tra il referendum ed il brand Pd per delineare le forze in campo ai blocchi di partenza. Il leader è consapevole che il brand Pd se in crescita può trainare il Sì. Una brand extension in cui Renzi crede, come testimonia l’appello lanciato da Piazza del Popolo “uniti si vince”, ma allo stesso tempo Renzi difende il brand dagli attacchi interni “c’è chi usa referendum per distruggere Pd, ma non glielo consentiremo”.


 

Andrea Altinier

Andrea Altinier lavora da anni nella comunicazione politica ed istituzionale ed attualmente si occupa di consulenza di comunicazione strategica e pr in Adnkronos Nordest. Ha lavorato per dieci anni nello staff di Luca Zaia occupandosi della relazione con i media della Regione del Veneto. Ha maturato una consolidata esperienza lavorando nelle istituzioni e nel privato, in particolare presso la società Swg. È stato tra i fondatori e i curatori della rivista digitale www.postpoll.it e ha pubblicato un saggio all’interno del libro “La Nuova Comunicazione Politica” edito da Franco Angeli. Dal 2013 è docente di Comunicazione pubblica e d’impresa presso lo IUSVE di Venezia e Verona. Con Francesco Pira nel 2014 ha pubblicato il libro “Comunicazione pubblica e d’impresa”. Negli ultimi anni ha seguito come spin doctor diverse campagne elettorali e sta approfondendo il tema dello storytelling. E' impegnato in una sfida ambiziosa individuare i driver della comunicazione che modificano le intenzioni di voto. Una sfida che va oltre statistica e sociologia, ma con youtrend.it tutto è possibile.

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