Manca poco al 24 gennaio, giorno in cui la Corte costituzionale si esprimerà sulla legittimità costituzionale dell’Italicum, attuale legge elettorale in vigore (per la sola Camera dei Deputati). Ma, quale che sia il giudizio della Consulta, il Parlamento dovrà intervenire, quantomeno per uniformare – in un modo o nell’altro – i sistemi elettorali delle due Camere: al momento, infatti, al Senato è in vigore il “Consultellum“, un proporzionale con riparto regionale e sbarramento al 3% per le liste coalizzate e all’8% per quelle non coalizzate. Molto diverso dall’Italicum, che prevede un premio di maggioranza nazionale del 55% dei seggi alla lista più votata (le coalizioni sono vietate).
Il Partito Democratico, per bocca del suo segretario Matteo Renzi, ha già fatto la sua proposta: tornare al “Mattarellum”, ossia la legge in vigore dal 1993 al 2005 con cui si votò per tre volte (Politiche 1994, 1996 e 2001). Un sistema misto, ma prevalentemente maggioritario. Tre quarti dei seggi (sia alla Camera che al Senato) venivano assegnati con il maggioritario in collegi uninominali a turno unico. Il resto dei seggi veniva assegnato con metodo proporzionale tra le liste che superavano il 4% dei voti su base nazionale (alla Camera) e ai “migliori perdenti” nei collegi (al Senato).
Il mese scorso abbiamo simulato cosa sarebbe avvenuto applicando la legge Mattarella alle intenzioni di voto odierne, ricostruendo i collegi uninominali del Mattarellum per la Camera dei Deputati e stimando per i tre poli principali (PD, Movimento 5 stelle, centrodestra) una distribuzione territoriale analoga a quella emersa in occasione delle Europee 2014.
Il risultato di quella simulazione era interessante, ma incompleto. Ci diceva infatti che il Movimento 5 stelle avrebbe ottenuto il numero maggiore di seggi (190 nel maggioritario, 51 nel proporzionale), e che nessuno dei tre poli avrebbe ottenuto i 316 seggi necessari per avere la maggioranza a Montecitorio. Ma bisognava tenere conto di vari caveat, tra cui quello – non indifferente – che in un sistema maggioritario basato su collegi uninominali quello che conta non è tanto la percentuale di voti complessiva ottenuta (quella che possiamo stimare dai sondaggi e sulla quale possiamo “proiettare” una distribuzione territoriale), quanto l’esito delle singole sfide, che dipendono spesso da vari fattori locali (tra cui la competitività dei candidati).
Per questa ragione, è molto interessante guardare al numero di collegi che potenzialmente potrebbero essere vinti da ciascuno dei tre poli. Abbiamo quindi ripetuto la simulazione, aggiornandola alle – lievi – variazioni nel frattempo registrate dalla nostra Supermedia e provando a stimare quanti possano essere i collegi sicuri (“solid”) e quanti quelli contendibili. Il grafico seguente mostra l’esito di questa simulazione:
Come già era emerso nella precedente simulazione, l’area del PD è quella che potenzialmente può arrivare a vincere il maggior numero di collegi. Questo perché, oltre ad avere il maggior numero di collegi “solid”, il PD è anche competitivo in un numero di collegi superiore agli altri due poli. Questo è uno dei motivi per cui scrivemmo che il PD (insieme alla Lega) è il partito che avrebbe più da guadagnare da una reintroduzione del Mattarellum. Eppure, anche nella migliore delle ipotesi (vittoria nei collegi “solid” e in tutti quelli in cui è competitivo) il PD si fermerebbe a quota 305 seggi. Ne mancherebbero ancora 11 per la maggioranza assoluta.
Vediamo la mappa dei collegi della nostra simulazione:
Come già emerso la scorsa volta, ne vien fuori il ritratto di un’Italia divisa geograficamente, oltre che politicamente, in tre. Al Nord la forza più competitiva risulta essere il centrodestra (colore azzurro), che però in un numero consistente di collegi è insidiato dal PD (colore viola). Il centro-nord (le Regioni Rosse) è praticamente un feudo nel PD. Infine, al centro-sud e nelle isole maggiori il polo più forte è il M5S, che ha qui la quasi totalità dei suoi collegi “solid” (in giallo) e che in molti altri collegi è competitivo con il PD (in arancio) o con il centrodestra (in verde).
I collegi in grigio scuro sono quelli “solid” dei partiti esterni ai tre poli (autonomisti valdostani e altoatesini); in grigio chiaro sono invece quelli in cui tutti e tre i poli sono competitivi.
Vediamo ora le mappe relative a ciascun polo, iniziando da quella del PD:
La mappa relativa al PD mostra come i democratici siano fortemente concentrati nelle zone di forza tradizionali del centrosinistra. In uno scenario di questo tipo, il rischio per i dem è che la quasi totalità dei loro eletti provenga solo da una parte del Paese.
Vediamo ora la mappa relativa al M5S:
Il Movimento 5 stelle avrebbe un problema simile: la sua forte competitività al centro-sud e la sua sostanziale assenza a nord di Roma (con l’eccezione della Liguria e del torinese) rischierebbe di limitare la provenienza dei rappresentanti istituzionali del Movimento alle zone del Paese meno sviluppate economicamente.
Infine, ecco la mappa dei collegi del centrodestra:
Il centrodestra si dimostra competitivo sia al Nord (grazie alla Lega), dove il suo principale antagonista è il PD, sia al centro-sud, dove il suo avversario è invece il M5S. Questo tipo di competizione radicalmente diversa tra le due zone del Paese, oltre al fatto che il centrodestra presenta in ciascuna di esse un’identità piuttosto differente, potrebbe trasferire nella competizione locale nei collegi (e di conseguenza accentuare) la frattura territoriale tra Nord e Sud. Una dinamica della competizione politica di un tipo al Nord (PD contro centrodestra a trazione leghista) e un’altra al centro-sud (centrodestra popolare-forzista contro M5S) potrebbe aggravare le spinte centrifughe frammentazione – già elevate – del sistema politico e partitico italiano.
Le grandi città si confermano una realtà politica a parte, rispetto al Paese nel suo complesso. Nei 78 collegi delle 11 città più grandi, infatti, il centrodestra tende a scomparire, risultando competitivo solo in 7 collegi contro il M5S e in 4 contro il PD.
In conclusione, dobbiamo sottolineare e ribadire ciò che abbiamo scritto anche il mese scorso: con il Mattarellum, in un sistema tripolare come quello attuale, è estremamente improbabile che uno dei tre poli riesca a conquistare la maggioranza assoluta dei seggi. Si noti che nella simulazione abbiamo assunto che il riparto proporzionale (che riguarda solo 155 seggi su 630) venga effettuato senza scorporo, così come avvenne nel 2001 in presenza di un utilizzo diffuso e massiccio delle “liste civetta”. Senza aggiramento dello scorporo, la ripartizione proporzionale avrebbe penalizzato maggiormente i partiti con il maggior numero di collegi vinti (PD e M5S), rendendo ancor più arduo il raggiungimento di una maggioranza.
Esiste sempre la possibilità che il consenso ai partiti possa mutare in modo significativo nei mesi che ci separano dalle elezioni. In quel caso, è possibile che uno dei poli riesca a conseguire la maggioranza assoluta. Ma oggi, con le attuali distribuzioni di voto, questo è praticamente impossibile.
(ha collaborato Andrea Piazza)
Ottimo articolo! E invece che cosa potrebbe accadere con un proporzionale puro o un sistema a doppio turno come in Francia? Ci sarebbero più opportunità di ottenere la maggioranza assoluta?
Ciao Matteo. Beh con un maggioritario “puro” (cioè basato solo su collegi uninominali) succederebbe quello che abbiamo simulato qui, solo senza seggi proporzionali (quelli in azzurro chiaro nella prima tabella).
Con un sistema francese, le cose sarebbero parecchio più complicate. Con quel sistema andrebbero al secondo turno tutti i candidati con più del 12,5% dei voti degli aventi diritto: cioè praticamente in quasi tutti i collegi si ripeterebbe la sfida tra un candidato del PD, uno del M5S e uno del CDX. A quel punto, il seggio andrebbe a chi ottiene un voto in più, e si ripeterebbe lo schema di cui sopra.
Intendevo maggioritario puro, scusate